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Introduzione
Il presente lavoro si propone di analizzare, sotto innumerevoli aspetti, la complicata relazione che legò due
tra le più influenti figure del secolo scorso: Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. La loro fu, senz’altro, una
relazione tanto proficua quanto controversa che, seppur di durata relativamente breve, risulta tutt’oggi
fondamentale nell’ambito della cura dei disagi psichici e delle malattie mentali, nonché per la riflessione in
campo filosofico. In particolare, si porrà l’attenzione sulle motivazioni che spinsero Jung dall’essere uno dei
più fedeli allievi di Freud destinato a diventare suo erede, a diventare colui che, prendendo le distanze dalla
psicoanalisi freudiana, fondò una nuova disciplina: la psicologia analitica.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire tale tema derivano dalla necessità di fronteggiare
alcune complicate vicende personali e, soprattutto, dalla profonda ammirazione nutrita nei confronti dei due
psichiatri. Il mio interesse è stato poi incentivato dalla lettura appassionata di alcune opere freudiane e
junghiane alle quali mi sono avvicinata per la prima volta nei miei anni adolescenziali e che ho
successivamente approfondito tramite alcuni corsi universitari. Infine, oltre a considerare di fondamentale
importanza la salute mentale e la riflessione filosofica, trovo che nel rapporto umano tra Freud e Jung vi siano
alcune dinamiche nelle quali molti di noi potrebbero, in un certo senso, rivedersi. Per tutte queste ragioni,
ritengo che ancora oggi, a distanza di più di un secolo dal primo incontro tra i due pensatori, sia fortemente
necessario parlare di loro e, soprattutto, conoscerli ed approfondirli al fine di agevolare la propria crescita
interiore e quella della collettività stessa, anche e soprattutto attraverso la sensibilizzazione nei confronti dei
disagi mentali o esistenziali.
Alla luce di quanto appena detto, sarà condotto uno studio approfondito della vita di Freud e Jung, così
come delle loro dinamiche relazionali, tramite la consultazione di alcuni tra i più famosi biografi e, soprattutto,
tramite l’analisi del carteggio tra i due che verrà spesso citato nel corso dell’intero elaborato. Per la precisione,
la tesi sarà articolata in quattro capitoli: nel primo si illustrerà il contesto storico della nascita della psicoanalisi
e si ricostruirà la vita personale e professionale di Freud e Jung; nel secondo si tratterà della metapsicologia
di Freud prima e di Jung poi, illustrando i punti cardine delle rispettive teorie e concludendo con l’individuare
i temi sui quali entrambi si trovano in accordo; il terzo capitolo sarà invece dedicato ai motivi di scontro che
hanno spinto i due psichiatri alla definitiva rottura; il quarto ed ultimo capitolo tratterà il tema dei sogni, tanto
caro ad entrambi gli studiosi, riportando i diversi approcci all’analisi dei contenuti onirici della psicoanalisi e
della psicologia analitica.
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Capitolo 1
La ribellione dell’erede
1.1 Contesto storico della nascita della psicoanalisi
Ormai dal 1886, sappiamo per certo che c'è un abisso quasi insondabile dentro ognuno di noi: l'inconscio
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.
In verità, già molto prima di questa data, alcuni dei più grandi pensatori hanno dato a questo lato oscuro
un’accezione più o meno simile a quella di inconscio, nel tentativo di scavare sempre più nel profondo della
natura umana. Basti pensare al IX libro della Repubblica di Platone in cui viene attribuito alla mente un livello
nascosto, così come al Menone nel quale Platone descrive il modo in cui Socrate aveva fatto emergere
l’inconscia conoscenza di un teorema geometrico in un ragazzo privo di istruzione; o ancora a Plotino che, da
illustre neoplatonico, scrive che in ognuno di noi vi è un uomo interiore; si può poi proseguire tracciando un
filo rosso che da Leibniz attraversi Wolff, Kant, Schelling, Schopenhauer, Karl Von Hartmann e che giunga
infine a Freud. Tuttavia, seppur queste premesse sono doverose per capire che non si è dovuto attendere fino
a fine 800 per teorizzare l’esistenza di un inconscio; questo concetto, a tratti così sfuggente, entra a far parte
della scienza empirica ad opera di Sigmund Freud, neurologo austriaco nato nel 1856 e morto nel 1939, che
ne dà un’interpretazione precisa, sistematica e ben delineata.
