l’interesse degli stessi nei confronti di determinate tematiche sociali. È questo
il caso della cosiddetta “Pubblicità Progresso”. In genere essa è promossa da
soggetti pubblici (ad es. il Ministero di competenza dell’argomento trattato o
qualsiasi ente riconducibile alla Pubblica Amministrazione
3
.) o da soggetti no-
profit.
Il fenomeno della pubblicità è vasto ed eterogeneo. Nella percezione dei
cittadini, tuttavia, essa è vista come una specifica forma espressiva avente lo
scopo di attirare l’attenzione dei consumatori verso i prodotti o i servizi
reclamizzati e stimolare all’acquisto o all’utilizzo degli stessi. In realtà, gli
operatori del settore considerano tale solo la pubblicità commerciale (ossia
quella che avviene previo pagamento degli spazi sui media). Resta difficile
stabilire sempre con chiarezza quale sia un messaggio informativo e quale,
invece, persuasivo, visto il legame intrinseco che esiste fra i due concetti: un
messaggio informativo, per essere accolto e recepito dal pubblico, deve essere
anche, necessariamente, persuasivo
4
.
1.1.2 Il Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria e la sua definizione di
pubblicità
A regolamentare la pubblicità, oltre alle norme dello Stato (che hanno validità,
ovviamente, erga omnes), esiste il Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria
5
.
Esso è un documento deontologico adottato dall’Istituto dell’Autodisciplina
Pubblicitaria
6
, ente privato che si occupa di controllare, attraverso il potere
conferito ad un Giurì, la pubblicità diffusa dai propri associati (organizzazioni,
associazioni ed enti del settore). Finalità del codice, infatti, è «assicurare che
la pubblicità, nello svolgimento del suo ruolo particolarmente utile nel
3
D’ora in poi, PA.
4
Questo tipo di pensiero è esposto, in forma più articolata, nel volume Alpa, Guido, Tutela del
consumatore e controlli sull’impresa, Bologna, 1977.
5
D’ora in poi, CAP. La prima edizione del Codice risale al 12 maggio 1966, l’ultima in ordine di
tempo, quella del 20 aprile 2006, è la 40° edizione.
6
D’ora in poi, IAP.
processo economico, venga realizzata come servizio per il pubblico, con
speciale riguardo alla sua influenza sul consumatore»
7
.
L’efficacia del CAP è comunque limitata ai soli operatori che aderiscono,
direttamente o indirettamente al IAP.
In linea del tutto teorica, chi non fa parte degli organismi legati all’IAP
8
è
svincolato dai dettami del CAP e non è quindi tenuto ad osservarne le regole.
Tuttavia, «in pratica è pressoché impossibile che una pubblicità si sottragga
alle disposizioni in questione, giacché almeno uno dei soggetti che partecipano
all’iter divulgativo di una campagna è sempre legato al rispetto
dell’autodisciplina»
9
.
Il CAP definisce la pubblicità come
«ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o
servizi quali che siano i mezzi utilizzati, nonché le forme di comunicazione […] che
sollecitano direttamente o indirettamente il volontario apporto di contribuzioni in
denaro o in prestazioni di qualsiasi natura, nell’ambito di iniziative finalizzate a
sensibilizzare il pubblico al raggiungimento di obiettivi, anche specifici, di interesse
generale e sociale»
10
.
Una importante direttiva fornita da questa definizione è che si dovrà
considerare pubblicità commerciale anche la cosiddetta pubblicità istituzionale
che, pur non essendo creata per la vendita di beni o servizi, in realtà migliora
l’immagine dell’azienda agli occhi dei consumatori, sollecitando quindi la
domanda dei beni o dei servizi offerti dalla stessa.
7
fonte www.iap.it, sito internet ufficiale dell’IAP.
8
In base agli statuti delle rispettive associazioni, sono vincolati al CAP: i Tecnici Pubblicitari che
aderiscono alla TP, le agenzie di pubblicità aderenti all’AssAP, all’OTEP, all’AIPAS, le imprese di
pubblicità aderenti all’ANIPA, altre enti di consulenza pubblicitaria o concessionarie come, ad
esempio, la SIPRA (la concessionaria di RAI), le televisioni private aderenti alla FRT, gli editori che
aderiscono a FIEG e all’AIPS, le imprese associate all’AAPI, le strutture professionali iscritte
all’Albo Ufficiale delle Organizzazioni Pubblicitarie, le aziende facenti capo alla FIP.
9
Fusi, Maurizio; Testa, Paolina, Diritto e pubblicità, Milano, 1991
10
fonte www.iap.it, sito ufficiale dell’IAP.
