4
Lo stesso Achenbach se lo chiede, e, in riferimento ad una definizione di “professione” fornita
dalla studiosa Margherita von Brentano
3
, perviene ad una risposta negativa.
Eppure, per quanto, ed è bene ricordarlo, pochissimi consulenti al mondo vivano solo e
unicamente di essa, la Consulenza filosofica è diventata un lavoro retribuito.
Cosa significa dunque? Forse che è aumentata la richiesta di filosofia? O forse, che tale
professione ha dovuto rinunciare ad essere filosofica tout-court per rendersi più appetibile e
vendibile presso il largo pubblico vestendo i panni della più consueta “professione di cura”?
Probabilmente, come rileva Ran Lahav, uno dei teorici internazionali, a mio giudizio, più
significativi e interessanti di questo ambito, molti consulenti filosofici hanno optato per questa
versione della Consulenza filosofica, ossia per una visione orientata verso la risoluzione del
problema (Problem-Solving Vision), finendo per tralasciare l’elemento, più genuinamente filosofico,
della ricerca della saggezza (Wisdom-oriented vision)
4
.
E’ comunque un fatto che la Consulenza davvero “filosofica” è una professione esistente: non è
però verosimile affermare che essa deve la sua esistenza concreta ad una vera e propria richiesta o
“domanda di filosofia”. Come testimoniano tutti i più noti consulenti filosofici, la maggior parte
delle persone che richiede una consulenza, lo fa per risolvere dei problemi molto pratici e non tanto
con l’intenzione di “filosofare”.
Ma, come abbiamo visto poco sopra, se il dialogo che si attua nella Consulenza filosofica non ha
di mira la risoluzione di problemi pratici ma la loro chiarificazione e comprensione, allora il
consulente filosofico non può dare una risposta o risolvere il problema del suo consultante perché
quello non è il suo compito. Se “serio”, il consulente spiegherà dettagliatamente, fin da subito, quali
sono i presupposti della sua pratica, di modo che egli possa decidere se indirizzare la sua ricerca di
aiuto verso un altro canale o se proseguire comunque le sedute di Consulenza filosofica.
La questione, ora, è questa: cosa può spingere una persona, inizialmente interessata a risolvere il
suo problema, a intraprendere un percorso di Consulenza filosofica?
Il consulente filosofico italiano Neri Pollastri, con l’avallo della sua pluriennale esperienza
professionale nel campo, prova a rispondere nel modo seguente: “Secondo la tradizionale
caratterizzazione di una professione, essa (la Consulenza filosofica, ndr.) non potrebbe dunque
esistere. Nè di diritto, il professionista millanterebbe un credito che non ha, né di fatto, dopo un
primo incontro chiarificatore il consultante non tornerebbe più. Ma così non è , perché la ricerca e
3
“Esercitare una professione significa fare qualcosa in relazione agli altri, sulla base della richiesta obiettiva di una
prestazione o del suo prodotto. Ciò significa concretamente che l’attività viene onorata, nei due sensi: riconosciuta
come necessaria e remunerata, così che si possa vivere di essa”. M. von Brentano, Philosophie als Beruf, a cura di V.J
Schickel, Frankfurt 1982, p.61 cit. in G. B. Achenbach, La consulenza filosofica, p. 78
4
R. Lahav, Philosophical Practice as Contemplative Philo-Sophia, Part 1: The Problem-Solving Vision versus the
Wisdom Vision; Part 2: Towards a wisdom-inspired vision of philosophical practice, in
http://www.geocities.com/ranlahav/index.html
5
la riflessione che sorgono attraverso il dialogo modificano il senso del problema e, con esso, quello
della domanda. Questo è infatti ciò che fa la filosofia: di fronte a domande senza risposta, tali sono i
famosi e tradizionali ‘problemi filosofici’, s’interroga sul senso della domanda, lo comprende, lo
amplia, lo modifica”
5
.
