Gli antichi greci identificavano la creatività con la capacità poetica, e lo stesso
fece, nel suo saggio “Il poeta”, Ralph Waldo Emerson
2
, il più celebre filosofo
della creatività.
A radicare l'attività creativa, nella società e nella storia, sono le categorie del
"nuovo" e dell’"utile".
Il "nuovo" è relativo al periodo storico in cui viene concepito; l'"utile" è connesso
alla comprensione e al riconoscimento sociale. Tali concetti illustrano
adeguatamente l'essenza dell'atto creativo: un superamento delle regole esistenti
(il nuovo) che istituisce un’ulteriore regola condivisa (l'utile).
S’individuano così anche le due dimensioni del processo creativo che unisce
disordine e ordine, paradosso e metodo.
Le suddette categorie ampliano la sfera delle attività creative a tutto l'agire umano
cui sia riconosciuta un'utilità economica, estetica o etica, e che sviluppi uno dei tre
possibili gradi di novità: l’applicazione nuova di una "regola" esistente,
l’estensione di una regola esistente ad un campo nuovo e l’istituzione di una
regola del tutto nuova.
Poiché si fonda sulla profonda conoscenza delle regole da superare, la creatività
non può svilupparsi in assenza di competenze preliminari.
2
Emerson è stato tra i primi a proporre un'etica individuale basata sulla fiducia in sé e sulla
discussione dei valori tradizionali, e uno dei pochi ad averlo fatto mantenendo il rispetto per la vita
e l'esistenza, contrariamente, ad esempio, ad alcuni pensatori del nichilismo europeo. Nell'etica di
Emerson si trova una singolare combinazione di relativismo (che lo avvicina a Montaigne) e
perfezionismo (che lo avvicina alla tradizione stoica e alle radici puritane della cultura americana).
Non a caso fu definito dai suoi contemporanei "Plotino-Montaigne". Scrisse un numero sterminato
di testi per conferenze e di saggi intorno ai problemi dell'universo e dell'essere, ma non creò un
proprio sistema filosofico. Guardava con grande simpatia all'attivismo politico, abolizionistico, ai
boicottaggi, alle "comuni" e agli esperimenti sociali o (antisociali come quelli di Thoreau) messe
su dai suoi concittadini e amici. Ma cercava sempre anche di tenersi a distanza da questi, di non
lasciarsi coinvolgere troppo. La grandezza di Emerson sta nella vastità degli argomenti trattati e
dello spirito pionieristico con cui se n’è occupato. Pur avendo lasciato tanta traccia di sé nel
mondo delle lettere e del pensiero, appare una figura dai tanti contorni non ben definiti, ancora
inclassificabile. In questo senso, presenta molti degli stessi problemi interpretativi di Nietzsche.
8
Caratteristiche della personalità creativa sono curiosità, bisogno d'ordine e di
successo (ma non necessariamente inteso in termini economici), indipendenza,
spirito critico, insoddisfazione ed autodisciplina.
9
2. CREATIVITÀ E DIRITTO D’AUTORE.
L'art. 1 stabilisce che sono protette le "opere dell'ingegno di carattere creativo"
che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura,
al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di
espressione
3
.
All'art. 6 la legge dice che "il titolo originario dell'acquisto del diritto d’autore è
costituito dalla creazione dell'opera, quale particolare espressione del lavoro
intellettuale".
La legge quindi richiede, ai fini della tutelabilità dell'opera, il requisito della
creatività, e che la creazione sia il risultato di un'attività dell'ingegno umano.
Il concetto di creatività non è definito omogeneamente dalla dottrina e dalla
giurisprudenza.
In termini generali, il carattere creativo è ricondotto ai concetti di novità e
originalità.
La dottrina tradizionale, che ottiene il maggior riscontro nelle pronunce
giurisprudenziali, differenzia il requisito dell'originalità da quello della novità
4
.
3
Art.1 comma 2: “Sono altresì protetti i programmi per elaboratore come opere letterarie ai sensi
della convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie e artistiche, ratificata e resa
esecutiva con legge 20 giugno 1978, n. 399, nonché le banche di dati che per la scelta o la
disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore”.
4
Novità (art. 14, L.B.I.): L’invenzione è considerata nuova se non è compresa nello stato della
tecnica, cioè se non è mai stata divulgata né resa accessibile al pubblico prima della data di
deposito della domanda di brevetto, laddove per "divulgazione" s’intende la manifestazione
dell’invenzione, in maniera tale da consentirne l’attuazione da parte di un esperto del ramo. Non si
ha quindi divulgazione se l’invenzione è fatta conoscere a chi non è in grado di metterla in atto, o
se la diffusione è incompleta e comunque tale da non poter rendere attuabile l’invenzione. Non si
ha, altresì, divulgazione se la conoscenza è data a terzi vincolati al segreto (ad esempio, attraverso
un contratto di lavoro) come nel caso di lavoratori dipendenti.