1.1.3 La definizione di pubblicità fornita dall'AGCM
AGCM è l’acronimo che sta per Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato
11
. L’Autorità ha competenze che riguardano il controllo della
concorrenza nel mercato e tali competenze si estendono anche al monitoraggio
della pubblicità e delle forme di esercizio ingannevole e comparativo della
stessa (così come stabilito dal Titolo III, Capo II del D. Lgs. 6/09/2005 n. 206)
e in materia di conflitti di interessi. La pubblicità occulta, come vedremo in
seguito
12
, può essere considerata fattispecie di pubblicità ingannevole.
Secondo l’AGCM, dunque, per pubblicità si intende:
«qualunque comunicazione, purché diffusa nell’esercizio di un’attività commerciale,
cui possa comunque ricondursi una finalità promozionale, anche quando tale finalità
non risulti direttamente perseguita o non risulti disgiunta da scopi meramente
informativi. Inoltre ogni forma di comunicazione intesa a pubblicizzare la vendita di
un prodotto non direttamente, bensì attraverso operazioni promozionali organizzate
dall’impresa con l’evidente scopo di indurre i consumatori ad acquistare il bene
commercializzato»
13
.
Muovendo da questa definizione e sulla base di norme che vedremo in seguito
(quando verranno trattati alcuni provvedimenti in materia di pubblicità
occulta), l’AGCM decide sulla legittimità dei messaggi che le vengono
segnalati.
11
Essa è una “autorità indipendente” istituita dall’art. 10 della legge 6/10/1990, n. 287 (la legge
antitrust). Con la locuzione “autorità indipendente” si fa riferimento a un'amministrazione pubblica
che prende le proprie decisioni sulla base della legge, senza possibilità di ingerenze da parte del
Governo né di altri organi della rappresentanza politica.
12
Si veda cap. II
13
La definizione è tratta dal sito ufficiale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
www.agcm.it
1.2. Le fonti del diritto in materia di pubblicità
Per analizzare quali siano i principi da cui prende corpo l’insieme di norme
che regola la pubblicità, è utile analizzare sia i possibili richiami contenuti
nella Costituzione della Repubblica, sia l’evoluzione della disciplina in
materia.
1.2.1 Fondamenti costituzionali
Dato che la pubblicità è disciplinata da un sistema di norme che ha lo scopo di
regolamentare la libertà di informazione economica (tutelando così i
destinatari di tale informazione), è necessario individuare se esista, nella
Costituzione della Repubblica Italiana, un riferimento a questo tipo di libertà.
La ricerca dei fondamenti costituzionali della pubblicità ha significato, per
questo, un lungo dibattito ancor oggi aperto. La giurisprudenza, comunque,
tende a considerare la pubblicità come fenomeno riconducibile ai diritti tutelati
dall’art. 41 Cost., articolo che riguarda la libertà di iniziativa economica.
«Che la pubblicità, come espressione dell’iniziativa privata, possa trovare
cittadinanza fra le attività economiche la cui libertà è garantita dall’art. 41
della Costituzione, è indiscusso»
14
. Tuttavia, diversi autori hanno cercato di
inquadrare il fenomeno dal punto di vista delle libertà tutelate dall’art. 21
Cost. riguardante, invece, la libertà di manifestazione del pensiero.
I limiti all’esercizio delle diverse libertà tutelate dai due articoli sono molto
diversi e il basarsi sull’uno o sull’altro precetto costituzionale potrebbe,
talvolta, capovolgere il punto di vista attraverso cui interpretare il carattere del
messaggio. I commi 2 e 3 dell’art. 41 Cost. sanciscono che la libera iniziativa
economica «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana». Questa è la linea
di tendenza seguita nel CAP, mentre l’art. 21 Cost., al comma 1, stabilisce che
14
Fusi, Maurizio; Testa, Paolina, Diritto e pubblicità, Op. Cit.
«tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»
15
.
Spesso l’art. 21 Cost. viene invocato da chi è stato condannato per pubblicità
ingannevole ma, quando il contenuto prettamente commerciale del messaggio
viene a mancare, allora diventa molto complesso escludere la pubblicità dalla
tutela del diritto di libera manifestazione del pensiero.
A riguardo, si veda un’importante sentenza della Corte costituzionale del 17
ottobre 1985 n. 231 nella quale veniva ribadita la differenza fra «le
manifestazioni del pensiero delle quali, nei limiti ivi previsti, viene affermata
la libertà, da un lato, e la pubblicità commerciale, della quale viene
sottolineata la natura di fonte di finanziamento degli organi di informazione,
dall’altro, sta ad indicare in modo inequivoco che quest’ultima è considerata
una componente dell’attività delle imprese […]»
16
.