E’ in questo modo che, già dalla fine della prima seduta, al consultante dovrebbe essere chiaro in
quale direzione la Consulenza filosofica intenda lavorare: verso la comprensione del senso del
problema e non verso la sua risoluzione. Solitamente, il consultante decide di ritornare proprio
perché, già dal primo incontro, ha incominciato a “toccare con mano il potere del pensiero
filosofico”. Ecco dunque perché, oggi più che mai, la Consulenza filosofica non può essere altro che
una professione paradossale: essa “può esistere solo negando ciò che viene richiesto, facendo
qualcos’altro dal ‘dare risposta’”
6
.
Devo aggiungere che, durante la mia ricerca, ho potuto appurare come il mondo della
Consulenza filosofica sia fondamentalmente un mondo vasto ed eterogeneo e non riducibile al solo
aspetto professionale.
In effetti, il consulente filosofico sivigliano José Barrientos Rastrojo, sulla scorta di alcune
riflessioni di Ran Lahav, preferisce parlare di due forme di Consulenza filosofica: come professione
di “aiuto” in cui si lavora sull’analisi del contenuto del pensiero, e come cammino di vita, in cui si
lavora sull’ ”approfondimento della filosofia” con il fine di raggiungere, da una parte una maggior
consapevolezza della realtà e, dall’altra, un aumento della propria armonia interiore e un
miglioramento delle proprie condizioni di vita
7
.
Molti sono gli elementi e i nodi problematici che hanno caratterizzato la Consulenza filosofica
fin dalla sua nascita: dalla mancanza di una definizione, di un metodo e di una teoria standard al
suo controverso rapporto con il mondo delle psicoterapie, e, in particolar modo, con la psicoanalisi.
Nel presente scritto sarà mia intenzione illustrare questi punti, con una particolare attenzione
all’aspetto della sua diffusione e localizzazione : come vedremo, infatti, il carattere estremamente
problematico della definizione di Consulenza filosofica risiede, oltre che nell’apertura che ha
caratterizzato la Philosophische Praxis fin dai suoi albori, proprio nella specificità storico-nazionale
in cui è stata importata e nella diversa interpretazione a cui è stata sottoposta.
L’ultima parte dell’elaborato sarà invece dedicata alla presentazione di alcuni modelli di
Consulenza filosofica, rispettivamente quelli degli israeliani Shlomit Schuster e Ran Lahav e
dell’italiano Neri Pollastri, da me intervistato nel suo studio di Firenze.
5
N. Pollastri, Consulente filosofico cercasi, Apogeo, Milano 2007, cit., pp. 63-64
6
Ivi, p. 64
7
Barrientos Rastrojo Josè, Violencia de Género y Orientación Filosófica in “Violencia”, Padilla Libros, Sevilla 2005.
6
Tuttavia, è bene ricordare che in questo scritto non sarà presente proprio la parte più autentica
della Consulenza filosofica: essa, infatti, è essenzialmente un “libero dialogo” e in quanto tale
collocato nell’unicità irripetibile di una situazione particolare e in cui, è pur vero che si lavora con i
concetti e con le “visioni della realtà”, ma è anche vero che lo si fa sempre “a partire dal concreto”.
Per dirla più efficacemente con il fondatore della disciplina Achenbach, “nella consulenza filosofica
si tratta, in base al presupposto dell’aspettativa generale di ragionevolezza, di decifrare la
fisionomia della ragione particolare come forma realizzata e inviduale [...]”
8
.
8
Cfr. G. B. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., p. 20
7
PRIMA PARTE: PRATICHE FILOSOFICHE E
CONSULENZA FILOSOFICA
8
1. PRATICHE FILOSOFICHE: un discorso introduttivo
Le pratiche filosofiche tendono essenzialmente ad annullare la distinzione tra
produttore e fruitore nella prassi filosofica. Anzi, probabilmente si può dire che il
con-filosofare in esse è tanto più autentico quanto più tale dualismo venga a
dissolversi, nel corso del tempo, e con esso eventuali altre asimmetrie di sorta
(sapiente-insipiente, esperto-inesperto, docente-discente, medico-paziente).
