Capitolo Primo
LA DEMOCRAZIA VINCE SULLA MONARCHIA, IL
DOPOGUERRA ITALIANO
1. La struttura sociale dell’italia del dopoguerra ed il conflitto ideologico
Il dopoguerra in Italia si presentò difficilissimo. Al termine delle ostilità, l’8
maggio del 1945, le condizioni materiali del nostro Paese erano tragiche.
I danni subiti a causa della guerra ammontavano a 3000 miliardi di lire, la
produzione industriale del 1945 era crollata al 29% rispetto al 1938, mentre quella agricola
si attestava intorno al 63%.
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La priorità, dunque, era ricostruire in fretta, oltre che
ripristinare i livelli produttivi del 1938.
La seconda metà del 1945 fu un periodo di grandi speranze, soprattutto per gli
italiani del nord, per i quali la liberazione aveva segnato la fine dei bombardamenti,
dell’occupazione nazista e del fascismo.
Il senso della precarietà della vita, che era stato fortissimo negli anni precedenti, si
attenuò e si cominciò a progettare un futuro nuovo.
Mentre le famiglie si ricomponevano, si ristabiliva la normalità, ma allo stesso
tempo tutto appariva, ed era, molto diverso. Le strade ancora ingombre di macerie, gli
ospedali pieni di feriti di guerra, le comunicazioni difficili e gli approviggionamenti scarsi:
il mercato nazionale era ancora diviso in una serie di mercati locali, al Nord ed al Centro
sud.
Nel sud e nel centro la guerra era finita già da un anno e questo scarto temporale
ebbe conseguenze economiche, politiche e sociali. Nel sud l’inflazione fece salire i prezzi
in misura assai più elevata che nel nord: il pane costava il doppio, la pasta quasi tre volte di
più, il prezzo del riso, che si produceva solo al nord, era rimasto ad alti livelli, solo l’olio,
prodotto in massima parte nel mezzogiorno, costava di meno ,circa un terzo.
L’unificazione del mercato, conseguente alla liberalizzazione, provocò l’importazione nel
nord dell’inflazione del sud e del centro.
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Cf. Aurelio LEPRE, Storia della prima repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, Bologna, Il mulino, 2004.
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Emergeva un quadro che vedeva il nord democratico ed antifascista contrapposto
ad un sud in cui stagnavano posizioni antidemocratiche e persistevano condizioni di
prefascismo, oltre ad atteggiamenti mentali negativi, profondamente radicati, dalla
concezione che si aveva della donna e dei rapporti familiari.
Anche sul piano politico non era facile colmare il solco che esisteva tra nord e resto
d’Italia.
Quando a nord si combatteva ancora contro i nazifascismi, a sud ed al centro si
lottava per la vita quotidiana si trattava di una lotta piena di difficoltà e di piccole
meschinità.
I reduci del fronte, oltre a sentirsi dimenticati e trascurati in una società nella quale i
bisogni immediati avevano preso il sopravvento su tutto, spesso percepivano di aver
compiuto sacrifici inutili.
Nel nord, la vittoriosa guerra partigiana aveva determinato un atmosfera diversa, di
grandi speranze politiche, speranze che nel sud venivano alimentate dall’attività dei partiti
antifascisti.
Ma ‹‹il 1945 fu anche l’anno in cui ripresero vigore antiche paure e ne nacquero di
nuove, era, infatti, convinzione diffusa che esistessero progetti comunisti per conquistare il
potere con la forza ed i partiti di sinistra non smentivano, anzi affermavano di voler creare
uno stato socialista in Italia››
2
.
Anche la paura, come la speranza, generò specifici comportamenti politici, che
trovarono espressione nell’anticomunismo, diffuso nelle fabbriche, nelle campagne, tra i
medi ed i piccoli proprietari, nella Curia romana, nella società civile, con atteggiamenti
analoghi, ma che avevano però radici diverse.
Gli industriali temevano per la sopravvivenza del capitalismo mentre nelle
campagne l’anticomunismo trovava alimento nel tradizionalismo.
All’interno della Chiesa c’era chi aveva paura che i comunisti potessero far
diminuire il suo peso nella società italiana, ma c’era anche chi, come lo stesso Pio XII,
ponendosi in una prospettiva internazionale, si preoccupava che in un Italia dominata dai
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LEPRE, Storia della prima repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, 88.
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comunisti, Roma non potesse più assolvere in pieno alla sua funzione storica di sede
universale del papato.
Se la paura era il sentimento più diffuso nelle classi dominanti ed in quelle che
sentivano in qualche modo minacciate le loro posizioni, la rabbia lo era in quelle popolari.
Nell’immaginario collettivo si fronteggiarono due mondi, quello dei ricchi e quello
dei poveri, in una contrapposizione che riassumeva i molti antagonismi presenti in una
società indubbiamente articolata, ma sulla quale la guerra era passata semplificando
fortemente i rapporti sociali
3
.
All’elementare contrapposizione tra poveri e ricchi esistente nell’immaginario
collettivo i socialisti e soprattutto i comunisti diedero un’interpretazione ed una
rappresentazione rigidamente classista che però era insufficiente ad esprimere la più
complessa e variegata realtà italiana, in cui tensioni verticali ed orizzontali spesso si
intrecciavano. Di conseguenza il PCI ed il PSI non riuscirono a dare piena espressione,
politica ed organizzativa, né al malcontento dei poveri, né al disagio di tutti quelli che, pur
non essendo né operai né contadini, si sentivano in opposizione alle classi dirigenti.
