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Introduzione
Il presente lavoro intende analizzare quella parte del pensiero di Thomas Hobbes
che affronta gli aspetti antropologici, etici e morali dell’uomo.
La prima parte dell’elaborato affronta l’analisi e la disamina delle tre principali opere
di Hobbes: The Elements of law and politic, De Cive e Leviathan, maggior rilievo verrà
dato alla prima delle tre poiché, credo, essa contenga perfettamente abbozzato –
specialmente nella prima parte – il pensiero antropologico su cui Hobbes fonderà tutta
la sua filosofia politica. Inoltre, negli Elements, sono trattate con maggior profondità le
tematiche che nel De cive sono quasi assenti e nel Leviathan vengono affrontate in
maniera piuttosto sintetica. Riallacciandomi a quanto scritto da Arrigo Pacchi, sono
convinto che gli Elements, proprio per il loro carattere work in progress e di embrione
di un’opera molto più vasta, abbiano il pregio di “obbligare” Hobbes a scandagliare la
sua concezione della natura umana. Questo è il motivo principale per cui, in questo
lavoro, ho privilegiato la lettura degli Elements.
Credo che il pensiero di Hobbes conservi una sua validità ancora oggi, nonostante
le moderne conoscenze scientifiche ne abbiano smentito certe affermazioni ormai
piuttosto approssimative. Il meccanicismo alla base della sua filosofia è superato,
anche se alla luce delle recenti scoperte scientifiche, principalmente in ambito
neuroscientifico, le spiegazioni biologiche e chimiche sull’origine delle emozioni e dei
sentimenti come l’amore sembrano avvicinarsi a quelli che Hobbes chiamava “moti
dell’anima”, cercando di fornire ragioni di natura squisitamente meccanica e fisica.
L’attualità di Hobbes sta, però, principalmente, nella rottura con la filosofia classica
e nell’elaborazione di una nuova morale per approdare, come farà nel Leviathan, a
designare una società “senza Dio” e laica dove la religione – non quella individuale di
ogni cittadino – serve solo a legittimare un potere che, tuttavia, deve sempre restare
dominio delle leggi umane. Da ciò deriva la sua nuova concezione della filosofia
politica.
Come emerge chiaramente dai suoi scritti, un elemento essenziale per la
comprensione del pensiero di Hobbes sono le passioni, ritenute dall’autore a
fondamento della natura umana. Ho, pertanto, confrontato la sua concezione di
passioni con quella espressa da Aristotele nel secondo libro della Retorica, attraverso
una breve esposizione della panoramica classica. La definizione di “passioni” fra i due
filosofi è uguale, ma essi giungono a conclusioni opposte, in particolare Hobbes nega
l’idea classica dell’uomo “animale politico” naturalmente portato ad associarsi per la
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ricerca del “bene comune”, affermando invece una visione dell’uomo come essere
solitario, portato a sopraffare gli altri uomini per garantirsi la propria sopravvivenza.
La terza parte del lavoro affronta quella che ritengo sia la componente più originale
del pensiero di Hobbes e da cui prende anche il titolo di questo elaborato: la paura, e
in particolare la paura della morte violenta, come fattore di civilizzazione e come unica
passione su cui l’uomo regola la propria vita. Questa impostazione rappresenta a mio
parere uno dei motivi che rende Hobbes ancora attuale, infatti la paura è qualcosa che
connota da sempre la natura umana e che ne attraversa tutta la storia, forse è
costitutiva anche dello Stato moderno – direbbe Hobbes –, ma è certamente indubbio
che essa condizioni l’uomo e le diverse società susseguitesi nella storia.
Oggi, a causa del terrorismo, assistiamo quasi impotenti alle gravi distorsioni che la
paura provoca nelle moderne democrazie e, in cambio della sicurezza, giustifichiamo
l’uso di strumenti di controllo sempre più invasivi e lesivi dei nostri diritti all’interno della
vita privata. Un esempio visibile a tutti è l’utilizzo eccessivo di telecamere motivato per
prevenire reati.
Per affrontare questa parte non mi sono limitato all’esposizione del pensiero di
Hobbes, ma ho ritenuto necessario il confronto con un altro filosofo moderno, Spinoza,
che partendo da un’analisi simile a quella di Hobbes trae conclusioni opposte.
Infine, poiché Hobbes mette in discussione la filosofia politica classica, ho
analizzato la critica formulata dal filosofo contemporaneo Leo Strauss cercando, per
quanto possibile, di mostrarne i punti di debolezza. Nella sua opera Strauss esprime
una critica severa a Machiavelli e Hobbes, sostenendo che essi abbiano distrutto la
filosofia politica e cercando così di riabilitarne la visione classica. Il suo lavoro entra nel
merito dell’impianto hobbesiano attraversandone la concezione della natura umana,
operazione questa che gli permette di andare più in fondo nell’analisi del pensiero di
Hobbes. Il tentativo di criticare la filosofia politica di Hobbes mette in luce – a detta di
Strauss – una serie di contraddizioni e incoerenze cui sarebbe incorso il filosofo
britannico.