A. VOLPONE
9
La vasta diffusione delle pratiche filosofiche in tutto il mondo, oltre ad essere particolarmente
rappresentativa del rinnovato interesse della società nei confronti della filosofia, indica anche
l’apertura di quest’ultima al mondo extra-filosofico. Tuttavia, l’elemento di novità non risiede tanto
nelle pratiche filosofiche in se stesse, la maggior parte delle quali non fa che rielaborare e
rimescolare precedenti esperienze e idee filosofiche (come ad esempio nel caso del dialogo
socratico o della maieutica filosofica).
La vera novità consiste nella diffusione del filosofare pratico nel mondo dei cosiddetti “non
addetti ai lavori”, ossia di chi, normalmente, non si occupa di filosofia.
Il filosofo, come nota Achenbach, secondo un immaginario collettivo che affonda le sue radici
nel famoso aneddoto del filosofo caduto nel pozzo
10
, spesso viene identificato come una specie di
pazzo, estraneo al mondo e alla vita oltre che incapace di affrontare i problemi quotidiani.
Chiaramente si tratta di un luogo comune, probabilmente acuito in epoca contemporanea anche a
9
A. Volpone, Pratiche filosofiche, forme di razionalità, modi del filosofare contemporaneo, in “Kykéyon”, 8, 2002, cit.,
p. 33
10
Platone, in riferimento a Talete, nel Teeteto, 174 a-b, riporta il seguente aneddoto: “Egli osservava gli astri e, avendo
lo sguardo rivolto al cielo, cadde in un pozzo. Si dice che una spiritosa e intelligente servetta trace l'abbia preso in giro
dicendogli che si preoccupava di conoscere quel che succede nel cielo senza preoccuparsi di quel che gli avveniva
davanti e sotto i piedi. La stessa ironia è riservata a chi passa il tempo a filosofare”
9
causa della vasta influenza esercitata dal modello anglosassone, pragmatico-utilitarista, sul pensiero
e sulla vita delle persone.
Tuttavia, l’idea che i filosofi nel loro continuo investigare sui principi finiscano per estranearsi
totalmente dai problemi reali, non è del tutto campata in aria: è un fatto che, soprattutto a partire dal
Medioevo, la filosofia ha finito per concentrarsi sempre più sulla pura teoresi, con la conseguente
perdita di vista dei “problemi quotidiani degli uomini fino a diventare un linguaggio esoterico e
perfino incomprensibile per i non addetti”
11
. Ovviamente, il filosofo, per essere tale, non può fare a
meno dell’astrazione e dell’approfondimento teoretico; soltanto, dovrebbe essere in grado di far
ritorno alle “bassezze di ciò che è vicino e tangibile”
12
.
E’ interessante notare come, in epoca moderna, i filosofi in prima persona abbiano incominciato
a criticare ed a prendere le distanze dalla tendenza alla fissazione teoretica da parte della “filosofia
dotta”: in modo particolare, Schopenhauer, Nietzsche e, più recentemente, Paul Feyerabend che
nelle sue commedie prende spesso di mira “i funzionari del pensiero e i funzionari del concetto”
13
.
In questo senso, la pratica filosofica, la cui forza potrebbe essere ben rappresentata,
hegelianamente, come uno spirito vitale e vivace capace di “essere presso se stessa nell’altro”
14
, può
oggi essere considerata come una vera e propria chance di rinnovamento per la filosofia, o meglio,
per il filosofo.
Certamente questa chance investe anche il mondo extrafilosofico, la società civile, la quale
potrebbe ritrovare nella filosofia non tanto una risposta a determinate questioni, ma uno spazio di
libertà e di apertura di senso che altri tipi di saperi più settoriali, al contrario, tendono a precludere.