Originalità (art. 16, L.B.I.): L’invenzione è considerata originale se non deriva dalla semplice
combinazione di elementi presenti nello stato della tecnica. Più precisamente, secondo la
definizione data dall’art.16: "Un’invenzione è considerata come implicante un’attività inventiva
se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica".
In altri termini, l’invenzione non deve limitarsi a proporre una soluzione che sia solo diversa da
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La prima è il "risultato di un'attività dell'ingegno umano" non banale: si è
affermato che l'opera è originale in quanto costituisce il risultato di
un’elaborazione intellettuale che riveli la personalità dell'autore
5
. Questa massima
però si scontra con la realtà pratica: i giudici hanno riconosciuto come suscettibili
di protezione anche le opere il cui contenuto intellettuale è assai modesto.
La novità è da intendersi come "novità di elementi essenziali e caratterizzanti" tali
da distinguere l'opera da quelle precedenti (novità in senso oggettivo).
La conseguenza di tale orientamento è il ritenere tutelabili esclusivamente le sole
opere nuove, che si differenziano da quelle preesistenti, e che raggiungono una
determinata soglia espressiva.
Secondo altri studiosi, la novità non deve essere intesa in senso assoluto ma deve
essere temperata, poiché è facile ravvisare anche in opere di altissima levatura la
traccia di precedenti creazioni altrui, in quanto l'autore si giova del proprio
patrimonio culturale e delle proprie esperienze di percipiente (novità in senso
soggettivo). L'opera ha carattere creativo, quindi, quando reca l'impronta della
personalità dell'autore, riflettendone il modo personale di rappresentare ed
esprimere fatti, idee e sentimenti, e presenta delle caratteristiche individuali che
rivelano l'apporto di un determinato autore.
Altri autori affermano che non esiste un criterio univoco: di volta in volta
quanto è già noto, né deve essere una semplice evoluzione di tecniche o conoscenze note, ma deve
risolvere problemi fino ad allora insoluti, oppure problemi già risolti in modo diverso.
5
La caratteristica fondamentale è che l’opera deve necessariamente riflettere il modo personale di
descrivere ed esprimere fatti, idee e sentimenti, e presentare delle caratteristiche individuali che
rivelino l'apporto di un determinato autore.
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bisognerà applicare i concetti di originalità, novità (soggettiva o oggettiva) e
individualità della rappresentazione per determinare la presenza o meno del
carattere creativo di un'opera dell'ingegno.
Problema diverso è quello della necessità o no di un minimo di complessità
dell'opera, che occorrerà accertare di volta in volta, a seconda delle categorie delle
opere d'ingegno, al fine di concedere la tutelabilità.
Ciò dovrà con ogni probabilità escludersi, per esempio, nel caso dell'emissione di
una sola nota, stando alla definizione abituale di musica come successione di
suoni e di silenzi.
E' necessario, inoltre, che l'attività creativa, per godere di tutela, si concretizzi in
una forma percepibile, che non rimanga a livello di mero pensiero. Ma non
occorre che l'opera sia fissata su un supporto materiale, essendo sufficiente, per
esempio per le opere letterarie, la comunicazione orale.
Tuttavia, il fatto che l'opera non sia stata ancora fissata materialmente determina
alcune conseguenze riguardo alla percettibilità o meno della sua comunicazione e
pone inoltre un serio problema riguardo alla prova della sua esistenza. Per
esempio, nel caso di opera comunicata solo attraverso onde sonore (linguaggio,
musica), si ritiene che la protezione si possa ottenere quando, almeno una volta, vi
è stata percezione da un soggetto diverso dall'autore.
Ma qual è l'oggetto della tutela?
Un illustre giurista tedesco, Kohler, ha elaborato a inizio dello scorso secolo una
teoria per determinare l'oggetto della protezione che viene in sostanza, ancora
oggi, seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti.
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Questa teoria opera una distinzione tra forma esterna, forma interna e contenuto.
La forma esterna è la forma con cui l'opera appare nella sua versione originaria
(insieme di parole e frasi nelle opere letterarie, melodia, ritmo e armonia
nell'opera musicale, ecc.), la forma interna è la struttura espositiva dell'opera
(l'organizzazione del discorso, la scelta e la sequenza degli argomenti nell'opera
letteraria, i passaggi essenziali del discorso musicale e le note determinanti, la
linea melodica nell'opera musicale, ecc.).
