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CAPITOLO 3
GLI ALTARI E LE CAPPELLE DELLA CATTEDRALE
NELLE SANTE VISITE
Alla Chiesa canosina, fin dal 1118 dunque per opera di Guglielmo II
d’Altavilla
36
, fu riconosciuto lo status particolare di “nullius dioecesis”. In
virtø di questa condizione essa era posta sotto il diretto controllo della Santa
Sede per mezzo di un Prevosto che rispondeva direttamente ad essa e non già
al vescovo della diocesi di appartenenza.
Successivamente al Concordato del 1801, e dopo il conflitto tra Pio VII e
Napoleone, la “diocesi” canosina sarà definitivamente soppressa.
Al tempo dei nuovi indirizzi post-conciliari, tra la fine del ‘500 e l’inizio del
‘600, anche grazie agli ispirati e lungimiranti Prevosti che si sono alternati alla
guida della diocesi canosina, Canosa si avvia a rinnovare la sua facies
medievale, nel solco di quel fervore rinnovistico che caratterizzò le fabbriche
religiose tra XVI e XVII sec.
Non deve sorprendere la nomina nel 1598 del Cardinal Cesare Baronio, figura
d’eccellenza di Santa Romana Chiesa, a Prevosto di Canosa. Sebbene non vi
siano documenti che possano attestare la sua presenza a Canosa
37
, in aperto
contrasto con le norme tridentine, l’autorevolezza del suo nome significava il
riconoscimento per Canosa di una attenzione particolare da parte del Papa
Clemente VIII.
36
M. Porro, “Primi appunti sull’archivio Prevostale di San Sabino di Canosa”, in “San Sabino uomo di
dialogo e di pace tra oriente ed occidente”, a cura di L.B. Lenoci, Trieste, Ed. Università di Trieste, 2002,
pag. 154. “La posizione autonoma di questa Prepositura era stata riconosciuta numerose volte da pontefici e
da re: ricordiamo il riconoscimento di Papa Gelasio II, nel 1118, del Re Roberto d’Angiò, nel 1330, e di Re
Ferdinando d’Aragona, il re cattolico, nel 1458.” Vedi anche pag. 10, note 25 e pag. 11 nota 26.
37
Atti del Concilio di Trento, SESSIONE VI (13 gennaio 1547). Decreto sulla residenza dei vescovi e degli
altri chierici inferiori. “(…) questo santo Sinodo ammonisce e vuole che siano ammoniti tutti quelli che per
qualsiasi motivo e titolo sono a capo di chiese patriarcali, primaziali, metropolitane e cattedrali, perchØ
vegliando su sØ stessi e su tutto il gregge (…)”. da www.totustuus.biz/users/concili/trentoa.htm
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3.1 INVENTARIO DEI BENI DELLA CHIESA DI SAN SABINO DEL
1598.
Un inventario “delli Benni della Chiesia e Prepositura de S.to Savino”,
redatto tra il dicembre del 1598 e il marzo 1599 per disposizione del Prevosto
Cardinal Cesare Baronio
38
dal suo vicario G. Battista Casati
39
di Milano,
descrittivo dei beni della prepositura canosina, vede la dettagliata elencazione
degli arredi della Cattedrale, oltre all’elenco di tutte le chiese del territorio
canosino, quelle dentro la città e quelle “che sono fuora”.
Nel 1598, la Cattedrale conserva ancora, quasi intatto, il suo impianto
medievale, “de tre nave e cinque trulle o siano cuppole antiche” seppur
evidente è, dalla lettura dell’inventario, che la devozione locale l’ha dotata nel
tempo di un consistente numero di altari, la maggior parte dei quali “indotati”,
cioè muniti di una rendita fissa, in denaro o in terreni e case, per la
celebrazione di SS. Messe in favore di famiglie o personaggi di evidente
prestigio sociale. Questo elemento, letto non solo in chiave devozionale ma
anche quale indice di munificenza da parte delle famiglie locali, consente di
presupporre una certa ricchezza di mezzi per la Cattedrale canosina, sia in
termini di suppellettili liturgiche, sia in termini di rendite da terreni e locali
lasciati in dote. Per non parlare delle opere d’arte che arricchivano la Chiesa e
che certamente le conferivano, alla fine del ‘500, un aspetto assai diverso da
quello, austero e quasi spoglio, che essa oggi mostra.
