1
Capitolo I
Considerazioni di metodo: assunti ed obiettivi
1.1. Premessa
Il titolo del presente lavoro rimanda ad una convinzione che ho maturato nel corso della mia
vita e che ho fortificato e sedimentato mediante tre anni di studi: le emozioni rappresentano
ciò che ci fa sentire vivi, sono la più chiara e diretta dimostrazione del nostro essere al
mondo, dimostrano allo stesso tempo le nostre debolezze e le nostre forze. Così ho cercato
di costruire un percorso didattico che trattasse le emozioni, sul piano filosofico, scientifico,
psicologico. Mi sono ritrovato a contatto con Freud, Sartre, Darwin, Cartesio, Kant, Vygotskij
e Hume per citare i più importanti sull’argomento. Tuttavia colui che ha lasciato impresso il
ricordo più forte in me, nella mia mente e nel mio corpo, è senza dubbio Charles Darwin. È
proprio nell’Origine dell’uomo
1
, un libro che nessuno può fare a meno di leggere
integralmente, non fosse altro per il titolo che porta, che ho trovato la conferma di quello che
cercavo: “Ci rivolgeremo ora alle emozioni e alle facoltà intellettive che sono molto
importanti, in quanto formano la base per lo sviluppo delle facoltà mentali superiori”
2
.
Successivamente, ho avuto la possibilità di leggere i suoi Taccuini filosofici
3
, dove Darwin
scrive di getto, con parole cancellate, spezzate e aggiunte. Qui, il mio stupore, iniziato con
l’origine dell’uomo, esaltato dalla Espressione delle emozioni nell’uomo negli animali
4
,
diventò meraviglia. È proprio nei taccuini che le emozioni si mostrano compiutamente come
la connessione tra la mente ed il corpo: “L’intero tema dell’espressione più di ogni altro
elemento della struttura acquista il suo valore per la sua connessione con la mente (dimostra
che lo iato nella mente non è un salto tra uomo e bruti), nessuno può mettere in dubbio questa
connessione”
5
. È proprio nei taccuini che Darwin, in linea con le neuroscienze incarnate da
Antonio Damasio
6
, dimostra che le emozioni, tanto negli animali inferiori, quanto
nell’animale Homo Sapiens, sono strettamente connesse a cognizioni precise.
1
Darwin, 1871
2
Ivi, p. 72
3
Darwin, 2010
4
Darwin, 1872
5
Darwin, 2010, M151, p.68
6
Medico, Psicologo e Neuroscienziato: Professore di Neuroscienze, Neurologia e Psicologia presso la University
of Southern California, dove dirige il Brain and Creativity Institute, nonché professore associato al Salk Institute
e alla University of Iowa. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e testi neuroscientifici. Il presente
lavoro farà un uso considerevole dei suoi testi: “L’errore di Cartesio, 1995”, “Emozione e Coscienza, 2000”,
“Alla ricerca di Spinoza, 2003”.
2
Nelle scimmie il ghigno, la risata, i corrugamenti della pelle della fronte e delle sopracciglia,
le smorfie facciali, sono conseguenza di disappunto, rabbia, o piacere
7
. E le “ciglia
aggrottate mostrano che la mente è rivolta intenzionalmente su un oggetto”
8
. È importante
esplicitare in questa sede di premessa, l’altro grande presupposto su cui si basa il mio lavoro:
la convinzione che la divisione tra scienze umane e scienze naturali sia il prodotto della
contrapposizione di romanticismo ed illuminismo, di mente e corpo, di emozione e ragione.
Tutto ciò si è sedimentato con l’ausilio del positivismo: in questo periodo la scissura tra
scienze dell’uomo e scienze naturali si è evidenziata nella definizione delle rispettive sfere di
azione: alle prime restava il dominio della coscienza, della soggettività, della storia, della
mente e delle emozioni, alle seconde un controllo pressoché totale dei fenomeni osservabili e
misurabili. Questa spaccatura si è ampliata ancor di più con l’assunzione di posizioni
estremistiche da entrambe le parti: dal misterianismo al riduzionismo comportamentista.
