2
Lo sport in generale, ed in particolare il calcio per il suo carattere di
spettacolarità esaltata in un primo momento solamente dalla radio e dai
giornali, e in un secondo tempo dalla televisione, diventa così un fenomeno
complesso che merita un’analisi attenta. Proprio perché fenomeno
complesso, lo sport si struttura all’interno di molteplici campi: “lo sport
come loisir e lo sport come professione; i rapporti tra sport ed industria; la
commercializzazione dello sport; il ruolo dello stato nello Sport; sport e
politica; modelli organizzativi, amministrativi e di controllo delle
organizzazioni sportive a livello internazionale, nazionale e locale; le
organizzazioni sportive nelle società capitalistiche e nelle società ex
socialiste; lo sport nei paesi del terzo Mondo; sport e mass media; sport e
sistemi educativi; sport e classi sociali; sport e razze; sport e gender; sport e
doping; l’etica sportiva; sport e violenza; il pubblico sportivo”.
3
La dimensione agonistica e competitiva, associata ad una struttura
rigidamente formale, pone lo sport su un piano autonomo in cui si
intrecciano l’originale dimensione ludica e quelle componenti economiche,
sociali e culturali che fanno dell’universo sportivo una realtà
polidimensionale.
3
Cfr. A. Roversi, G. Triani, Sociologia dello sport, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p.
5.
3
In questo lavoro si evidenzierà soprattutto la dimensione spettacolare dello
sport, prendendo come punto di riferimento il calcio; si analizzerà il suo
lento e progressivo passaggio da modello di pratica elitaria a spettacolo
prodotto da professionisti e destinato ai consumi di massa attraverso il
supporto dei primi mezzi di comunicazione.
Si esaminerà, in una prima parte, come il calcio sia stato all’inizio un
elemento trainante per stampa e televisione, per arrivare a rappresentare il
punto di forza delle prime pay tv come Stream e Telepiù.
L’ultima parte del lavoro sarà dedicata, invece, al rapporto di
interdipendenza tra il calcio e il suo carattere di spettacolarità e new media:
si cercherà, infatti, di evidenziare come gli attori della “nuova
comunicazione” intenderanno utilizzare il calcio servendosi della sua forte
potenzialità affermativa sul grande pubblico e individuando in esso la killer
application per eccellenza.
Un analisi, dunque, sul rapporto che lega il calcio a tre mezzi di
comunicazione che, ad oggi, stanno vivendo fasi diverse della loro storia.
La situazione della stampa, infatti, nel nostro paese, non è una situazione
molto positiva in quanto le vendite dei giornali quotidiani non sono
altissime e resistono solamente i quotidiani sportivi che, invece, continuano
a poter contare su un pubblico di lettori piuttosto consistente.
4
Una realtà insolita, dunque, che evidenzia comunque il potere del calcio
all’interno di questa grande area.
Per quanto riguarda la televisione, invece, si farà un analisi di tipo diverso,
constatando come questo mezzo di comunicazione, senza dubbio il più
diffuso tra la popolazione italiana, utilizzerà e sfrutterà a suo favore
l’elemento calcistico per ottenere successo e ascolti sempre più alti.
La telefonia di terza generazione seguirà l’esempio dei medium che l’hanno
preceduta, cominciando ad offrire ai propri clienti nuovi servizi a contenuto
calcistico, e puntando dunque su questo sport individuandone l’elemento di
forza e di maggior traino.
Tre situazioni diverse, dunque, ma un’unica certezza: il calcio come motore
del successo mediale.
5
I SPORT E MASS MEDIA: LA COMUNE RADICE
STORICA NELLA SOCIETA’ INDUSTRIALE
I. 1.1. Le origini storiche e sociali dello sport moderno
Lo sport, nella sua accezione più diffusa, può quindi essere considerato
come un fenomeno caratteristico della società industriale moderna.
Prendendo come riferimento la Gran Bretagna, uno dei primi paesi nei quali
lo sport moderno si è affermato, possiamo notare che tennis, boxe, calcio e
rugby (solo per citare le attività sportive più diffuse), si sono andati
costituendo nella loro struttura moderna verso la fine del 700, in seguito alla
rivoluzione industriale, che ha influenzato in maniera massiccia il processo
di sviluppo dello sport fino al suo completamento nella seconda metà
dell’Ottocento. Sarà da questo momento in poi, infatti, che i giochi popolari
e le pratiche aristocratiche britanniche, come la caccia e la scherma,
verranno riadattate ai nuovi bisogni sociali e all’idea di “tempo libero”
come nuova realtà della società moderna.
