La formazione esperienziale a sostegno del cambiamento organizzativo - il caso Elsag
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elementi costitutivi, il gioco, il confronto all’interno del
gruppo e il coinvolgimento emotivo dei partecipanti.
La trattazione è stata suddivisa in 8 capitoli. Nella
prima parte (cap.1- 4 ) si sono delineati i tratti dei due
argomenti principali del lavoro: il cambiamento organiz-
zativo e la formazione esperienziale.
Nel primo capitolo (incentrato sul cambiamento
organizzativo) lo studio della letteratura ha permesso di
sintetizzate le definizioni, che di questo fenomeno, hanno
dato alcuni eminenti studiosi; inoltre, si sono classificate le
varie tipologie di cambiamento che un’organizzazione può
vivere, delineando anche i profili di coloro che, nella let-
teratura sociologica, sono indicati come gli agenti e i nemici
del cambiamento.
Nel secondo capitolo sono state illustrate alcune teorie
dell’apprendimento, come l’andragogia, che considerano
l’esperienza lo strumento migliore per condurre gli individui
ad acquisire conoscenze e a modificare atteggiamenti e
comportamenti
Il terzo capitolo ha avuto un doppio sviluppo: in un
primo momento si è proceduto alla definizione del concetto
di formazione esperienziale; successivamente è stato
compiuto un excursus storico, dagli albori delle teorie
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esperienziali fino alle attuali applicazioni dell’outdoor
training.
Nell' ultimo capitolo della prima parte, infine, ci si è
soffermati su alcune metodologie di didattica attiva, come il
ricorso al gioco, all’arte figurativa e alla realizzazione di
videoclip, nell’ambito della formazione professionale e
manageriale.
La seconda parte è interamente dedicata alla ricerca
effettuata sul progetto di didattica esperenziale Generation.
Dopo aver brevemente presentato l’organizzazione in
cui si è effettuata la ricerca (quinto capitolo), si è proceduto,
nel sesto, alla dettagliata descrizione del progetto di
formazione esperienziale, avente lo scopo di supportare gli
individui in una delicata fase di cambiamento: l’ingresso in
una nuova realtà organizzativa, altamente complessa.
Il settimo capitolo contiene le ipotesi di ricerca
formulate, in merito agli elementi che un corso formativo
esperienziale come Generation è in grado di fornire. Tali
ipotesi sono state verificate attraverso delle interviste in
profondità ai partecipanti al progetto.
Nell’ultimo capitolo è, infine, riportata l’analisi delle
interviste e la verifica delle ipotesi di ricerca.
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1. Il cambiamento organizzativo
1.1 Introduzione al fenomeno
Il tema del cambiamento investe oggi tutte le forme
della società contemporanea, in primis quelle organizzative.
La collettività moderna infatti, dominata dai consumi,
ha dato vita negli ultimi anni a una mobilità e a una
instabilità senza precedenti nella storia (Perrone, 2004). Le
persone, le professioni, la società e ogni ambito
organizzativo vivono i mutamenti come una costante della
loro esistenza, e spesso gestire i cambiamenti risulta un
processo complesso e difficoltoso. Sebbene anche la
definizione di cambiamento nelle scienze umane, risulti
un’operazione complessa, nella cultura contemporanea si
tende a valutare positivamente il cambiamento in contrap-
posizione a forme sociali statiche ed immutabili.
Il fenomeno del cambiamento si muove lungo un
continuum che va dalla mutazione finalizzata da una meta e
controllabile dall’uomo fino al suo opposto che è la rottura
dell’equilibrio, mutazione questa non finalizzata e
assolutamente non controllabile.
Da questo presupposto, appare chiaro che il
cambiamento è un fenomeno dal volto ambiguo che non è
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definibile né in un’accezione positiva né in una negativa.
(Muti, 1998)
In questa sede appare necessario chiarire il significato
del termine organizzazione associato al fenomeno del
cambiamento, pertanto da qui in avanti si intenderà per
organizzazione: un ente socialmente attivo e di una qualche
complessità che, indipendentemente da finalità economiche
o extraeconomiche e configurazione giuridica, persegua i
propri scopi basando la propria operatività sulla divisione
dei compiti, non importa se formalizzata in un mansionario
o implicitamente indotta da usi e consuetudini (Perrone,
2004).