Un’accesa difesa della posizione che sto assumendo si ritrova in Sacks:
“Certo, il cervello è una macchina e un elaboratore, e la neurologia classica ha perfettamente
ragione. Ma i processi mentali, che costituiscono il nostro essere e la nostra vita, non sono
soltanto astratti e meccanici, sono anche personali; e in quanto tali implicano non solo la
classificazione e l’ordinamento in categorie, ma anche una continua attività di giudizio e di
sentimento. Se ciò va perduto, finiamo come il dottor P., per assomigliare a degli elaboratori.
Allo stesso modo, se cancelliamo il giudizio, il sentimento, l’elemento personale, dalle
scienze cognitiviste, le riduciamo a qualcosa di carente, come il dottor P., insieme riduciamo
il nostro apprendimento del concreto e del reale. Per una sorta di comica e spaventosa
analogia, la neurologia e la psicologia cognitivista odierna presentano una forte somiglianza
proprio col povero dottor P.! Come lui abbiamo bisogno del concreto e del reale; e come lui
non ce ne accorgiamo. Le nostre scienze cognitiviste soffrono anch’esse di un’agnosia
essenzialmente simile a quella del dottor P. Il quale può dunque servire da monito e da
parabola, mostrandoci che cosa succede a una scienza che rifugga dal giudizio, dal
particolare, dal personale e diventi interamente astratta e computazionale”
9
.
Credo che la possibilità di ritornare ad una conoscenza unitaria, in cui i mondi della biologia,
della fisica e della chimica si concilino con la storia e la filosofia, sia reale in quanto i tempi
sono maturi. In effetti, oggi, disponiamo di una disciplina, definita neuroscienze, nella quale
confluiscono esperti di svariati settori, tutti uniti nel risolvere il mistero della mente cosciente.
Linguisti, esperti di intelligenza artificiale, psicologi, biologi, fisici, filosofi, antropologi,
7
Darwin, 2010, M106, p. 48
8
Ivi, N58, p. 101
9
Sacks, 1985
3
stanno unendo le loro forze e cercando di far convergere i loro differenti punti di vista in
nome dell’obiettivo comune. Non è un caso se il premio Nobel per la medicina, nonché
eminente neuroscienziato, Gerald Edelman, inviti i filosofi a scendere nella sala macchine
delle neuroscienze e i neuroscienziati a salire sul ponte della filosofia, per capire insieme
“l’oggetto materiale più complesso dell’universo”
10
.
10
Edelman, 1987
4
1.2. Introduzione, quale Darwinismo?
La filosofia, nonostante David Hume e la tradizione cui diede origine, ha sempre diffidato
dell’emozione, considerandola sfuggevole, effimera, non sottoponibile ad uno studio rigoroso
mediante logica filosofica. L’interesse scientifico per le emozioni si sviluppò solo intorno al
1872 con la pubblicazione dell’opera Darwiniana “L’espressione delle emozioni nell’uomo e
negli animali”
11
, in quest’opera, uscita ad un anno di distanza dalla pubblicazione
dell’Origine dell’uomo
12
, Darwin fa appello alla teoria dell’evoluzione per attribuire la
capacità di provare emozioni a tutti gli animali inferiori, è proprio in questo contesto che
riconosce il significato adattativo e comunicativo delle emozioni. Darwin riteneva che molte
delle espressioni facciali, legate ad aspetti di tipo fisiologico, avessero un significato
adattativo in termini evoluzionistici e servissero a comunicare lo stato interno di una persona
o di un animale che, senza bisogno del linguaggio, esprime come si sente in quel particolare
momento. La centralità dell’emozione nello studio della razionalità e della coscienza, scopo di
questo lavoro, è connessa al ruolo centrale che ha nella teoria darwiniana: l’evoluzione per
selezione naturale è una storia plurale, fatta di ambiente, società e culture. Prima di definire
come mai l’emozione sia così importante nella teoria per selezione naturale, affrontando
brevemente i taccuini filosofici darwiniani, vorrei definire a quale darwinismo faccio
riferimento. In questo snodo concettuale possiamo assistere al dibattito che si svolge tra gli
ultradarwinisti (Richard Dawkins, John Maynard Smith, George Wiliams) e i darwinisti
naturalisti (Stephen Jay Gould, Niels Eldredge, Elisabeth S. Vrba, Steven M. Stanley,
Marjorie Grene). Il primo tipo di darwinismo lo potremmo definire centrato sui geni, di