All’inizio lo sport, come già sottolineato, era un’attività riservata ai ceti
aristocratici, prodotto di una condizione di privilegio e prerogativa di status
da classe dominante.
6
La leisure class si dilettava in attività fini a sé stesse, cui partecipava con
fair play per il piacere dell’esercizio in sé, in cui l’elemento utilitaristico ed
esibizionistico era secondario.
A cavallo tra Settecento e Ottocento, si è assistito ad una evoluzione dello
sport da “svago da èlite” a fenomeno di massa. A testimonianza della
diffusione nazionale ed internazionale dello sport è possibile ricordare
anche l’istituzione di organismi legittimi atti a codificare e supervisionare la
pratica sportiva; ogni sport moderno ha, in questo modo, la sua
organizzazione internazionale cui fanno capo molteplici affiliati nazionali.
Un esempio è offerto in questo senso dal Comitato Olimpico Internazionale
creato da Pierre de Coubertin nel 1894, il cui compito è quello di coordinare
i vari Comitati olimpici nazionali.
In Italia, questo processo di trasformazione dello sport ha tardato ad
imporsi. Il nostro paese, indietro sotto il profilo industriale, assiste al
passaggio dalla leisure class alla leisure mass, solamente negli anni 20,
quando si assiste ad un miglioramento delle condizioni economiche generali
del paese, e ad un innalzamento del tenore di vita delle classi medie.
Lo sport, comunque, gioca fin dalla sua fase iniziale, un ruolo importante in
Gran Bretagna, dove viene considerato uno dei pilastri fondamentali del
sistema educativo, in quanto capace di poter formare il carattere dei giovani
della classe dirigente.
7
E’ attraverso la pratica sportiva, infatti, e soprattutto con l’affermarsi dei
giochi di squadra quali il calcio, il rugby, che i giovani imparano a
confrontarsi con gli altri, sviluppando il senso di solidarietà e aggregazione.
“In Inghilterra quindi, nella seconda metà dell’Ottocento lo sport presenta
già tutte le caratteristiche che lo mettono in relazione con l’avvento della
società industriale e che lo definiscono nel contempo come attività
educativa, associativa, spettacolare e commerciale”.
4
E’ importante
sottolineare questo aspetto per far capire come lo sport abbia giocato in
Gran Bretagna un ruolo nettamente diverso rispetto ad altri paesi come la
Francia o la Prussica, dove la pratica sportiva era sicuramente più orientata
all’addestramento fisico e militare e non al sentimento di aggregazione e
solidarietà.
La divisione tra tempo di lavoro e tempo libero subisce nella seconda metà
dell’Ottocento, un progressivo cambiamento. Con il trasferimento delle
capacità produttive dall’uomo alla macchina, con la riduzione delle ore
lavorative, emerge nell’individuo il bisogno di un tempo da dedicare a sé: in
questo senso, è possibile affermare che lo sviluppo della pratica sportiva
procede di pari passo alla conquista del tempo libero. Il tempo libero non è
più un momento marginale di “non occupazione”, ma una risorsa da
4
Cfr. R. Ronchini G. Triani, “Le basi storico-sociali dello sport in Italia”, in Le strutture e le classi
nell’Italia unita, vol. 17 di A. A. V. V., Storia della società italiana, Milano, Teti, 1987, pag. 418.
8
investire produttivamente in attività che spaziano dal consumo culturale
all’intrattenimento, alla pratica sportiva, fuoriuscendo dai consueti contesti
mediali per collocarsi all’interno di spazi di fruizione prima d’ora
sconosciuti.
5
Indubbiamente, la secolarizzazione del tempo libero ha
prodotto anche un tempo di tregua e di distrazione a sua volta previsto,
organizzato con standard industriali, riempito dai prodotti dell’industria
culturale di cui lo sport-spettacolo costituisce uno degli svaghi collettivi più
imponenti. Ma l’aspetto importante è che da questo momento in poi si farà
spazio, progressivamente, l’idea di una vera e propria “cultura” del tempo
libero, come terreno fertile per la nuova “fabbrica” dei sogni e del
divertimento di massa
6
così come afferma E. Morin: “La cultura di massa
può essere considerata così come una gigantesca etica del loisir. In altri
termini, l’etica del loisir [. . .] prende forma e si struttura nella cultura di
massa. La quale non fa che riempire il loisir (con gli spettacoli, gli incontri
sportivi, la televisione, la radio, la lettura dei giornali e dei settimanali),
orientare la ricerca della salvezza individuale nel loisir, e inoltre
“acculturare” il loisir che diviene stile di vita”.