Dunque, nella nave di mezzo, “l’altar maggiore il quale è di cinque pezzi di
pietre marmoree sopra del quale ci è una cona fatta all’antiqua dorata in
mezzo della quale ci è la immagine dela madonna santissima col figlio in
38
A. Paradiso, “Il Cardinale Cesare Baronio e la Riforma Tridentina a Canosa (1598)”, in “Canosa - Ricerche
Storiche 2005”, Atti, a cura di L. Bertoldi Lenoci, Centro Studi Storici e Socio-Religiosi in Puglia, Fasano,
Schena Editore, 2005, pp. 155 e segg. e note.
39
A. Paradiso, “Il Cardinale Cesare Baronio ed i beni dei canonici della chiesa cattedrale in San Sabino”, in
“Canosa - Ricerche Storiche 2006”, Atti, a cura di L. Bertoldi Lenoci, Centro Studi Storici e Socio-Religiosi
in Puglia, Martina Franca (Ta), Edizioni Pugliesi, 2006, pp. 208 e segg. Dal marzo del 1599 intervenne un
nuovo vicario, il napoletano Aurelio della Marra.
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braccia chiamata santa Maria degli angeli, ala destra dela quale imagine ci è
sancto Savino e san Giovanni e Paolo et alla sinistra l’imagine ciò è di san
Pietro e san Filippo e Giacomo”. Si trattava di un polittico su tavola, a fondo
oro, formato da sette tavole affiancate a formare un’unica composizione con
una decorazione superiore ad intaglio ligneo, colorata in rosso ed oro, di cui
quella centrale raffigurante la Madonna col Bambino, e le altre sei raffiguranti
San Sabino, titolare della chiesa e patrono, San Giovanni e San Paolo, cui era
intitolata la chiesa antica, San Pietro, fondatore della Chiesa, e i Santi Filippo
e Giacomo, apostoli che nel Martirologio Romani sono festeggiati insieme.
Sono sopravvissute solo quattro tavole
40
, molto rovinate (foto 8).
Tre di esse riportano le immagini di San Paolo, San Sabino e San Giacomo
(quest’ultima ha perso la cornice intagliata superiore), identificabili dal
confronto tra la descrizione del Casati ed i lacerti ancora leggibili
dell’iscrizione sottostante; l’altra, a metà, conserva solo la decorazione
superiore ed alcuni piccoli lacerti di pittura ai bordi che lasciano immaginare i
volti degli angeli che contornavano l’immagine della Madonna col Bambino.
Si tratta di una grande “icona” risalente a non oltre il 1476 – come descriverà
il De Renna nella Santa visita del 1608 – posta sull’altare maggiore.
Certo è che pochi anni dopo l’inventario del Casati il polittico lo si ritrova
spostato sulla parete dell’abside, sopra il coro, così come descritto nella Santa
Visita del 1608 da Mons. De Renna, vicario del Protonotario Apostolico e
Prevosto della città Mons. Giovanni Matteo Moranzani. L’iscrizione citata
rivela che l’opera, realizzata sotto gli Orsini e Re Ferdinando era collocata
sull’altare fin dal 1476. L’icona, successivamente, fu rimossa e spostata
indietro, probabilmente in risposta alle regole post-conciliari che, richiedendo
espressamente chiarezza e semplificazione compositiva delle sacre
40
Il polittico nel tempo è stato smembrato. Le tavole superstiti giacevano nei depositi della Soprintendenza e
furono sottoposte a restauro per incarico della stessa da parte di Maria Giovanna di Capua tra il 1999 ed il
2000. Cfr. G. Boraccesi, “L’intervento di restauro del polittico di Canosa di Puglia (1476)”, in “Canosa
ricerche storiche 2005” op. cit., pp. 277-285
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rappresentazioni, esigevano nuove linee-guida per l’arte figurativa,
sicuramente diverse da quelle dei secoli passati.
