6
CAPITOLO PRIMO
L’INTERSESSUALITÀ COME PROBLEMA SOCIALE.
IL CASO DI CHERYL CHASE
Prima di introdurre questo capitolo, é utile ricordare una riflessione
che Freud fece, successiva ai “Tre saggi sulla sessualità”, che presenta una
certa attualità, nonostante risalga al 1933, e citata da Catherine Harper nel
suo libro, “Intersex” (2007). Freud riconobbe un si gnificativo desiderio
umano di sapere con certezza il sesso di una persona: “quando incontrate
un essere umano, la prima distinzione che fate è se è maschio o femmina; e
siete certi di farlo senza problemi, senza esitazioni”. Il testo di Freud
2
con-
tinua con la descrizione del sesso come fatto biologico, con un’anatomia
stabile, binaria e indiscutibile (solo dopo si distinguerà tra sesso anatomico
e la nozione di “gender”). […] L’intersessualità rappr esenta così un cam-
biamento di quella “certezza senza esitazioni” che Freud descrive come
abituale
3
. (Harper 2007, 1-2). E’ proprio così. Davanti a chiunque siamo
portati a categorizzarlo immediatamente, per inquadrare chi abbiamo da-
vanti; la prima distinzione, che nella maggior parte dei casi facciamo, qua-
si inconsciamente, è quella relativa al sesso. La situazione più esemplifica-
tiva è la nascita di un bambino; la prima domanda è: “è un maschietto o
una femminuccia?”. E’ sempre così. Ma laddove non si possa rispondere
univocamente, con certezza a questo quesito, cosa succede? Siamo davanti
2
S. Freud, “ Femininity”. In Strachey, J. ed. e trad. “Standard Edition of the complete Psycolog i-
cal works of Sigmund Freud”, Vol.22, London, Hogarth Press, 1960 (p. 113)
…a significant human desire to know with certainty what sex a person is: “when you meet a hu-
man being, the first distinction you make is “male or female?” and you are accustomed to make
the distinction with unhesitating certainty”(p.113). Freud’s text continued by describing sex as a
biological fact, with anatomy as stable, binary and indisputable (he subsequently distinguished
between anatomical sex and the less fixed notion of gender). […] intersex represents a notable
challenge to the “unhesitating certainty” Freud described as customary”.
3
C. Harper, “ Intersex”, Berg Publishers, New York, 2007.
7
ad un’incertezza sconcertante, qualcosa che ci destabilizza. Siamo davanti
ad un problema.
L’intersessualità va così configurandosi pian piano come una questi o-
ne sociale (consideriamo che il numero di tali nascite è maggiore rispetto a
quanto i più ritengano; circa un bambino ogni 2.000 nasce con genitali
ambigui per ragioni diverse; esistono negli Stati Uniti più di 2.000 reparti
di chirurgia destinati ad effettuare ogni anno riassegnazioni chirurgiche di
sesso a questo tipo di pazienti intersessuali)
4
. Precisiamo però il fatto che
lo stesso problema sociale, assume forme diverse a seconda della specifica
cultura e società in cui approda. Ad esempio, rimanendo sul caso
dell’intersessualità, in un paesino della Repubblica Dominica na, negli anni
Settanta, si scoprì una forma di pseudoermafroditismo che coinvolse tren-
totto persone (provenivano da ventitré famiglie estese e abbracciavano
quattro generazioni); gli abitanti del posto li chiamavano guevedoche, e
per la familiarità acquisita nel corso del tempo, li accettano come “terzo
sesso”
5
. Per dirla nei termini di Griswold, secondo lo schema del diaman-
te culturale, è un esempio di come l’intersessualità (occidentalmente int e-
sa, quindi come malattia, deformità) in quanto oggetto culturale, assuma
un diverso significato trasportato in un altro mondo sociale. “I sistemi cu l-
turali trasformano eventi e oggetti culturali con significati specifici ad ogni
cultura”
6
(Griswold 2005, 133). La sofferenza umana, generata dall’evento
(ad esempio il nascituro intersessuale), viene trasformata da un accadimen-
to (l’operazione ch irurgica per la riassegnazione del sesso) in un oggetto
culturale significativo (l’intersessuale come malformazione dei genitali),
che viene a sua volta riconosciuto come problema sociale.
Trasportiamo quanto detto nell’esperienza esemplificativa
dell’attivista intersessuale Cheryl Chase, fondatrice dell’ Intersex Society of
4
www.promiseland.it/view.php?id=1504, consultato il 02-12-2009, ore 15:00.