5
M. Morcellini, “Tempo di vita e tempo dei media. Per una nuova analisi del tempo libero, oltre la
cultura mediale”, in R. Rescinditi (a cura di), Economia e Marketing del tempo libero. Profili e
prospettive di un’industria emergente, Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 147-155.
6
E. Morin, L’industria culturale, Bologna, Il Mulino, 1963, p. 71.
9
Con la razionalizzazione e la burocratizzazione che lo sport subisce nel
corso dell’Ottocento, si può arrivare ad affermare che alla fine del XIX
secolo lo sport si configura come un sistema di regole di formalizzazione
rigide di giochi preesistenti e un modello di severa disciplina, oltrechè uno
spettacolo avvincente per masse sempre più ampie di spettatori. In qualità
di rito e di spettacolo collettivo, entra nell’orbita di quella grande industria
culturale che guiderà dalla fine del XIX secolo il consumo e l’uso sociale di
un tempo libero da massificare e standardizzare nella logica industriale.
La divisione tra tempo libero e lavoro, lo sviluppo di nuovi mezzi di
comunicazione, la diffusione di una nuova economia di mercato, in
contemporanea ad un innalzamento del tenore di vita e a una generale
commercializzazione dei rapporti sociali, saranno le basi sulle quali si andrà
a costruire la pratica sportiva come attività complessa capace di coinvolgere
settori sempre più ampi della popolazione e di richiamare l’attenzione di
politici e pubblicitari. Il calcio, in particolare, sarà l’ elemento
“onnipresente” nei mezzi di comunicazione di massa che capiranno presto
le potenzialità di questo sport e gli dedicheranno sempre più spazio.
10
I. 1.2. L’industrializzazione della comunicazione
Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e l’importanza che essi arrivano ad
assumere nella vita sociale di ogni individuo devono essere inquadrati nel
processo di industrializzazione di fine Ottocento. Come affermato in
precedenza, se già con la rivoluzione industriale di fine settecento si era
arrivati ad una importante trasformazione nel modo di produzione delle
merci, è dal 1875 in poi che il settore della comunicazione viene investito in
pieno dal processo di industrializzazione. La produzione e la circolazione
delle cosiddette merci culturali, vanno ad alimentare quella che è stata
definita da E. Morin la “cultura di massa”, cioè quel “corpo complesso di
norme, simboli, miti e immagini che penetrano l’individuo nella sua
intimità, ne strutturano gli istinti, ne orientano le emozioni”.
7
Lo sport-
spettacolo contribuisce in questo senso a creare quella nuova cultura
omogeneizzata che si sovrappone alle precedenti culture religiose, nazionali
e che punta ad enfatizzare il piacere visivo in un continuo collegamento tra
evasione nell’immaginario e integrazione in una realtà conformista. In
questo quadro, l’industria culturale si presenta come un meccanismo che
produce nuova cultura, basandosi non più sulle necessità del singolo
operatore, ma su un più ampio sistema di integrazione tra i differenti media
7
E. Morin, op. cit., p. 11.
11
che lo compongono. E d’altronde, l’idea di industria culturale intesa come
divertimento allo stato puro, era già stata presa in considerazione, in
passato, da alcuni teorici della Scuola di Francoforte come Adorno e
Horkheimer che utilizzavano il termine “amusement” per indicare uno degli
scopi dell’industria culturale: “L’amusement è il prolungamento del lavoro
sotto il tardo capitalismo. Esso è cercato da chi vuole sottrarsi al processo di
lavoro meccanizzato per essere di nuovo in grado di affrontarlo. Ma nello
stesso tempo la meccanizzazione ha acquistato tanto potere sull’uomo
durante il tempo libero e sulla sua felicità, e determina così radicalmente la
fabbricazione dei prodotti di svago, che egli non può più apprendere altro
che le copie e le riproduzioni del processo lavorativo stesso”.