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CAPITOLO PRIMO
NATURA UMANA E FILOSOFIA POLITICA
Gli Elements of Law sono il primo tentativo di Hobbes di fissare i punti fondamentali
del suo pensiero. Ciò è provato dal fatto che, afferma Arrigo Pacchi, una prima scrittura
fu elaborata e fatta circolare intorno al 1640 solo fra estimatori e amici di Hobbes, il
quale diede l’autorizzazione alla pubblicazione nel 1650.
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In realtà sempre Pacchi
scrive che Hobbes aveva in mente un’opera più ampia che si sarebbe poi
concretizzata nelle due opere successive, Il De Corpore e Il De Homine. Inoltre, gli
Elements, così come li conosciamo oggi, furono pubblicati da Hobbes in due testi
separati: Human Nature e De Corpore Politico, e fu solo nel 1889 che Ferdinand
Tönnies li unificò in un unico testo dal titolo Elements of Law Natural and Politic.
L’accostamento di Hobbes fra natura umana e filosofia politica non è casuale poiché
la dottrina politica tratta degli uomini riuniti in una comunità: bisogna infatti partire dai
principi che reggono la vita degli uomini, le loro scelte e le loro conseguenze; bisogna
comprendere la natura umana per capire le motivazioni che spingono gli uomini a stare
insieme.
Il primo capitolo s’intitola “Le facoltà dell’uomo”; per Hobbes vi sono «poteri naturali
come la nutrizione, il movimento, la generazione, il senso della ragione»
3
. Questi poteri
si dividono a loro volta in poteri del corpo e poteri della mente: il “potere conoscitivo” o
“immaginativo”, i poteri del corpo sono il “nutritivo”, il “motivo” e il “generativo”. Il potere
conoscitivo corrisponde all’immaginazione. Hobbes fornisce una chiarissima
spiegazione del suo pensiero in un celebre esperimento mentale:
Se tutto il mondo che conosciamo sparisse all’improvviso ci resterebbe sempre
nella mente l’immagine di ciò che avevamo visto o percepito e questo è il potere
di conoscere e di concepire.
4
Hobbes muove qui la critica all’esperienza, di come essa muti costantemente
mancando perciò di certezza. Ancora, egli intende dimostrare che ogni conoscenza
2
Cfr. Arrigo Pacchi, Introduzione a Hobbes, Laterza, Bari 1971, p. manca la pagina.
3
Thomas Hobbes, Elementi di legge naturale e politica, trad. it di A. Pacchi, Sansoni, Milano 2004, p. 7.
4
Ivi, p. 8.
6
della mente si svolge nella mente stessa tramite i concetti, mentre il legame con la
realtà esterna avviene attraverso una mediazione.
Nel secondo capitolo, Il senso e i concetti, Hobbes afferma:
Tutti i concetti derivano dall’azione della cosa stessa di cui sono concetti.
Quando l’azione è presente il concetto che essa produce si chiama senso e la
cosa, mediante la cui azione il concetto stesso è prodotto, si chiama oggetto del
senso.
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Dai nostri organi di senso noi abbiamo diversi concetti di diverse qualità degli
oggetti. Per esempio la vista è un concetto dell’immagine consistente in un colore
o in una figura, che forma l’intera nozione che l’oggetto ci trasmette, tramite gli
occhi circa la sua natura.
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E prosegue criticando coloro che dichiarano che l’immagine visiva e il colore
costituirebbero la conoscenza della qualità dell’oggetto in noi già presente. Egli perciò
definisce qui quattro punti:
1. Il soggetto cui colore e immagine sono inerenti non sono oggetto della cosa
veduta.
2. Ciò che noi chiamiamo immagine non è nulla di reale fuori di noi.
3. La suddetta immaginazione è solo ciò che appare da quel movimento o
alterazione che si compie nel cervello.
4. Quindi il soggetto cui ineriscono non è l’oggetto ma il senziente.
Per Hobbes il primo punto si dimostra molto semplicemente: noi vediamo oggetti
riflessi o nell’acqua o negli specchi. A volte li vediamo anche doppi e ciò può essere
dovuto a malattia, ma non solo. È evidente per Hobbes che non vi sono due oggetti ma
solo uno, per cui è l’immagine che vediamo, non l’oggetto. Ne consegue che anche gli
oggetti che noi vediamo riflessi nello specchio sono soltanto dei riflessi, non sono cioè
contenuti nello specchio, quindi non sono nulla di reale al di fuori di noi.
Il terzo punto si spiega, secondo Hobbes, con l’osservazione secondo cui l’immagine
dell’oggetto è solo “un colpo” che subisce il nervo ottico, mediante una certa luce,
quindi nulla di esterno ma solo un’apparizione:
5
Ivi, p. 9.
6
Ibid.