Il contenuto è l'argomento trattato, le informazioni, i fatti, le idee, le opinioni, le
teorie in quanto tali, cioè a prescindere dal modo in cui essi sono scelti, coordinati
e presentati.
Secondo tale teoria, la tutela ha per oggetto sia la forma esterna sia interna, ma
non il contenuto.
Il diritto d'autore, quindi, protegge esclusivamente la forma espressiva dell'opera.
Tale teoria è stata oggetto di diverse critiche, in quanto non idonea a distinguere
gli elementi tutelabili da quelli di pubblico dominio
6
In conclusione, non sono suscettibili di protezione né le semplici idee, né le forme
espressive elementari non idonee a rappresentare fatti o sentimenti.
6
Le opere d'ingegno rientrano nel pubblico dominio quando non esiste nessuna legge che
stabilisce dei diritti di proprietà, o quando l'oggetto in questione è specificatamente escluso da tali
diritti dalle leggi vigenti. Ad esempio, la maggior parte delle formule matematiche non è soggetta
a diritti d'autore o brevetti nella larga parte dei casi (anche se la loro applicazione in forma di
programmi per computer può essere brevettata). Similarmente, opere che furono create molto
prima che tali leggi fossero promulgate, fanno parte del pubblico dominio, come i lavori di
William Shakespeare e Ludwig van Beethoven, le invenzioni di Archimede o le opere di
Alessandro Manzoni.
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CAPITOLO I
LE FONTI DEL DIRITTO D’AUTORE
SOMMARIO: 1. CENNI DI STORIA. 2. LE FONTI ORIGINALI. 3. LE FONTI ATTUALI.
3.1. LEGGE N. 633 DEL 22 APRILE 1941. 4. LE FONTI INTERNAZIONALI. 4.1. LA
CONVENZIONE DI BERNA PER LA PROTEZIONE DELLE OPERE LETTERARIE E
ARTISTICHE. 4.2. LA CONVENZIONE UNIVERSALE DEL DIRITTO D’AUTORE. 5. IL
PRINCIPIO DI RECIPROCITÀ. 6. LE DIRETTIVE DELLA CEE
1. CENNI DI STORIA.
Il diritto d'autore è, giuridicamente parlando, molto giovane. Solo in tempi recenti,
rispetto alla normale evoluzione del nostro diritto che comincia a formarsi più di
duemila anni fa, viene sentita l'esigenza di un riconoscimento di un diritto a favore
dell'autore.
Questa esigenza coincide con l'invenzione della stampa e con la conseguente
nascita dell'attività editoriale, produttiva di forti interessi economici, che porta alla
circolazione di un rilevante numero di esemplari stampati.
Ma certamente il problema della tutela delle opere letterarie e artistiche si era
presentato in modo rilevante anche in tempi più antichi: già Seneca aveva notato
come il libraio Doro parlasse dei libri di Cicerone come se fossero suoi, e
sottolineava come fossero nel vero sia il libraio sia coloro che attribuivano i libri
all'autore.
Per comprendere in pieno il diritto d'autore e la sua storia bisogna pertanto tenere
in considerazione la distinzione che si crea tra l'esistenza di un diritto di proprietà
immateriale (corpus mysticum) disgiunto da quello del possesso materiale del
bene (corpus mechanicum), ossia tra il diritto dell'autore di un brano musicale, di
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un manoscritto, di un quadro o di una statua, e il diritto di chi possiede
materialmente questi beni.
Nell'antichità, non essendo possibile (se non in maniera limitata) una produzione
di un numero rilevante di copie tratte dall'originale, non si poneva un problema di
tutela economica: l'autore traeva i mezzi di sostentamento direttamente dai
committenti dell'opera, o dalla città stessa che lo ospitava, o dai principi. Dal
punto di vista della tutela della paternità dell'opera, troviamo in alcuni classici il
racconto di episodi di "plagio", che, scoperti, portano all'allontanamento
dell'autore colpevole.
Nell'Antica Grecia le opere erano liberamente appropriabili (riproducibili) in
mancanza di disposizioni legislative. Gli autori erano comunque tenuti in grande
considerazione e ottenevano lauti compensi. Veniva condannato il plagio
(l'appropriazione di paternità), anche se veniva operata una distinzione tra opere
letterarie e opere dell'arte plastica e figurativa.