Egli, infatti, entrando a pieno diritto tra i maestri del sospetto
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, introduce nel XIX secolo quei concetti
fondamentali che gettano in crisi la cultura del suo tempo e scuotono la coscienza dell'intera umanità
dell'epoca, presa com’era dal delirio di onnipotenza positivista. Parliamo di sconvolgimenti, quali:
1. la scoperta di processi psichici inconsci che agiscono costantemente all'ombra di quelli
coscienti, i quali risultano essere quasi soltanto atti isolati;
2. la scoperta che questi processi psichici nascosti sono in buona parte dominati da tendenze
sessuali.
Quest'ultimo punto è in realtà il presupposto principale del lavoro psicoanalitico, per come lo intende Freud;
cioè il tentativo di spiegare la vita dell'uomo e della società facendo principalmente ricorso ad una forza:
l'istinto sessuale o libido.
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La sfera dell’attività psichica che non raggiunge la soglia della coscienza.
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Vengono definiti così gli esponenti della cosiddetta scuola del sospetto, composta da quell’insieme di elaborazioni filosofiche
critiche delle ideologie sviluppate tra il XIX e il XX secolo da Marx, Nietzsche e Freud.
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Conseguentemente a queste scoperte, Freud si concentra molto sullo studio dell’attività onirica (a lui va il
merito di essere stato il primo a dare alla luce una vera e propria teoria sull’interpretazione dei sogni), degli
atti mancati
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e di tutti quei sintomi delle malattie mentali che secondo lui possono essere trattati considerandoli
come sostituzione di una soddisfazione di tipo istintuale rimasta latente in quanto repressa per molto tempo,
considerando cioè il sintomo come una “rimozione”. Non meno sconvolgente è, poi, la trattazione di fenomeni
tipicamente ritenuti al di sopra della semplice corporeità, quali l’arte e la religione, che nell’ottica freudiana
non diventano altro che sublimazione della libido, cioè trasferimento dell’impulso sessuale ad altri oggetti.
E’ proprio per via di questo breve elenco summenzionato (che costituisce soltanto la punta dell’iceberg del
pensiero di Freud) che è importante contestualizzare storicamente la nascita della psicoanalisi e cercare proprio
nel contesto di vita del giovane e rivoluzionario neurologo austriaco, i motivi principali (ed anche, ironia della
sorte, inconsci) che lo spingono a portare avanti con estremo vigore e dogmatismo concettuale le sue tesi che
forniscono delle solide basi per il futuro della disciplina e soprattutto fungono da terreno fertile per i successivi
indirizzi interpretativi che ne modificheranno le dottrine fondamentali, si può a questo proposito fare accenno
alla figura di Jung (che tratteremo nello specifico più avanti).
Dunque, è importante tenere a mente che l’opera innovatrice di Freud è fortemente legata a
condizionamenti geografici, storici e culturali. Come anche Jung stesso fa notare nei saggi Sigmund Freud
come fenomeno storico e culturale del 1932 e Il Necrologio del 1939, la figura di Freud si colloca nella fase
di massima espansione del movimento razionalistico e materialistico che si è ormai affermato nell’Europa
vittoriana e che tende a mascherare tramite moralismi, bigottismo religioso e forti pressioni sociali, tutta la
miseria umana che non è mai stata debellata, ma che anzi continua a dilagare indisturbata sotto un illusorio
progresso scientifico ed economico dell’umanità. Freud, così come Nietzsche, diventa smascheratore di tutto
ciò; ma non senza qualche amara conseguenza. Senz’altro la prima è la generale indignazione, anche da parte
della stessa comunità scientifica, agli albori della divulgazione freudiana; tant'è che il suo testo fondamentale
L’interpretazione dei sogni viene inizialmente accolto come se fosse un opuscoletto dedicato alla superstizione
e godrà di ampio successo soltanto qualche anno dopo la sua pubblicazione. Inoltre, sempre a detta dello stesso
Jung, questo ruolo smascheratore della sua teoria diviene anche il limite stesso di quest’ultima. La rende
riduttiva perché fondata sul processo di riduzione dall’ideale al biologico attraverso la formula del nient’altro
che tramite la quale egli fornisce spiegazioni più o meno articolate sulla natura nascosta dei conflitti pulsionali.