5
ibid.
6
W. Griswold, “ Sociologia della cultura”, Il Mulino, Bologna, 2005 (pp.131 -157).
8
North America. Nata con genitali ambigui, è stata cresciuta come un bam-
bino fino a 18 mesi; a quest’età i medici hanno detto ai suoi familiari che
si trattava in realtà di una bimba e che quindi bisognava procedere
all’asportazione della pronunciata clitoride. A 8 anni, è stata sottoposta
all’operazione per rimuovere ciò che in seguito ha saputo essere la porz io-
ne testicolare delle sue ovaie-testicolo. Attualmente vive come donna.
L’escissione chirurgica e il tessuto cicatriziale l’hanno privata della sens i-
bilità clitoridea; la Chase afferma: ” “Mutilazione dei genitali” è una def i-
nizione per noi facile da applicare agli appartenenti ad una cultura del Ter-
zo Mondo, sennonché ogni pratica di mutilazione attuata da medici auto-
rizzati nel nostro mondo vanta invece un’aura di credibilità
ca”
7
(C.Chase, 1998, 207). L’esperienza della Chase è stata condivisa a
pieno da molti intersessuali che da bambini sono stati sottoposti ad esami
ingiustificati, interventi chirurgici, e infezioni. Il ricorso alla chirurgia e-
stetica viene fatto per “normalizzare” l’aspetto ambiguo dei genitali. Da
tale esperienza la Chase e altri studiosi hanno creato una sorta di notizia-
rio
8
, che raccoglie le storie di molti “corretti”; ciò provocò una grande a t-
tenzione pubblica, fece in modo che l’eco di tali testimonianze velocizza s-
se il processo di costruzione dell’intersessualità come pr oblema sociale, e
che venisse realmente avvertito come tale. Se è divenuto problema è per-
ché grazie a quelle testimonianze le persone hanno preso coscienza del fat-
to che l’intersessualità è qualcosa a cui nessuno è immune; ognuno di noi,
pur essendo nato con genitali ben definiti, può accorgersi, nel corso della
vita, di avere un qualche dismorfismo (anche solo a livello ormonale)
9
.
Ovviamente, come altre questioni sociali nella storia (come ad esempio
7
Cheryl Chase, “ Looking Queer: Body image and identity in Lesbian, Bisexual, Gay and trans-
gender communities”, Haworth Press, 1998 .
8
Fondato nel 1994, dal titolo “Hermaphrodites with Attitudes”;
www.promiseland.it/view.php?id=1504, consultato il 02-12-2009, ore 15:00.
9
è utile ricordare che tra i vari stati intersessuali vengono annoverati anche “scompensi”molto
comuni, come: precocità sessuale, pubertà precoce, menopausa prematura, ipofunzione ed iper-
funzione testicolare.
9
l’AIDS, la criminalità, l’alcolismo, etc.), vivono i l oro momenti di popola-
rità; crescono e calano in termini di attenzione, pur essendo sempre pre-
senti.
10
CAPITOLO SECONDO
“INTERSESSUALITÀ ”: UNO SGUARDO AL PASSATO
L’intersessualità negli esseri umani si riferisce alla presenza di comb i-
nazioni intermedie o atipiche di caratteristiche fisiche che solitamente di-
stinguono il sesso maschile da quello femminile.
Solitamente viene intesa come un’anomalia a livello cromosomico,
morfologico, genitale e/o gonadico; non è altro che la “deviazione” dallo
stereotipico assetto cromosomico XX = femmina, XY = maschio, che si
traduce in inversione sessuale e/o differenze di sviluppo sessuale. Un or-
ganismo intersessuale (quindi anche in ambito animale) può avere caratte-
ristiche biologiche di entrambi i sessi. Il termine intersessualità è stato a-
dottato in ambito medico a partire dal XX secolo in poi, e riferito agli esse-
ri umani il cui sesso biologico non può essere attribuito inequivocabilmen-
te ad uno dei due sessi. E’ opportuno a questo punto ripercorrere la nascita
e l’evolu zione di tale concetto fino ai giorni nostri.