Ma vediamo dunque, come si possono definire le pratiche filosofiche? Utilizzando la definizione
di Alessandro Volpone, possiamo intenderle come “un insieme variegato di prospettive e metodi
filosofici con indirizzo pratico che trovano applicazione nelle dimensioni molteplici del mondo
contemporaneo (educazione, lavoro, vita privata, tempo libero, ecc.) e più in generale nella vita di
ogni giorno”
15
.Va sottolineato il fatto che, per quanto fondamentalmente diversificate nei loro
contenuti e spesso anche nei loro obiettivi, esse sono accomunate da una “concezione […] operativa
dell’esercizio filosofico, con valenza estesa, popolare, pienamente autonoma e situazionata, e con
11
W. Bernardi, La Consulenza filosofica: alcune considerazioni preliminari, Gennaio 2004, visionabile all’indirizzo
internet: http://www.unisi.it/ricerca/philab/sfi/bernardi.htm
12
G. B. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, Apogeo, Milano 2004, p. 43
13
P. Feyerabend, Erkenntnis fϋr freie Menschen, Frankfurt 1979, p.125, cit., in G. B. Achenbach, La consulenza
filosofica, p. 41,
14
Ivi, p. 50
15
Cfr. A.Volpone, Pratiche filosofiche, forme di razionalità, modi di filosofare contemporaneo, in “Kykéyon”, 8, 2002,
cit., pp. 17-18. Volpone precisa che, se, in generale le pratiche filosofiche possono essere considerate dei metodi, la
pratica della Philosophy for children e, in modo parziale, anche la Moral education, dovrebbero essere denominati
come curricoli in quanto, oltre all’applicazione di un metodo, prevedono l’utilizzo di “materiale strutturato”(racconti
filosofici nel primo caso, dilemmi morali nel secondo).
10
un uso pubblico della riflessione critica”
16
. Nate e sviluppate all’Estero, queste attività,
rappresentano in Italia una realtà piuttosto recente e non ancora così nota presso il largo pubblico.
Di seguito verranno presentate, nelle loro linee essenziali, sei pratiche filosofiche, a mio parere
tra le più significative nel sempre più ricco panorama pratico-filosofico
17
.
16
Ivi, p. 18
17
Tra le altre pratiche filosofiche si possono annoverare: i ritiri filosofici, la consulenza bioetica, la biografia filosofica
e la letteratura filosofica pratica, la Clinical philosophy e la Moral Education.
11
1.1 CAFE’ PHILO
La pratica del caffè filosofico, fondata nel 1992 da Marc Sautet, pioniere della Consulenza
filosofica in Francia, è una discussione filosofica aperta a tutti, organizzata in un caffè o in un altro
luogo pubblico. Spesso, in base a una lista di proposte dei partecipanti viene deciso di comune
accordo un tema all’inizio della sessione. Nonostante il luogo informale entro cui si svolge la
discussione filosofica, il dibattito deve seguire comunque delle regole di base, come ad esempio,
svolgersi in un orario determinato, concentrarsi su un tema preciso ed essere moderato da un
facilitatore con le seguenti competenze: una solida formazione in filosofia, apertura mentale,
conoscenza delle dinamiche di gruppo, capacità d’ascolto e capacità mnemoniche
18
.
Le regole nel café-philo sono necessarie anche in quanto garanti dell’effettiva democracità del
dibattito. Ogni partecipante, naturalmente evitando di uscire dal tema della discussione, ha diritto di
dire la sua senza essere interrotto dagli altri membri.
L’esperienza del cafè-philo ha goduto di grande attenzione da parte dei media, soprattutto fino al
1998 (anno della morte di Sautet): questo anche grazie alla personalità carismatica del suo fondatore.
A questo proposito, è interessante notare, come fin dall’origine del primo café-philo, l’elemento
mediatico, abbia giocato un ruolo decisivo.
Nel dicembre del 1992, infatti, Sautet, in Francia molto noto come “specialista del pensiero di
Nietzsche”, venne intervistato da un’emittente radiofononica per parlare della Consulenza filosofica.