E’ pressoché impossibile riassumere in una sola
definizione o interpretazione cosa sia un cambiamento
organizzativo, in quali ambiti si manifesti e quali
conseguenze possa avere, nella vita di un’organizzazione e
delle persone che la popolano. Per questo motivo sono
innumerevoli i contributi con i quali gli autori, sin dagli
anni ’50, tentano di definire l’oggetto del cambiamento
organizzativo.
Di seguito si danno alcuni esempi di definizione del
cambiamento:
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Il cambiamento è un processo volontario e collaborativi per
risolvere un problema o, in via più generale, per
programmare ed attuare un miglior funzionamento delle
organizzazioni.
(W.G.Tennis, 1969)
Il cambiamento è trasformazione di un sistema
d’azione…una operazione che mette in gioco la capacità di
gruppi diversi, impegnati in un sistema complesso,a
collaborare.
(M.Crozier, E.Friedberg, 1977)
Il cambiamento è mutamento dei ruoli e delle relazioni
proprie dei ruoli e quindi anche delle mansioni e dei
rapporti personali di coloro che li esplicano.
(A.K.Rice, 1963)
Il cambiamento è un fenomeno che ha un aspetto tecnico ed
un aspetto sociale: l’aspetto tecnico del cambiamento
consiste nel realizzare una modificazione nei consueti
procedimenti meccanici del lavoro…l’aspetto sociale del
cambiamento si riferisce al modo in cui le persone, che sono
direttamente coinvolte nello stesso processo di
cambiamento, pensano che esso modificherà le loro
radicate relazioni nell’organizzazione. (P.R.Lawrence,
1964)
Il cambiamento ha due fonti: un input mutato dall’ambiente
esterno che include il super sistema dell’organizzazione(…)
e tensioni interne al sistema o squilibri (P.Katz, R.Kahn,
1966)
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Il cambiamento è maggiore se: l’organizzazione ha alle
spalle una storia breve…se la sua struttura formale si
propone di trarre profitto da nuove possibilità di
mercato…se ha un’alta rotazione di personale…se i suoi
membri sono palesemente insoddisfatti l’uno dell’altro…se
ha dei leader che amano il rischio.
(C.Sofer, 1963)
In Italia Federico Butera (Butera, 1992) teorizza le due
qualità principali del cambiamento organizzativo, l’essere
un cambiamento cumulativo e l’essere un cambiamento di
modello, la differenza consiste principalmente nel modo di
vedere l’organizzazione.
Il cambiamento cumulativo è il mutamento delle
tecniche specifiche di gestione dell’azienda; presuppone che
l’organizzazione sia composta da una serie di norme e
tecniche che riguardano la divisione del lavoro e della
responsabilità, i meccanismi di connessione tra uomini e
macchine, la gestione delle operazioni tecniche e sociali.
Queste norme devono essere tra di loro convergenti e
adeguate alla natura degli obiettivi e delle risorse a disposi-
zione. Nel cambiamento di modello l’organizzazione è vista
come un modello di governo con il quale si cerca di
ricondurre ad unità una serie di elementi dispersi. La natura
dei cambiamenti può riguardare diversi aspetti, oggetto di
trasformazione infatti possono essere le attività lavorative, i
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confini organizzativi, le strutture organizzative o le profes-
sionalità e le competenze delle persone.
1.2 Le tipologie di cambiamento
Le organizzazioni, in presenza di un cambiamento,
reagiscono con l’adozione di programmi, politiche e
comportamenti veri ritenuti validi per superare gli ostacoli
correlati al fenomeno del mutamento. Non è possibile, in
questa sede, descrivere dettagliatamente tutti i tipi di
cambiamento che possono interessare una realtà organiz-
zativa, ma di seguito, se ne enunceranno brevemente
quattro principali tipologie (Fontana, 1993).
a) il cambiamento strutturale
I programmi di cambiamento strutturale assimilano
l’organizzazione a un insieme coordinato di elementi
funzionali. Il top management tenta di riconfigurare gli
elementi per ottenere una performance complessivamente
più soddisfacente. Le fusioni, le acquisizioni, i
consolidamenti e le dismissioni di unità operative sono i
tentativi di attuazione di un cambiamento strutturale.