In Roma nessun diritto patrimoniale era riconosciuto agli autori di opere
dell'ingegno, ma solo al librario o all'editore che aveva il possesso del
manoscritto. Era però riconosciuto il plagio, il diritto di non pubblicare l'opera e il
diritto d’inedito.
Una volta pubblicata (prima lettura in pubblico, o diffusione tramite manoscritto),
i diritti attenevano alla cosa materiale che ne costituiva il supporto.
Con la caduta dell'Impero Romano, la cultura si rifugia nei monasteri o in pochi
centri abitati di una certa rilevanza. Solo con il sorgere delle Università si sviluppa
una domanda di copie di testi letterari, e di conseguenza, un mercato degli stessi.
Nascono le prime officine scrittorie.
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Un barlume di tutela viene quindi a svilupparsi grazie all'invenzione della stampa
solo nella tarda metà del quindicesimo secolo a Venezia, sotto la forma di
privilegio (di stampa), concesso dapprima agli editori e agli stampatori,
successivamente, in considerazione del lavoro creativo, dello studio e della fatica
che comporta la genesi di un'opera, anche all'autore. A costui venne infatti
riconosciuta la facoltà di prestare il consenso per la pubblicazione della propria
opera.
Il sistema dei privilegi, debitamente ampliato, perdurò fino al diciottesimo secolo,
quando si giunse all'emanazione di leggi più organiche. La più antica è lo Statuto
della Regina Anna del 1709, che introdusse in Inghilterra il copyright (diritto alla
copia), seguita dalla legge federale degli Stati Uniti del 1790 e dalle leggi francesi
rivoluzionarie del 1791 e del 1793, in cui si riconobbe finalmente l'esistenza di
una proprietà letteraria e artistica.
In Italia un primo decreto in materia fu emanato dal governo rivoluzionario
piemontese nel 1799, seguito da una legge più completa, promulgata nel 1801
nella Repubblica Cisalpina.
Successivamente, dopo la restaurazione, furono pubblicati, nei diversi stati,
differenti provvedimenti legislativi: ma data la grossa frammentazione politica
della penisola queste leggi erano quasi inutili per il loro limitato ambito
applicativo.
Per ovviare in parte a questo inconveniente, la Toscana, lo stato Sardo e l'Austria
nel 1840 stipularono una convenzione per una protezione comune del diritto
d'autore.
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2. LE FONTI ORIGINALI.
La prima legge sul diritto d’autore del Regno d’Italia risale al 25 giugno 1865 n.
2537.
Come tutte le leggi degli stati Italiani, che l’avevano preceduta, s’ispirava al
modello francese, fondato sui principi liberisti del Codice Napoleonico, per
elaborare una nozione di proprietà intellettuale trasmissibile agli eredi e avente gli
stessi caratteri di assolutezza che presentano gli altri diritti di proprietà sulle cose
materiali.
Il diritto privato di quella legislazione trovava il suo limite nel disinteresse per i
diritti del pubblico e della cultura e per gli interessi spirituali di entrambi le parti. I
pilastri sui quali poggiava erano Proprietà e contratto
7
.
La Costituzione dell’Unione di Berna, stipulata nel 1886 ed entrata in vigore il 5
dicembre del 1887, accellerò il cammino verso un diritto d’autore più ampio nella
tutela e sempre più rispettoso dei diritti personali dei creatori, come degli interessi
culturali della società.
La protezione dei diritti d’autore, infatti, dopo successive revisioni della
Costituzione e la ratifica del suo testo di Berlino nel 1919, non fu più soggetta alle
formalità costitutive della registrazione delle opere
8
.
Nei primi due decenni del nuovo secolo, varie commissioni governative elaborano
successivi progetti di riforma, che però non furono trasformati in legge.
7
V.M. DE SANCTIS, La costituzione e il diritto d'autore, in Dir. Aut., 1995, 430.
8
GRECO-VERCELLONE, I diritti sulle opere dell'ingegno, Torino 1974, 19 e ss.
17
Il progetto della commissione Polacco-Stolfi fu, però, ripreso dal ministro Rocco
e si giunse all’emanazione del D.L. 7 novembre 1925 n. 1950 trasformato, poi,
nella L. n. 562 del 18 marzo 1926.
Questa normativa prese il nome di “Legge sul diritto d’autore”, proprio per
accentuare il carattere soggettivo del diritto che offriva all’autore uno jus ad
excludendum omnes alios rispetto alle opere derivanti da una sua attività creativa
e a tutela degli interessi personali e materiali di tutte le sue creazioni intellettuali
che hanno come scopo la comunicazione al pubblico.
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