Al giornalista, raccontò, en passant, che da quando aveva aperto il suo studio, aveva l’abitudine
d’incontrarsi alle undici ogni domenica con degli amici e colleghi consulenti presso il Café des
Phares a Parigi per scambiarsi reciprocamente suggerimenti e riflessioni in merito ai casi affrontati
durante la settimana. Alcuni ascoltatori, intendendo questo messaggio come l’annuncio di un
incontro pubblico, si presentarono la domenica al Café in questione, convinti che il signor Sautet si
mettesse a disposizione per chiarimenti in merito alla sua attività filosofica. Fu così che ebbe inizio
l’esperienza del cafè-philo, successivamente diffusasi in tutto il mondo. Nel suo Un café pour
Socrate, Sautet descrive così la sua esperienza del cafè: “Ormai, ogni domenica, la sala è piena:
centocinquanta partecipanti, se non di più. Le malelingue parlano di effetto moda, di snobismo
tipicamente parigino; per condannare tale esperienza, prendono a pretesto la precarietà delle
condizioni del locale, inadatte all'esercizio della riflessione. E’ vero che il posto è rumoroso:
considerandone la posizione e la potenza della macchina del caffè, non è certamente il luogo più
adatto alla meditazione metafisica.
18
Informazioni tratte dall’articolo web Café philosophique http://fr.wikipedia.org/wiki/Café_philosophique
12
Del resto, perché tutti possano sentire coloro che parlano, abbiamo dovuto procurarci dei
microfoni e munire la sala e la terrazza di altoparianti. Ma chi ha detto che l’esercizio della filosofia
necessita di silenzio e di solitudine? Con questo non voglio dire che richieda il brusio e la folla.
Sostengo solo che una cosa non esclude l’altra e che si può cominciare una riflessione degna di
essere definita ‘filosofica’ anche in un caffè con centocinquanta persone. Cominciare non vuoi dire
portare a termine. Vuol dire solo... cominciare. Chi lo desideri sarà poi libero di approfondire
l’argomento, di spaziare tra le opere citate a memoria, di intavolare un dialogo a quattr'occhi con
uno degli autori citati strada facendo, nella calma più totale”
19
.
L’esperienza del Café des Phares venne presto imitata in altri cafè di Parigi e, a partire dal 1995,
anche in altre città della Francia e dell’Europa fino ad arrivare ad oggi, dove i cafè-philo sono in
tutto il mondo. Inoltre, ben presto sono state sviluppate con successo altre varianti di discussione
filosofica pubblica, come ad esempio il ciné-philo, in cui la discussione è preceduta dalla visione di
un film scelto per il suo particolare interesse filosofico
20
.
19
M. Sautet, Un cafè pour Socrate, Paris, Laffont (1995); tr. it. di M. Lia, Socrate al caffè. Come la filosofia può
insegnarci a capire il mondo d'oggi, Ponte alle Grazie, Milano 2001, cit., p. 9
20
L’idea del primo ciné-philo, tenutosi a partire dal 1997 al cinema L’Entrepôt di Parigi, si deve a uno dei moderatori
del Cafè des Phares, il filosofo e musicista Daniel Ramirez.
13
1.2 IL DIALOGO SOCRATICO
Il dialogo socratico è una pratica filosofica particolarmente consolidata in Germania, dove ha
trovato la sua prima attuazione per opera di Leonard Nelson all’inizio degli anni Venti, e in Gran
Bretagna, dove ha trovato un’ampia diffusione ancor prima dell’arrivo della Consulenza
filosofica.
21
E’ bene ricordare come Nelson non disgiunse mai la sua ricerca e sperimentazione filosofica
dall’impegno civile e politico: nel 1924, fondò infatti la Philosophisch-Politische Akademie e una
scuola sperimentale, chiamata Landeserziehungsheim Walkemuehle (Fucina Operativa d’Istruzione
Nazionale) con lo “scopo di incoraggiare nella gioventù l’autostima e l’amore per la verità”
22
.
Nelson, da neokantiano, intendeva la filosofia come una scienza e il metodo di cui si avvale nel
discorso socratico si può denominare come una sorta di “astrazione regressiva”, ossia una “indagine
su concezioni concrete e astratte delle persone attraverso la messa in luce dei fondamenti delle
verità più generali su cui queste concezioni si basano”
23
. Per Nelson, sulla scorta di Kant, la
riflessione filosofica ha l’obiettivo di raggiungere dei principi universali, ma per farlo, deve partire
dal particolare, dalle esperienze e dai giudizi comuni.