In sintesi, la maggior limitazione di Freud è costituita dalla sua rigida attribuzione di ogni paturnia presente o
futura del paziente ad un evento collocato esclusivamente nel passato, soprattutto nel periodo infantile. Questo
atteggiamento lo porta a quella che Jung definisce unilateralità etiologica. Nulla appare più appropriato delle
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Si tratta principalmente dei cosiddetti “lapsus”, le sviste che sono erroneamente attribuite al caso.
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seguenti parole per la chiarificazione di questo aspetto assolutamente rilevante, nonché necessario, per
proseguire con la trattazione di Freud e soprattutto dei risvolti successivi del suo pensiero.
Freud sorge da premesse storiche che rendevano necessaria la sua apparizione, e in particolare il suo
concetto principale, la dottrina della rimozione della sessualità, risulta evidentemente determinato dalle
condizioni storiche. Freud, come il suo contemporaneo Nietzsche, di lui maggiore sul piano del
pensiero, vive fino alla fine dell’epoca vittoriana: di quell’epoca che non ha ancora trovato sul
continente una denominazione altrettanto precisa, quantunque sia stata nei paesi germanici e protestanti
non meno caratteristica che in quelli anglosassoni. Quella vittoriana fu l'epoca della rimozione: uno
spasmodico tentativo di mantenere artificialmente in vita, mediante un certo moralismo, alcuni ideali
anemici nel quadro della dignità borghese. Questi “ideali” erano le ultime propaggini di quelle
concezioni religiose generali del Medioevo che l'illuminismo francese e la successiva rivoluzione
avevano profondamente scosso. Di pari passo anche sul piano politico, le vecchie verità si svuotavano
di significato e minacciavano di crollare. […] Questo il terreno su cui doveva sorgere Freud, e i cui
caratteri spirituali dovevano fatalmente influenzarlo. Egli ha la passionalità dell'illuminista e si
compiace in modo particolare nello svelare “quel che in realtà c'è sotto” e tutti i fenomeni spirituali
complessi, come l'arte, la filosofia, la religione, sono da lui sospettati di essere “null'altro che” rimozioni
dell'istinto sessuale
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.
1.2 Sigmund: un giovane promettente
Oltre che al contesto storico della nascita della psicoanalisi e degli studi freudiani, è altrettanto
importante fare un passo indietro per approfondire la biografia di Sigmund Freud; in modo da capire in
maniera più precisa cosa lo abbia spinto ad approfondire il mistero della psiche umana. In questo lavoro di
scoperta ed approfondimento ci sono molto d’aiuto biografi come Peter Gay, Henri Ellenberger ed Ernest
Jones
5
.
Freud nasce in Moravia ma trascorre quasi tutta la sua vita a Vienna. La sua famiglia è ebrea e si trasferisce
in Austria in un periodo storico in cui l’antisemitismo è abbastanza diffuso e che vede gli ebrei vivere nei
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C.G. Jung, Il contrasto tra Freud e Jung, Bollati Boringhieri, Torino 1975, p.236.
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Si tratta di uno dei più accaniti sostenitori di Freud. Dopo essere stato suo allievo, Jones diventa un vero e proprio santificatore
dell’immagine di Freud, tanto da dedicargli un’ampia biografia composta da ben tre volumi. Egli sostiene che il compito della
psicoanalisi è quello di mettere in grado gli esseri umani di servirsi dell’inconscio al pari di come avviene con la parte conscia di
ognuno. Inoltre, Jones è promotore di un importante tributo alla psicanalisi, cioè il concetto di afanisi che significa “sparizione” o
“scomparsa” con il quale egli intende la scomparsa del desiderio sessuale. L’afanisi per Jones costituirebbe un timore fondamentale
sia negli uomini che nelle donne.