La rabbia dei poveri , dei disoccupati, degli stessi operai che vedevano i vecchi
padroni sempre al loro posto, non diventò elemento propulsore di una rivoluzione.
Ciò avvenne perché l’Unione Sovietica volle fermamente che nei paesi non
controllati dall’armata rossa non accadesse niente in grado di turbare i rapporti con gli Stati
Uniti e la Gran Bretagna, per rendere più ardua la guerra contro la Germania.
Lo stalinismo aveva significato il rifiuto della rivoluzione mondiale e la costruzione
del socialismo in un solo Paese.
Un influenza decisiva, nello sconsigliare qualsiasi tentativo azzardato, lo ebbero
anche i fattori interni ed in primissimo luogo la stanchezza della gente.
Senza dubbio, negli strati popolari che avevano subito il peso maggiore della guerra
c’erano una profonda avversione verso la classe dirigente ed il desiderio che fosse
chiamata a pagare.
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Cf. LEPRE, Storia della prima repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, 108.
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Ma questi due desideri non erano così forti da trasformarsi nella volontà di
affrontare, finite le morti della guerra, quelle di una rivoluzione. Gli italiani volevano il
socialismo, ma senza i sacrifici di una guerra civile.
Si sognò, dunque, una rivoluzione che avvenisse per impulso esterno, magari con la
pacifica affermazione del socialismo ai danni del capitalismo su scala mondiale, e non a
costo di una guerra civile.
I comunisti ed i socialisti, furono pertanto imprigionati in una sorta di ambiguità, da
un lato l’obbiettivo strategico restava, per loro, quello della rivoluzione, intesa come
conquista violenta del potere, dall’altro occorreva, per la sua preparazione, adottare una
tattica diversa.
Ciò non impedì di rivolgere la medesima accusa alla parte avversa, ammonendo gli
avversari di tradire i veri interessi dell’Italia, in nome del capitalismo mondiale ed
americano.
Gli uni e gli altri erano in buona fede: molti comunisti e socialisti ritenevano che i
contadini e gli operai di tutti i paesi fossero cittadini del mondo, membri di una
Internazionale a cui si contrapponeva quella dei padroni.
Di contro molti anticomunisti ritenevano che gli interessi superiori della libertà
avrebbero dovuto prevalere in ogni situazione, anche se per questo essi fossero stati
costretti a schierarsi contro lo Stato italiano, se esso fosse caduto nelle mani dei comunisti
e dei loro alleati.
L’Italia era in una situazione delicata, dalla quale uscì nel triennio successivo
seguendo un percorso graduale di rinascita dello Stato e costruzione di una compiuta
democrazia.
L’unica cosa che non si recuperò in tempi brevi fu l’idea di nazione, che
manomessa dal fascismo, dallo iato tra nord e sud e dal separatismo siciliano, fu vittima di
una vera e propria disaffezione
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.
4
Cf. Nicola TRANFAGLIA, Come nasce la Repubblica. La mafia, il vaticano ed il neofascismo nei
documenti americani ed italiani, Milano, Bompiani, 2004.
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2. La rappresentanza politica prima del 1948
Le forze politiche che si candidavano alla guida del paese all'indomani della
liberazione erano più o meno le stesse protagoniste della lotta politica che vi era stata tra la
fine della prima guerra mondiale e l’avvento della dittatura.
Il partito socialista (PSIUP), guidato da Pietro Nenni; il partito comunista da
Togliatti, la Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi che, a sua volta, si
richiamava al Partito Popolare di don Luigi Sturzo ed aveva il fondamentale appoggio,
ideologico e pratico, della Chiesa cattolica
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. De Gasperi era anche l’uomo scelto dagli
alleati occidentali quale rappresentante del cartello anglo-americano. Egli aveva dato al
partito una accentuazione confessionale, facendone l’espressione più diretta degli ideali
cattolici, per poter combattere il comunismo sul piano culturale, contrapponendo ideologia
ad ideologia.
Accanto a queste forze vi erano inoltre il PLI, il PRI, il Partito d'Azione (PDA), il
MSI (dal dicembre 1946), l’uomo qualunque ( un movimento nato da un settimanale
fondato nel dicembre del 1944 da Guglielmo Giannini, un commediografo napoletano,
diventato partito nel febbraio del 1946) punta più acuta del moderatismo, che trovò
appoggio in alcuni settori della Dc meridionale
6
.
Quando si dovette scegliere il successore di Bonomi, dimessosi da Presidente
provvisorio, il 12 giugno del 1945, i partiti si trovarono d’accordo ed il 21 giugno elessero
Ferruccio Parri ( PDA ), che rimase in carica fino al 10 dicembre
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. Bonomi mise all'ordine
del giorno, sotto la spinta del CLN, il problema dell’epurazione, che avrebbe dovuto
applicarsi agli esponenti del potere economico compromessi col fascismo, oltre al
mantenimento delle funzioni dei CLN regionali e locali ma le forze moderate si opposero
preoccupate.
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Cf. TRANFAGLIA, Come nasce la Repubblica. La mafia, il vaticano ed il neofascismo nei documenti
americani ed italiani, 74.
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Cf. Ibidem, 78.
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Cf. LEPRE, Storia della prima repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, 115.
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