8
La condizione storica che ha portato alla formazione di quello che è venuto
a costituire il “sistema dei media”
9
ha presupposto la contemporaneità di
più aspetti collegati tra di loro:
- uno sviluppo tecnologico impressionante, che ha trovato una rapida
applicazione nell’ambito della produzione culturale e della comunicazione.
8
M. Horkheimer e T. W. Adorno, “L’industria culturale. Illuminismo come mistificazione di
massa”, in Dialettica dell’Illuminismo, Torino, Einaudi, 1966, pp. 147-148.
9
La nozione di “sistema dei media” è già presente nel 1947 nelle pagine di apertura del saggio
sull’ “Industria culturale” di Horkheimer e Adorno: “Film, radio e settimanali costituiscono un
sistema. Ogni settore è armonizzato in sé e tutti fra loro”. Ivi, pp. 130-180.
12
E’ importante vedere come, nel ventennio che va dal 1875 al 1895, siano
stati introdotti la linotype, le macchine da piegatura veloce dei giornali, la
macchina da scrivere, il fonografo, il cinetoscopio di Edison, il
grammofono, il telefono, la Kodak, il cinematografo dei fratelli Lumière e
la radiotelegrafia. Agli anni successivi al 1920 risalgono, invece, la stampa
a rotocalco, la telegrafia, la fotocopiatrice, lo sviluppo delle reti di
radiodiffusione circolare, le prime sperimentazione televisive, il cinema
sonoro e quello a colori.
10
Questa ondata di innovazioni tecnologiche si
accompagna e si spiega con lo sviluppo dei consumi di massa e la richiesta
sempre più pressante di nuove formule di divertimento collettivo.
11
Ciò
contrappone coloro che vedono l’industria culturale come una risposta, in
qualche modo obbligata, alla domanda di una massa sempre più ampia,
secolarizzata in modo nettamente superiore rispetto al passato, e quegli
studiosi, come i teorici della Scuola di Francoforte , che individuano nel
rapporto tra i mezzi di comunicazione ed il pubblico un circolo di
manipolazione e di bisogni con cui l’unità del sistema si stringe sempre di
più sul singolo consumatore.
12
10
Cfr. P. Ortoleva, Mediastoria, Milano, Nuove Pratiche Editrice, 1997; e sempre dello stesso
autore Mass Media, nascita e industrializzazione, Firenze, Giunti, 1995.
11
E’ in questo periodo che si sviluppano forme di svago collettivo come il teatro di varietà e,
appunto, gli sport da stadio come ad esempio il football, il rugby e il baseball.
12
Cfr. M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Milano, Bompiani, 1995.
13
- la progressiva formazione di mercati organizzati e la corrispondente
ridefinizione dei gusti e dei comportamenti sociali di fruizione. Lo sviluppo
di alcuni mezzi di comunicazione come il giornalismo popolare o il
cinematografo si spiegano, infatti, anche attraverso le crescenti richieste di
svago avanzate da ampie fasce di popolazione urbana.
- la formazione di imprese di produzione culturale la cui organizzazione
rimanda a quelle imprese capitalistiche produttrici di beni materiali. I
prodotti dell’industria culturale puntano, infatti, prevalentemente
all’imitazione, alla standardizzazione e alla serializzazione. La divisione del
lavoro intellettuale, la razionalizzazione dei processi creativi si
accompagnano, dunque, a quei principi della riproducibilità, del montaggio
ora impiegati anche nel dominio dell’informazione, della cultura e dell’arte.
Nella nostra epoca, come sostiene Walter Benjamin, viene meno l’ “aura”,
“l’hinc et nunc dell’opera d’arte”, la sua essenza aristocratica. Se l’unicità
dell’opera d’arte si identifica con la sua integrazione nel contesto della
tradizione, all’interno della quale essa ha avuto il suo valore d’uso autentico
come espressione culturale, come presenza “lontana” nell’ambito del
rituale, ora, sempre più predisposta alla riproducibilità, perde la propria
funzione originaria per acquisire un “valore” espositivo a sostegno di un
suo nuovo fondamento politico.
14
In questa prospettiva in cui le categorie di genialità, creatività, personalità,
valore eterno e mistero vengono a cadere, emergono, per Benjamin, le
potenzialità indubbiamente democratiche insite nella riproducibilità
dell’opera d’arte (la fotografia e il cinema) e la possibilità concreta di una
maggiore partecipazione e fruizione di massa.
13
13
Cfr. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi,
1966.