derivazione analitica ed espresso nella forma di algoritmo darwiniano
13
. Per questa corrente
la danza dell’evoluzione è dominata dai geni e dalla loro competizione per il successo
riproduttivo, questo vuol dire che gli organismi macroscopici non hanno nessun ruolo, se non
quello di essere inconsapevoli possessori dei geni; l’organismo rappresenterebbe quindi
semplicemente un mezzo per l’espressione di quest’ultimi. Qualunque cambiamento di livello
macroscopico, come ad esempio i sistemi socioculturali, specie, popolazioni, possono essere
ridotti e spiegati al livello microscopico dell’iniziale corredo genetico: “La macroevoluzione è
totalmente riconducibile alla microevoluzione”. Si osservi il culmine di questa posizione nella
sociobiologia di William Hamilton, il quale interpreta le forme di altruismo e di cooperazione
11
Darwin, 1872
12
Darwin, 1871
13
Questa impostazione trova le sue radici nella filosofia analitica: lo studio dei fenomeni osservabili descritto e
giustificato tramite logica formale
5
rilevabili in numerose specie animali, compreso l’uomo, come “selezione di parentela”: in
definitiva una elaborata teoria dell’egoismo allo scopo di propagare il più alto numero di geni
simili ai propri. Il secondo tipo di darwinismo, il naturalismo, definisce l’evoluzione come
storia plurale: gli individui non rappresentano semplici possessori di geni ma organismi che
lottano per vivere all’interno di ecosistemi e di sistemi sociali. I sistemi sociali
rappresentano quella stratificazione di conoscenze, comportamenti e giudizi
interiorizzati e comunicati alle successive generazioni, non mediante i geni, ma tramite i
linguaggi, la cultura e la storia. Ad esempio se un organismo facente parte un sistema
sociale non rispetta una regola sociale, benché abbia i migliori geni, verrà espulso. In linea
con le neuroscienze, come si osserverà più avanti nel caso di Damasio
14
, i geni regolano
l’espressione di una serie di strutture filogeneticamente antiche e danno un quadro generale
per le strutture più moderne che saranno completate durante lo sviluppo, all’interno del quale
l’organismo interagirà con un complesso sistema sociale culturale. Basti pensare alla
circostanza che condividiamo con lo scimpanzé il 98,76% dei geni, e che la tassonomia ha
fatto rientrare questa specie tra gli ominidi, definendola Homo Pan Troglodytes: con una
differenza poco superiore all’1% è evidente che non può essere la strada della
differenziazione genica la chiave per comprendere la specificità e l’unicità di alcuni
comportamenti umani.
In questo contesto vorrei rifarmi ad un’importante intervista a Richard Lewontin, biologo e
genetista statunitense, il suo nome è legato allo sviluppo delle basi matematiche della genetica
delle popolazioni. Si potrebbe attendere, in seguito alla sua formazione, un riduzionismo
ontologico, metodologico ed epistemologico; differentemente lo troviamo accanto a Gould a
sviluppare una forte critica al determinismo genetico. In una bellissima intervista
all’enciclopedia multimediale per le scienze filosofiche
15
Lewontin affronta con sincerità e
rigore intellettuale tutto il peso che la fisica ha impresso sulla ricerca biologica, quello che lui
stesso si appresta a definire “invidia della fisica”. In effetti, la biologia ha mutuato dalla
fisica, e la fisica dalla filosofia, la ricerca dell’universale: “Non si può fare scienza sul serio se
non si è grado di capire gli universali del mondo. Il particolare sembra poco interessante”
16
.
Su questa linea, la attuale biologia si forma una serie di assunti impliciti al suo modo di
procedere, una ipotesi di lavoro diventa una forma mentis e il materialismo ingenuo prende il
sopravvento. Uno degli assunti impliciti è proprio “la convinzione secondo cui ogni aspetto
degli organismi è insito nei loro geni e che gli organismi sono prodotti esclusivamente dai
14
Damasio, 1995, pp. 165-167
15
http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=446
16
Ibidem
6
loro geni”
17
. Un altro importante assunto è quello che vede il mondo come una macchina,
questo fa sì che non si dia importanza alla storia della “macchina” o alla sua cultura, ci si
interessa esclusivamente al suo modo di produrre risposte cercando di ridurlo ad un algoritmo.