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ghetti e in zone isolate di Vienna nelle quali essi entrano in contatto per lo più con altri ebrei; perciò, spesso e
volentieri primeggia una visione patriarcale della famiglia ed uno stile di vita rigido e dottrinale che costringe
i bambini fin dalla più tenera età a studiare i testi religiosi e ad imparare usi e costumi giudaici. L’essere ebreo
costituisce per Freud un punto di orgoglio, nonostante non pratichi la religione una volta cresciuto. Viene da
chiedersi se questo orgoglio fosse realmente sentito o se scaturisse più che altro da una gran voglia di lotta
contro il dilagante antisemitismo, scatenata non soltanto dalle ingiustizie che spesso gli ebrei subiscono, ma
anche da alcuni episodi di odio razziale accaduti a Freud stesso, ad alcuni suoi amici e alla sua famiglia. Sta
di fatto che, come riporta anche Ellenberger:
La personalità di Freud era stata fortemente plasmata dalle tradizioni della sua comunità ebraica.
Egli mantenne l’ideologia patriarcale, con la fede nella supremazia dell’uomo e nella subordinazione
della donna, la devozione alla grande famiglia e i severi costumi puritani. Inoltre egli ebbe sempre un
profondo rispetto per i suoi maestri, come dimostra anche il fatto che diede ad alcuni dei figli i loro
nomi
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.
Dunque, viene abbastanza facile pensare che l’ebraismo sia un importante tassello per la formazione del
modo di essere e di pensare del giovane Freud, così come la lotta all’odio razziale ne ha indubbiamente
temprato il carattere.
Nonostante le usanze dell’epoca, la famiglia Freud è tutt’altro che convenzionale. Suo padre Jacob si sposa
per ben tre volte e dal terzo matrimonio nasce Sigmund. Questo porta il bambino ad avere non soltanto dei
fratelli biologici, ma anche dei fratellastri, figli della prima moglie di Jacob. Curioso il fatto che uno di questi
avrà un figlio che quindi diventa nipote di Freud, ma che è di un anno più vecchio di lui. Inoltre, Sigmund
viene cresciuto anche da una balia fortemente religiosa che lui, nonostante la severità della donna, ricorda con
tenero affetto. Con gran dolore, però, rammenta anche il senso di abbandono che si trova ad affrontare quando
la balia viene fatta arrestare dal fratellastro Philip che la accusa di furto. Questa triste storia resterà impressa
nella mente del Freud bambino.
La bambinaia che lo accudì fino all'età di due anni e mezzo, era una fervente cattolica romana. La
madre di Freud la ricordava attempata, brutta intelligente; nutriva il bambino di storie devote e lo
trascinava in chiesa […] Quella bambinaia fece qualcosa di più, anche se non è chiaro quanto di più:
Freud lasciò intendere indirettamente che essa gli fornì insegnamenti in materia sessuale. Era severa e
molto esigente con il precoce bambino, ma Freud ricorda di averle voluto bene anche per questo. Fu un
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H. F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, vol. I, Bollati Boringhieri, Torino 1976, pp. 491-492.
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amore brutalmente troncato durante il puerperio della madre dopo la nascita della sorella Anna, il
fratellastro Philip fece arrestare per piccoli furti la bambinaia che finì in prigione. Freud ne sentì
crudelmente la mancanza. La sua sparizione, che coincise con l'assenza della madre, lasciò in Freud un
ricordo vago e spiacevole che egli cercò di chiarire e interpretare solo molti anni dopo. […] Quella
bambinaia cattolica, per quanto vecchia e poco attraente, aveva significato molto per Freud: quasi
quanto la bella madre
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Per quel che riguarda il rapporto con i genitori, Peter Gay ci riporta due ricordi in particolare che possono
far luce sul modo in cui il giovane Sigmund vede sua madre e suo padre.
Per ciò che riguarda la mamma, l’idea di lei è abbastanza ambigua e per gran parte ricoperta di mistero.
Infatti, Freud ricorda a tal proposito, che durante un viaggio in treno da Lipsia a Vienna, quando egli è solo
un bambino, la vede nuda in cabina e questa visione lo turba talmente tanto da tornargli alla mente per anni.
Non sa definire esattamente cos’abbia provato in quel momento, ma in ogni caso quella visione, nonostante
lo turbi, contribuisce comunque a creare in lui un senso di ammirazione e nutre l’idea della madre come di
una donna forte e tenace, una figura quasi mistica. Tutto ciò porta Freud e vedere, per tutta la vita, la figura
della donna come un continente oscuro.