Fondamentalmente le strutture organizzative delle aziende
assumono configurazioni diverse, perché molteplici sono i
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fattori che determinano le condizioni dell’ambiente (interno
ed esterno) nel quale le organizzazioni si trovano ad
operare. Tra i fattori concorrenti del cambiamento
strutturale si possono osservare l’innovazione tecnologica, il
mercato e la produzione.
b) il cambiamento tecnologico
L’organizzazione si innova e lo fa sempre più spesso
attraverso le tecnologie. Le tecnologie sono fondamentali
per la velocizzazione dei processi organizzativi, dei sistemi
gestionali e soprattutto sono strumenti capaci di rendere
l’azienda competitiva sul mercato. Il taylorismo considerava
la tecnologia come un elemento dato e non come, in realtà
essa è, una variabile suscettibile d’essere influenzata dalle
altre parti del sistema organizzativo.
Il cambiamento apportato dalla tecnologia, influenza a sua
volta gli altri ambiti del sistema organizzativo, come ad
esempio i processi gestionali (decisionali, operativi) e il
sottosistema umano.
c) il cambiamento di processo e dei sistemi gestionali
Questo tipo di cambiamento si focalizza sulla modifica del
come, ovvero dei processi operativi (approccio alla gestione
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dei reclami, processi decisionali…). Il cambiamento della
gestione dei processi mira a renderli più rapidi, più efficaci e
meno costosi. I cambiamenti dei sistemi gestionali
(informativo, decisionale ed operativo) sono strettamente
connessi con i cambiamenti strutturali e con la variabilità
dei fenomeni che l’azienda deve gestire. I cambiamenti
strutturali infatti, non si esauriscono nella modifica del
disegno organizzativo ma esigono un adeguamento dei
processi operativi. Cambiamenti di processo o di gestione
possono però manifestarsi anche in assenza di mutamenti
strutturali; ad esempio, potrebbero essere dettati dalla turbo-
lenza dell’ambiente in cui l’azienda opera.
d) il cambiamento culturale (o più in generale del sotto-
sistema umano)
I programmi di cambiamento culturale si concentrano sul
lato umano dell’organizzazione come, ad esempio, l’approc-
cio generale al business dell’azienda o la relazione tra il
management e i dipendenti. Il passaggio da un modello
organizzativo dirigista (autoritarismo, poteri accentramento,
controllo, gerarchia…) ad un modello partecipativo (autore-
volezza, decentramento, potere condiviso, partecipazione…)
è cambiamento culturale interno all’organizzazione.
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I cambiamenti realizzati a questo livello rendono operativi i
mutamenti negli altri ambiti (strutturale, gestionale,
tecnologico); spesso infatti il processo di cambiamento
organizzativo inizia proprio con dei progressi nel sotto-
sistema umano in quanto, modificando l’orientamento
professionale o lo stile di leadership dei capi, si predi-
spongono le condizioni per realizzare in seguito i
cambiamenti gestionali e strutturali.
1.3 La disposizione degli individui
Nel 1999 la Discovery Learning Inc. di Greensboro
nel North Carolina ha messo a punto un’utile metodologia
per misurare la disposizione al cambiamento di ciascun
individuo, da cui si può desumere dove si posizionerà quella
persona su un continuum di “stili preferiti” (Musselwhite,
Ingram, 1999). Nel modello elaborato sono presentate tre
tipologie di individui correlate a tre diversi stadi di
accettazione del cambiamento.