Lewontin pone l’accento su questo punto criticando il computazionismo e certa filosofia
analitica che si esprime nel funzionalismo: l’idea che per comprendere un organismo è
sufficiente l’analisi del suo funzionamento interno descrivibile mediante simboli. Quanto
anticipato si può ben esprimere con una frase di Sidney Brenner: “se avessi a disposizione un
computer abbastanza grande e la sequenza completa del Dna di un organismo, riuscirei ad
elaborare quell’organismo”
18
. Con la sottigliezza di un filosofo, Lewontin continua
affermando che tutto ciò è connesso ad una base ideologica, e alla volontà di ricercare: “la
base di tutto, l’elemento basilare su cui si fonda il mondo intero”
19
. Il controesempio che
Lewontin obbietta al computazionismo e al determinismo genico si può brevemente
riassumere: ammesso che si possa disporre della sequenza completa del DNA di un
organismo, non sapremmo mai il suo preciso aspetto fenotipico, a meno di conoscere la
sequenza degli ambienti all’interno dei quali l’organismo si sviluppa. Ma anche nel caso in
cui la sequenza ambientale fosse nota in ogni caso non si potrebbe sapere che tipo di aspetto
avrà quell’essere vivente. Ad esempio due drosofile (i moscerini della frutta) geneticamente
identiche, cresciute nello stesso ambiente ma ad una temperatura leggermente diversa avranno
fenotipi diversi, i peli potrebbero crescere di più o gli occhi potrebbero essere più grandi.
Ovviamente qui la nozione di ambiente va considerata nella sua accezione ristretta, si tratta di
ambiente neonatale, infatti due gemelli omozigoti, nonostante abbiano gli stessi identici geni e
condividano l’ambiente uterino, non hanno le stesse impronte digitali. Ancora, le impronte
della mano destra non sono uguali a quelle della mano sinistra nonostante siano codificate
dagli stessi geni.
Questo tipo di impostazione rimanda all’importanza dell’ambiente e dei sistemi complessi di
interazione descritti da Darwin nei taccuini filosofici, quindi il tema delle emozioni,
fondamentale per il naturalismo qui prospettato. La teoria per selezione naturale ha una storia
antica, antecedente al famoso viaggio sul Beagle. Darwin è studente all’università di
Edimburgo, ed è pieno di interrogativi sull’origine della vita, affronta le lezioni con spirito
critico cercando di liberarsi di ogni convinzione precedente, ad eccezione di una: l’ipotesi
delle barriere coralline. Allievo di Robert Grant, Darwin, inizia a dissezionare numerosi
invertebrati della baia di Edimburgo e si convince che gli animali superiori si sono: “evoluti
17
Ibidem
18
Ibidem
19
Ibidem
7
dai vermi più semplici”. Nell’analisi delle forme di vita marina Darwin credeva, come Grant,
che queste fossero il punto zero di contatto tra l’inorganico e l’organico: insomma, il punto in
cui scaturiva la vita. Con la spedizione sul Beagle e l’approdo alle isole Galapagos, il
naturalista, vede “quelle relazioni singolari che intercorrono tra animali e piante”
20
, e riesce a
passare da una semplice ipotesi ad una teoria sulla formazione dei banchi di corallo. I suoi
studi iniziano a mostrare una profonda connessione tra scienze della terra e scienze
biologiche: egli analizza come le elevazioni terrestri delle spiagge del sud America e le
relative sedimentazioni sabbiose abbiano portato numerosi composti di conchiglie e coralli
sbriciolati che si solidificano per poi emergere sulla terra. Darwin osserva “Come una piccola
circostanza determini se un animale aderirà o meno ad una certa superficie”
21
, così inizia a
prospettare come la generazione della vita, un fenomeno biologico, sia strettamente
interconnessa a fenomeni geologici, una interdipendenza tra elementi di biotici e non biotici:
“La mia idea è che nelle isole vulcaniche, dopo il sollevamento della crosta terrestre, si siano
create piante particolari”
22
. Darwin comincia con il definire i coralli “animali di pietra”, nei
taccuini filosofici questa ipotesi è chiaramente espressa: “Nelle coralline non ci sono forse
due specie di vita vegetale e animale strettamente unite”?