2.1. Breve excursus storico nell’ambito della cultura occiden-
tale
Storicamente si parlava di Ermafroditismo, termine derivato dalla mi-
tologia greca, descritto da Ovidio nelle “Metamorfosi”, dal nome del dio
greco Ermafrodito, che presentava i tratti fisici di entrambi i sessi. Il mito
racconta della ninfa Salmacide, che, in una fontana presso Alicarnasso, si
avvinghia al corpo del giovinetto amato per non esserne mai più separata,
dando luogo ad una nuova creatura, l’Ermafrodito appunto. Ovidio narra
di questo giovinetto, allevato dalle Naiadi, che aveva un aspetto così bello,
11
che potevano esservi riconosciuti il padre e la madre, dai quali trasse il
proprio nome dal greco Ermaphròditos, figlio di Hermés (Mercurio) e A-
phrodites (Venere).
10
(Metamorfosi, IV).
Presso i Greci e i Romani sembra che Ermafrodito non abbia avuto
culto, e secondo alcune opinioni, di tale divinità si occuparono soprattutto
le arti figurative e la poesia, più che la religione. Così, il dio Ermafrodito
si configura come l’unione in sé delle due polarità, uomo e donna.
Tra i filosofi greci, dopo Eraclito, che aveva sottolineato l'unità dei contra-
ri, secondo cui l'identità è l'altra faccia della diversità
11
, Platone aveva so-
stenuto l'origine androgina dell'uomo.
Nei Dialoghi
12
della maturità si legge:
“Nel principio, tre erano i sessi dell'uomo, non due, il maschio e la femm i-
na, come ora: ce n'era un terzo che aveva in sé i caratteri degli altri due,
ma che oggi è scomparso e del quale resta soltanto il nome: l'andrògino.
Esso, infatti, era un essere a sé stante che, nell'aspetto esteriore e nel nome,
aveva dell'uno e dell'altro, cioè, del maschio e della femmina; oggi, ripeto,
non resta che il nome che, per di più, ha un significato infamante. Inoltre,
la figura di questo essere umano era arrotondata, dorso e fianchi formava-
no come un cerchio; aveva quattro mani e quattro erano pure le gambe;
aveva anche due facce, piantate su un collo anch'esso rotondo, completa-
mente uguali e attaccate, in senso opposto, a un unico cranio; aveva quat-
tro orecchie, doppi gli organi genitali e, da tutto questo, possiamo immagi-
narci il resto. Camminavano in posizione eretta, come noi, volendo pote-
vano spostarsi in qualunque direzione e, quando correvano, facevano un
10
“cuius erat facies, in qua materque paterque cognosci possent; nomen quoque traxit ab illis”
(Metamorfosi, IV, vv 290-291).
11
Nell’opera del filosofo “ De Rerum natura” (Sulla Natura), si legge: “Ciò che si oppone co n-
verge, e la più bella delle trame si forma dai divergenti; e tutte le cose sorgono dalla contesa. E
dentro di noi è presente un’identica cosa: v ivente e morto, e lo sveglio e il dormiente, e giovane e
vecchio: di fatti queste cose, una volta rovesciate, sono quelle, e quelle dal canto loro, una volta
rovesciate, sono queste”. Eraclito, Frammenti 14[A 5.115] .
12
Platone, Il Simposio, “Il discorso di Aristofane”, mito dell’androgino, (cap. XIV) .
12
po' come i nostri saltimbanchi che gettano in aria le gambe e capriolettano
su se stessi: e poiché gli arti erano otto, appoggiandosi su di essi, procede-
vano, a ruota, velocemente. I sessi erano tre, perché quello maschile aveva
avuto origine dal sole, quello femminile dalla terra e l'altro, con i caratteri
d'ambedue, dalla luna, dato che quest'ultima partecipa del sole e della terra
insieme: perciò avevano quell'aspetto e si spostavano rotolando, perché
somigliavano a quei loro progenitori. Avevano una resistenza e una forza
prodigiosa, nonché un'arroganza senza limiti, tanto che si misero in urto
con gli dèi e quel che dice Omero di Efialte e di Oto, che tentarono di sca-
lare il cielo, va riferito a costoro”. (Il Simposio, XIV). D opo Eraclito e i
Presocratici, Platone e Ovidio, va sempre più scomparendo l’idea di un
terzo sesso (che nella cultura classica ha sempre rappresentato qualcosa di
divino che si discosta dal terreno), e la possibilità di liberarsi dalla dicoto-
mia maschio/femmina. Da qui in poi l’ermafroditismo è di ventato sinoni-
mo di mostruosità. “Erano denominati ermafroditi, coloro nei quali si gi u-
stapponevano, secondo proporzioni che potevano essere variabili, i due
sessi. In tal caso, era il ruolo del padre o del padrino (di coloro, quindi, che
“nominavano” il b ambino) a fissare, nel momento del battesimo, il sesso
che sarebbe stato preso in considerazione”
13
. (Foucault 1997, 177)