Nei confronti del padre, invece, le impressioni sono un po’ più superficiali. Più che ammirazione nei suoi
confronti, Freud prova rispetto; ma il racconto di un aneddoto sull’antisemitismo che suo padre gli espone
durante una passeggiata quando egli è ancora un bambino, contribuisce a far sì che Sigmund si crei un’idea
dell’uomo come di un “codardo”, un’idea da annientare non annientando il padre, bensì sforzandosi di non
diventare come lui.
Un giorno, per dimostrargli come fosse radicalmente migliorata la condizione degli ebrei in Austria,
Jacob Freud raccontò al figlio il seguente episodio: “Da giovane, un sabato, me ne andavo a passeggio
nelle vie della tua città natale, tutto agghindato, con un berretto di pelliccia nuovo. Mi viene incontro
un cristiano, con un colpo fa volare il mio berretto nel fango e grida: “Fatti da parte, ebreo!” “E tu che
cosa hai fatto?” chiese con interesse Freud. “Sono andato in mezzo alla strada e ho raccolto il berretto”,
fu la pacata risposta. La reazione sottomessa del padre, ricorda sobriamente Freud, forse con poca
generosità, “non mi è parsa eroica”. Suo padre non era dunque “un uomo grande e forte”?
Scottato dal racconto dell'ebreo codardo che si prosterna davanti al gentile, Freud sviluppa fantasie
di vendetta. […] Fin dall'infanzia una caparbia manifestazione di indipendenza intellettuale, di rabbia
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P. Gay, Freud: una vita per i nostri tempi, Bompiani 1988, p. 6.
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controllata, di coraggio fisico e di rispetto di sé in quanto ebreo, si fondono in un amalgama
indistruttibile, fortemente personale, a formare il carattere di Freud
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Se le idee che Freud si crea dei suoi genitori sono fortemente diverse tra loro, quelle che sua madre e suo
padre (così come tutta la famiglia) hanno di lui sono sostanzialmente univoche. Ai loro occhi Freud è un
giovane promettente. Prevedono grandi cose per lui e vedono il futuro con speranza, ma anche con la strana
consapevolezza che questo ragazzo avrebbe fatto grandi cose. Curioso come, a quanto ci riporta Peter gay, la
madre di Freud abbia ricevuto una profezia alla nascita del figlio che lo vede proprio predestinato a diventare
qualcuno di importante. Così, un po’ per convinzione, un po’ per superstizione, Freud è il membro privilegiato
della famiglia. Viene rispettato, accontentato e mai disturbato durante lo studio o le sue letture. È l’unico ad
avere a propria esclusiva disposizione un’intera stanza della casa che egli utilizza per studiare e addirittura
alla sorella viene impedito di suonare il pianoforte a seguito di una lamentela di Sigmund che ne veniva
disturbato. Certo, è anche vero che questi privilegi non sono del tutto immeritati, o meglio, le speranze riposte
in lui non sono totalmente campate in aria e non si basano esclusivamente su una profezia; bensì Freud è
sempre il primo della classe ed eccelle in tutto a scuola, è un lettore insaziabile ed un grande studioso già in
tenera età, anche la sua condotta non è da meno. Insomma, ha tutte le carte in regola per crearsi un futuro
fruttuoso.
1.3 Uno studioso contro il male
In giovane età Freud si dedica molto alla lettura di testi prettamente umanistici e filosofici, si lascia
affascinare da figure come Feuerbach e Mill (tanto da tradurre un intero scritto di Mill durante il tempo
trascorso in trincea dopo essersi arruolato) ed ammaliare dalle poesie di Goethe. Eppure, vi è un momento
decisivo nel quale il giovane Freud propende per un netto cambio di rotta che lo porta dal voler studiare
filosofia all’università alla scelta di iscriversi alla facoltà di medicina. Chissà, forse se non ci fosse stato questo
radicale cambio di idee, non avremmo avuto l’enorme contributo di Freud nella storia e nella scienza del
Novecento. Ma per fortuna, quasi come se la profezia bussasse alla sua porta nel tentativo di essere ascoltata,
Sigmund sceglie la via che lo conduce non soltanto allo studio di ciò che fungerà da base per la formulazione
delle sue teorie, ma che gli consente di entrare in contatto con figure decisive per la sua interiorità ed anche
per la sua carriera; figure che, come vedremo più avanti, contribuiscono allo sviluppo delle sue idee e che
fungono per lui da mentori, prima che lo diventi egli stesso.
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Ivi, p. 11.