L’individuazione del fenomeno della pubblicità come appartenente alla sfera
regolata dall’art. 41 Cost., dunque, appare alla maggioranza come più idoneo a
risolvere i problemi legati alla produzione e distribuzione dei messaggi.
1.2.2 Il D. Lgs. 25 gennaio 1992 n. 74
Il decreto, che come già detto è l’attuazione delle disposizioni fornite dalla
direttiva 84/450 della Comunità Europea
17
, si impegna a sanzionare la
pubblicità ingannevole (come vedremo, la pubblicità occulta può essere
considerata una fattispecie di pubblicità ingannevole) e considera il fenomeno
sotto tre punti di vista: due hanno una connotazione soggettiva e si occupano
15
Al comma 2 dello stesso articolo, è tutelata in modo particolare la stampa (avvertita come settore
particolarmente delicato dal costituente): «la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure».
16
Sentenza pubblicata sulla Raccolta Ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale (a
norma dell'art. 29 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate
dalla Corte costituzionale il 16 marzo 1956).
17
Questo legame con la direttiva europea è esplicitato nel testo del decreto.
della sfera riguardante consumatori e imprenditori
18
, uno invece è riferito agli
interessi del pubblico nell’utilizzo dei messaggi pubblicitari.
Il D. Lgs. 74/92 indica come “pubblicità ingannevole” ogni messaggio che, in
qualunque modo (anche attraverso la sua presentazione), possa essere tale da
«…indurre in errore le persone fisiche e giuridiche alle quali è rivolta o che essa
raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro
comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un
concorrente».
Questo decreto legislativo consente alle imprese concorrenti, alle associazioni
di consumatori e ai singoli consumatori, oltre che alle PA, di denunciare
comportamenti pubblicitari ritenuti illeciti e sottoporre così la denuncia
all’AGCM. Il D. Lgs. 74/92 permette al consumatore di farsi portatore non più
di un interesse individuale, bensì di un interesse collettivo, contrastando anche
efficacemente le capacità comunicative potenzialmente dannose che derivano
dallo sviluppo delle tecniche pubblicitarie e di promozione dell’immagine
19
.
Attraverso il D. Lgs. 74/92
20
l’Italia si dota di uno strumento in grado di dare
rilevanza giuridica al fenomeno della pubblicità illecita e una autonoma
normativa di riferimento.
1.2.3 Il D. Lgs. 6 settembre 2005 n. 206
Il decreto legislativo 206/05 non è specifico per la pubblicità, ma si riferisce
alle normative concernenti i processi dì acquisto e consumo, oltre che alla
tutela del consumatore in senso più ampio rispetto al solo aspetto del rapporto
18
In questo caso solo quelli direttamente concorrenti.
19
A riguardo, si veda Masciocchi, Pierpaolo, Concorrenza sleale e pubblicità ingannevole alla luce
della vigente normativa antitrust nazionale e comunitaria, Roma, 2000.
20
Successivamente integrato dal D. Lgs. 25 febbraio 2000 n. 67, a seguito della modifica della
precedente direttiva europea dalla nuova direttiva 97/55/CE per quanto riguarda la pubblicità
ingannevole e comparativa. Con lo stesso decreto legislativo l’AGCM è stata investita del controllo
anche della pubblicità comparativa.
dello stesso con la pubblicità. All’interno del decreto infatti, sono presenti
disposizioni aventi lo scopo di tutelare il consumatore sotto ogni punto di
vista.
Il decreto è suddiviso in parti che inquadrano le sfere dell’educazione,
dell’informazione e della pubblicità
21
, del rapporto di consumo, della sicurezza
e qualità dei prodotti e dell’accesso alla giustizia da parte delle associazioni di
consumatori.
Per quanto riguarda la pubblicità, il D. Lgs. 206/05 recepisce a pieno quanto
stabilito dal D. Lgs. 74/92 e dalla successiva integrazione in materia di
pubblicità comparativa del febbraio 2000. Restano le medesime la definizione
di pubblicità e i criteri di valutazione per quanto riguarda i casi di uso
ingannevole del mezzo pubblicitario.
Per questo motivo, continueremo a riferirci al decreto legislativo del 1992,
perché recante le stesse disposizioni vigenti ad oggi e perché limitato
esclusivamente alla regolamentazione della pubblicità in senso stretto.
21
Art. 2 (sui diritti dei consumatori), comma 2 (lettera c) si ribadisce il diritto dei cittadini a ricevere
una adeguata informazione e una corretta pubblicità