La funzione del dialogo è quindi di favorire una sorta di “regresso ai principi universali”. Nel
passo seguente, Nelson fa un esempio di cosa intende con questa espressione:
“Supponiamo di discutere della validità universale dell’idea di giustizia. Ebbene la discussione
favorirebbe senza dubbio la posizione dello scettico che neghi la validità universale delle verità
etiche. Quando tuttavia lo stesso scettico leggerà che i produttori di grano stanno limitando la
vendita di giorno per spuntare migliori prezzi e così il grano dovrà essere razionato, non riuscirà a
sopprimere la sua indignazione sulla base del principio che non esiste alcun principio universale
nella regolazione del mercato. Come chiunque condannerà la condotta opportunistica dei produttori
dimostrando di riconoscere il principio metafisico della eguaglianza dei diritti nella soddisfazione
degli interessi”
24
.
Oggi, il dialogo socratico si basa su un metodo formale dalle regole piuttosto rigide mediante cui
un gruppo di persone, guidate da un facilitatore, si mette alla ricerca di una risposta precisa ad una
domanda di ordine generale (ad esempio: cos'è la verità?).
21
Cfr. A.Volpone, Pratiche filosofiche, forme di razionalità, modi di filosofare contemporaneo, in “Kykéyon”, 8, 2002,
p. 75
22
S. Schuster, La pratica filosofica. Una alternativa al counseling psicologico e alla psicoterapia, Apogeo, Milano
2006, p. 19
23
Ivi, p. 78
24
L. Nelson, Socratic Method and Critical Philososophy. Selected essays, New Haven, Yale University Press, 1949, cit.
in F. Cecchinato, La filosofia e il management delle organizzazioni in “Phronesis”,3, 2004, p. 43
14
La Philosophical Academy di Bonn espone sette regole standard del dialogo socratico: una di
queste prevede che i partecipanti devono parlare solo della propria esperienza diretta, un’altra
stabilisce che gli esempi trattati nel dialogo dovranno essere appropriati e semplici, in modo da
garantire un’ effettiva immedesimazione agli altri partecipanti, e così via
25
.
Il fine del dialogo è quello di passare dagli esempi concreti e personali ad una definizione
universale in grado di sintetizzarli tutti. E’ interessante notare come, in un certo senso, ai
partecipanti “viene richiesto di imparare dalle proprie esperienze e di sviluppare la saggezza
universale ricercata dai filosofi”
26
. La risposta finale, per l’appunto consistente in una definizione
universale, viene guadagnata attraverso il consenso. Una delle caratteristiche del dialogo socratico
così come si è venuto a sviluppare dopo Nelson, si basa proprio sulla necessità di raggiungere un
consenso unanime nel gruppo. Ogni stadio della discussione può considerarsi concluso se si è
riusciti ad avere il consenso generale sulla conclusione provvisoria raggiunta, ossia quando nessuno
non ha più dubbi. In questo punto, osserva Schuster, i “seguaci di Nelson” differiscono
radicalmente dalla concezione di dialogo socratico di Achenbach: “mentre nella pratica di
Achenbach alle domande socratiche si può rispondere in molti modi, nelle sessioni di gruppo
neosocratiche c’è una sola risposta giusta che i partecipanti devono scoprire attraverso l’onesta
auto-esplorazione nel dialogo gli uni con gli altri”
27
.
In Olanda e in altri Paesi del Nord Europa, si usa praticare una variante del dialogo socratico, il
Socratische gespreksvoering o Socratically inspired dialogue, spesso applicato a questioni
economico-aziendali e che, per la particolare flessibilità, può concludersi in poche ore, a differenza
di quello tradizionale che può durare diverse sessioni
28
.
25
P. B. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica. Idee fondamentali, metodi e casi di studio, Apogeo, Milano
2006, p. 82
26
Ivi, p. 83
27
Cfr. S. Schuster, La pratica filosofica, cit., p. 79
28
A.Volpone, Pratiche filosofiche, forme di razionalità, modi di filosofare contemporaneo, in “Kykéyon”, 8, 2002, p.
19