23
. Si può iniziare a delineare quella
definizione di ambiente fatto di interazioni complesse proprio della teoria darwiniana: “Ogni
materia vegetale o animale si è formata dall’unione di semplice materia non-organica, senza
l’azione di leggi vitali […] Le leggi organiche hanno qualche sconosciuta relazione con quelle
inorganiche”
24
. Si sintetizza quanto detto sin qui con una citazione: “È così, con l’immagine del
corallo, che prende forma la New Theory, la legge della correlazione, cioè la tesi della interrelazione, nello
spazio e nel tempo, tra i mutamenti del singolo organismo e quelli dei conspecifici, e tra questi e i loro
ecosistemi locali: insomma, la dipendenza degli organismi tra loro, la dipendenza tra organismi e piante, la
dipendenza tra questi e il mondo non organico. Cioè il reciproco coadattamento biotico ha una storia solo
all’interno di ecosistemi locali di natura non biotica. Scienze biologiche e scienze della terra sono difficilmente
separabili.[…]. Insomma la biologia da sola ci racconta una storia lacunosa e soprattutto lontana dal vero”
25
.
Questo aiuta a capire come, in Darwin, la selezione naturale non sia riconducibile ad un solo
fattore, in una lettera ad Asa Gray del 29 novembre 1857, è il naturalista stesso a svelare il
modo in cui utilizza la dicitura “selezione naturale”: “la uso più o meno come un geologo usa
la parola denudazione, considerandola un agente che esprime il risultato di diverse azioni
combinate”.
20
Darwin, 1888, p. 1000 (Autobiografia)
21
Darwin, 2008, Taccuino rosso 95e
22
Ivi, 127
23
Darwin, 2010, Note sul Senso Morale, NSM 35, p. 151
24
Ivi, NSM 34, p. 149
25
Attanasio, 2010, p. 15
8
Tornando al tema delle emozioni, nei taccuini filosofici Darwin esprime con più sincerità e
chiarezza ciò che afferma in nuce nell’Espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali:
mostrare come le emozioni, più di ogni altro fenomeno, mostrino la continuità tra mente e
corpo è precisamente il suo scopo, cercare di delineare una linea continua che a partire dalle
espressioni proceda verso le emozioni e le cognizioni mentali. Si esprime con termini
piuttosto chiari: “La mente è funzione del corpo”
26
. La sua convinzione che: “Il pensiero per
quanto inintelligibile possa essere, sembra soltanto la funzione di un organo, come la bile del
fegato”
27
dimostra una posizione limpida ed impossibile da fraintendere. Darwin, nel
tentativo di ricollegare corpo e mente via emozioni, fa un passo ardito ed afferma: “Le
emozioni e le sensazioni sono state spesso classificati in due tipi: quelle che eccitano e quelle
che deprimono. Si può dire che un uomo o un animale sono eccitati quando tutti i loro
organi, del corpo e della mente, quelli dei movimenti volontari e involontari, quelli della
percezione, della sensazione, del pensiero, svolgono le loro funzioni in modo più energico
e rapido del normale, e viceversa sono depressi se la situazione è quella opposta”
28
,
questa frase darwiniana contiene in nuce i risultati delle attuali neuroscienze, in effetti
Damasio scrive: “L’essenza della tristezza o della felicità è la percezione di certi stati del
corpo combinata con quella dei pensieri – quali che siano – a cui essi sono giustapposti, e
integrata da una modificazione – in modi e in efficienza – del processo di pensiero. In genere,
poiché sia il segnale dello stato corporeo (positivo o negativo) sia la modalità e l’efficienza
della cognizione sono stati innescati dallo stesso sistema essi tendono a concordare”
29
. Si
osservi che tanto per Darwin quanto per Damasio lo stato corporeo e lo stato mentale sono
“innescati dallo stesso sistema”: le emozioni. La scelta di circoscrivere l’analisi a Darwin
prima e Damasio poi è connessa alla mia convinzione, desunta dai contenuti, che ci sia un filo
rosso (le emozioni) che lega Darwin alle neuroscienze di Damasio.
26
Darwin, 2010, N5
27
Ivi, NSM 37
28
Darwin, 1872, p. 118
29
Damasio, 1995, p. 212