Ad un estremo del continuum, si trovano i
conservatori; questi sono persone che preferiscono la
situazione attuale all’ignoto e che si trovano più a loro agio
nell’affrontare un cambiamento graduale piuttosto che uno
radicale. Antitetici ai conservatori sono gli originatori;
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questi preferiscono vivere un cambiamento rapido e radicale
che li proietti subito in una nuova situazione senza essere
costretti a vivere situazioni in bilico tra il vecchio e il nuovo
stato di cose. Gli originatori sono i rappresentanti
dell’approccio ristrutturativo al cambiamento, nel modello
della Discovery Learning. L’obiettivo dell’originatore è
quello di mettere in discussione la struttura organizzativa in
essere, producendo dei cambiamenti rapidi, sostanziali e
spesso persino sistemici. In una posizione intermedia tra
questi due estremi si trovano i pragmatici che appoggiano il
cambiamento quando questo affronta dei problemi concreti
e immediati. I pragmatici sono meno legati alla struttura in
essere che alle nuove strutture, considerando queste ultime
di successo.
Di seguito si riassumono le caratteristiche dei tre
approcci adottati dagli individui per affrontare un
cambiamento (Musselwhite, Ingram, 1999):
a) i conservatori di fronte al cambiamento:
ξ appaiono generalmente decisi, disciplinati e organizzati
nel lasciare le cose “così come stanno”
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ξ preferiscono dei cambiamenti compatibili con la strut-
tura in essere piuttosto che cambiamenti radicali in gra-
do di sovvertire la realtà che essi conoscono bene
ξ tendono ad operare in base a degli assunti convenzionali,
sono poco inclini ad adottare schemi operativi nuovi ed
originali
ξ amano la prevedibilità; l’inatteso li spaventa e desta-
bilizza.
ξ possono apparire cauti e inflessibili
ξ si concentrano sui dettagli e sulla routine distogliendo
l’attenzione dall’oggetto che sta subendo il cambiamen-
to
ξ rispettano la tradizione e la prassi consolidata.
b)i pragmatici di fronte al cambiamento:
ξ tendono a utilizzare un approccio intermedio tra i
conservatori e gli originatori
ξ sono pratici, ragionevoli, flessibili
ξ preferiscono un cambiamento che enfatizzi dei risultati
pratici
ξ sono più focalizzati sui risultati che sulla struttura
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ξ agiscono da mediatori del cambiamento all’interno
dell’organizzazione, fornendo anche agli altri gli
strumenti per una corretta comprensione del fenomeno
ξ sono disposti a prendere in considerazione le due tesi
contrapposte, sanno valutare con discernimento sia la
struttura in essere, messa in discussione dal cambia-
mento, sia le novità che questo può apportare
ξ sono orientati al lavoro di team, non hanno paura che le
loro convinzioni possano essere minate dal confronto
con gli altri, ritenendo al contrario che il gruppo fornisca
all’individuo punti di vista diversi con cui guardare al
cambiamento
c) gli originatori di fronte al cambiamento:
ξ tendono ad apparire disorganizzati, indisciplinati, origi-
nali e spontanei
ξ preferiscono un cambiamento che metta in discussione
la struttura in essere, piuttosto che un processo graduale
che li costringa ad adattarsi gradualmente alle novità
ξ tendono a contestare gli assunti accettati in modo indi-
scusso dalle persone dell’organizzazione
ξ amano il rischio e l’incertezza, situazioni queste, che
possono condurre ad un rinnovamento organizzativo
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ξ sono poco pratici e perdono di vista dei dettagli impor-
tanti
ξ tendono ad apparire visionari e sistematici
ξ mostrano poco rispetto per le politiche di gestione rigide
e le procedure standardizzate.
1.4 Agenti e nemici del cambiamento
Gli agenti
Gli agenti di cambiamento sono dei catalizzatori che
mettono in moto il processo di trasformazione, anche se
possono non agire in prima persona. Everett Rogers li ha
descritti come i costruttori di un ponte ideale che gli altri
possono utilizzare; essi aiutano le persone a capire quali
siano i problemi e le convincono ad affrontarli. A suo
giudizio gli agenti di cambiamento assolvono le seguenti
funzioni:
ξ esprimono compiutamente l’esigenza di un cambiamen-
to
ξ vengono riconosciuti come persone affidabili e compe-
tenti
ξ vedono ed esaminano i problemi dal punto di vista del
proprio pubblico di riferimento
ξ inducono le persone a cambiare