Nel caso di un intersessuale quindi, non si trattava di riconoscere la
presenza di due sessi giustapposti o sovrapposti, quanto di decifrare (com-
pito del medico) il sesso che si cela dietro apparenze confuse. Ciò compor-
tava lo scomparire della libera scelta da parte del soggetto; non spetta
all’individuo decidere in quale sesso si riconosce, bensì all’esperto. Non a
caso lo stesso Foucault parla dell’ermafroditismo come “travestimento de l-
la natura”, che spetta al medico scoprire. Ma dopo l’attribuzione di sesso
dell’esperto vi era un “unico imperativo: nessun cambiamento successivo,
13
R. Braidotti, L. Mcnay, D. Cook, M. Tijattas, J-P. Delaporte, J. Sawicki, K. Vintges, J. Butler,
H. Cixous, ” Michael Foucault e il divenire donna”, Mimesis, Milano, 1997.
13
mantenere sino alla fine dei propri giorni quel sesso dichiarato”. (Foucault,
1997, 177)
Nel corso dei secoli le condizioni di ermafrodito e/o intersessuale sa-
ranno definite patologie, degenerazioni, “errori della natura”, anomalie
genetiche e peggio ancora.
E’ nel XIX secolo che si affaccia la costruzione di u na vera e propria
teoria generale della “degenerazione”. Più precisamente, è a partire dalla
pubblicazione del libro di Bénédict-Auguste Morel (1809-1873), dal titolo
Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l'e-
spèce humaine, et des causes qui produisent ces variétés maladives , che
si diffonde un certo degenerazionismo, che per più di mezzo secolo farà da
quadro teorico, e insieme da giustificazione sociale e morale, a tutte le tec-
niche di individuazione, classificazione e intervento sugli “anormali”. M o-
rel parte dal presupposto che la razza umana è uguale a se stessa; e cioè
che non si è “evoluta da” né si “evolve verso”
14
; semplicemente assistia-
mo in alcuni casi ad un allontanamento dal suo standard ottimale a causa
di circostanze ambientali e/o sociali
15
. Per lo studioso la degenerazione è
ereditaria, può aggravarsi a tal punto di generazione in generazione fino
all’estinzione del “ceppo” ammalato. L’unico rimedio proposto è quello di
attuare un’igiene sociale, ovvero fornire condizioni di vita migliori ai di-
scendenti dei degenerati. Quella di Morel fu una posizione ben presto
screditata (dopo soli due anni dalla pubblicazione del suo Trattato, quindi
nel 1859) da Charles Darwin con “ L’origine della specie”, ma a ncor di più
da Herbert Spencer (nei “ Principi di biologia”, 1872), colui il quale inte r-
pretò il darwinismo in termini sociali. Spencer infatti, applicò il modello
14
Bénédict - Auguste Morel, Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de
l'espèce humaine et des causes qui produisent ces variétés maladives, Ballière, Paris 1857 (2
voll.).
(da www.giovannidallorto.com – link: saggi di storia gay, consultato il 05-12-2009, ore 10:00).
14
evoluzionistico darwiniano al sistema sociale, sostenendo però che nella
lotta per la sopravvivenza non è tanto il più adatto a sopravvivere, quanto
il più forte. Bisogna ricordare che fino a questo momento, le diversità ses-
suali venivano lette come degenerazioni, in quanto tali studiosi erano
all’oscuro della genetica e degli studi sugli ormoni sessuali (per qu esto bi-
sognerà aspettare i primi decenni del XX secolo). In ogni tentativo di spie-
gare questi fenomeni degenerativi, almeno fino alla prima metà del Nove-
cento, a prevalere è la natura biologica dell’uomo. Si ritiene infatti che
siano i caratteri fisici a determinare quelli spirituali. Emblema di tale posi-
zione, è Francis Galton (1822-1911, cugino di Darwin); Galton infatti, af-
fermò l’assoluta preminenza della “ nature” sulla “ nurture”; già dal te rmi-
ne introdotto dallo studioso, eugenetica, si capisce la direzione che ben
presto prenderanno le sue idee. Il termine, derivante dal greco classico,
(agg. ευγονικής, eugenico), significa “di buona qualità”, o se riferito agli
uomini, “di buona sti rpe”
16
. Galton teorizzò il miglioramento progressivo
della razza secondo criteri analoghi a quelli dell’evoluzione biologica. Per
il suo progetto era fondamentale il ruolo delle istituzioni, che consisteva
nella selezione degli adatti. A sintetizzare meglio l’idea, basta
un’affermazione dello studioso stesso, che scrisse: “ In condizioni di parità
razziale e di normalità ambientale, nella competizione tra nature e nurture,
[...], la prima si dimostra certamente la più forte tra le due”. (F.Galton
15
Per Morel queste circostanze possono essere climatiche, o culturali, ma egli individua come
causa primaria le inumane condizioni di vita e di lavoro che la Rivoluzione industriale ha impo-
sto alle classi lavoratrici.
16
Brambilla Giorgia, “ Il mito dell’uomo perfetto”, If Press, Morolo, 2009. (versione online)
Il termine “ eugenics”, da cui “eugenetica” o “eugenica” – che noi utilizzeremo indistintamente –
è di derivazione greca. L’aggettivo significa di buo na qualità, se riferito agli animali, e di buona
stirpe – nel senso di nobile – se riferito agli uomini. Alcuni autori ravvisano una differenza se-
mantica nei due termini. Ad esempio, Luigi De Carli afferma che: « al primo [eugenetica] può
essere attribuito un significato più tecnico, in quanto con esso viene indicato il miglioramento
genetico ottenuto attraverso la selezione e la induzione di modificazioni nel DNA, al secondo
[eugenica] un significato più “politico” in quanto espressione di un particolare indirizzo della ge-
netica umana ed un insieme di misure atte ad eliminare caratteri ereditari deleteri e a incrementa-
re la diffusione di caratteri vantaggiosi nelle popolazioni umane ». Cfr. L. DE CARLI, Biologia
ed Eugenetica, in “Humanitas”, 4/2004, p.678 .
15
1874, 184). L’opera degli eug enisti, sarà alla base di scelte ed orientamenti
politici, che lasceranno una terribile traccia nella storia del primo Nove-
cento. Al centro delle utopie negative di cui si parla, di queste distopie, sta
la riduzione dell’identità dell’uomo ad una serie quantificabile di atte g-
giamenti e comportamenti, e questa serie è irrimediabilmente scritta nel
corpo delle persone: la nurture (educazione, igiene, interazione con gli al-
tri), ciò che noi chiamiamo cultura, modifica, secondo questa tesi, in modo
quasi irrilevante le predisposizioni biologiche, rendendo necessario un in-
tervento sui fattori ereditari. Se, solo intervenendo sui meccanismi eredita-
ri è possibile ridefinire il volto dell’umanità, allora si tratta di selezionare
gli uomini come per secoli si è fatto con gli animali. Questa ridefinizione,
tecnicamente realizzabile, in Galton presenta due tipi di intervento, cioè:
1) l’Eugenetica positiva
17
, indica l’insieme di pratiche e politiche volte ad
incrementare la presenza dei soggetti eugenici, cioè portatori dei caratteri
valutati come positivi nelle società, principalmente tramite matrimoni ed
unioni tra portatori di caratteristiche desiderabili; e 2) l’Eugenetica negat i-
va
18
, invece, si riferisce ai tentativi di opporsi alla diffusione delle caratte-
ristiche disgeniche, quindi negative, tramite per esempio la sterilizzazione
coatta, l’immigrazione selettiva o l’eliminazione diretta dei soggetti disg e-
nici. Bisogna ricordare che nel lessico degli eugenisti, le due espressioni
non sono cariche di valenza etica, ma sono solo i due metodi per realizzare
il cosiddetto miglioramento della specie umana. Questo è quanto fu propo-
sto da Galton, che con le sue teorie, rafforzò ancor più l’idea (tanto in v oga
nel XIX secolo) secondo cui le cause della diversità (non solo sessuale),
nonché del comportamento deviante, debbano essere cercate nella fisiolo-
gia. In altre parole, gli studiosi di fine Ottocento, attribuivano l’origine
della diversità ad un arresto di sviluppo del sistema nervoso.
17
www.federica.unina.it (Etica e bioetica, Emilia D’antuono) , consultato il 05-12-2009, ore
20:00.
18
ibid.