L’inventario del vicario del Cardinal Baronio prosegue con la descrizione di
cappelle ed altari, con i riferimenti alle doti ed alle famiglie e, interessante da
un punto di vista storico-artistico, con le opere che li adornano. Si scopre
allora che “Ala seconda nave à man destra” – quindi a destra procedendo
dall’altare verso l’uscita, com’era uso nella descrizione delle chiese – “ci è
una cappella chiamata san Marcho la quale è dela fameglia dela vecchia…”
nella quale vi è “un altare di cinque pezzi di pietre marmoree… sopra del
quale altare vi è pintato la cena del Signore”. Di questa “Ultima Cena” non si
troverà menzione successiva lasciando irrisolto il dubbio sul supporto
pittorico dell’opera: tela, tavola, o addirittura affresco.
“Al canto di detta cappella” – prosegue – “ci è la cappella del Smo Rosario
del Rdo capitolo…co’ haltar fabricato di pietre” e ancora “al canto di detta
Cappella del Ss. Rosario a man destra vi è l’imagine della Natività di Nostro
Signore la quale è della fameglia de Paschaloni…e l’altare di esso è
fabbricato di pietra”. Segue un’altra cappella, della famiglia “de’ Rossi co’
una imagine della Madonna ch’appena si conosce per la vecchiezza del
testo…(omissis)… similmente indotata nell’Altar d’essa vi è la tavola di
marmoreo sasso”.
Accanto a questa cappella“vi è l’altra della fameglia dei porfidis in essa vi è
una cona co’ l’imagine di di N.S. co’ San Gio.Batt. (San Giovanni Battista)
quando si battizzò al fiume giordano. L’altar di essa è di fabbrica e la tavola
di pietra viva et similmente è indotata”. Proseguendo, “vi è l’altra della
fameglia dei Carribbi nella quale vi è una cona co’ l’imagine di Sant’Antonio
abate.” L’altare “è di pietra viva…” e, accanto, “v’è l’altra (cappella) della
fameglia delli Spallani ne la quale vi è un altare co’ una cona e co’ l’imagine
della Santissima Annunziata dett’Altare è di pietra viva, qual cappella è
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indotata. Al canto di detto altare vi è la cappella delli Gentili col’Altare di
pietra e co’una cona di stoffa vecchia quale appena si conosce de la
Santissima Trinità…”.
La descrizione continua con le cappelle dell’altra navata, indicata come
“prima nave”. “A la prima nave vi è la cappella di march’Antonio di Renna
co’l’altar di cinque pezzi marmorei ne la quale vi è una cona de la Madonna
Santissima detta Santa Maria de’ Costantinopoli” e “al canto di detta
cappella vi è un’altra del cap/lo (capitolo) co’l’altare di pietra viva co’una
cona ne la quale vi è l’imagine di San Felice vescovo…”. Accanto a questa
cappella “v’è l’altra della femeglia delli farani co’ l’altar de cinque pezza de
marmora sopra del quale altare vi è l’imagine di San Gio.Batt. di San
Lonardo et altre figure…” e ancora “al canto di detta cappella vi è l’altra
della fameglia de li battisti co’ l’altare di fabbrica e la tavola di pietra viva
co’ la cona ne la quale vi è l’imagine della flagellazione di Nostro
Signore…”. Segue la descrizione della cappella della Madonna della Fonte
che, per importanza e devozione appare particolarmente ricca e curata. Si
riporta per intero il paragrafo.
“A canto la detta cappella vi è un’altra chiamata Santa Maria de la fonte
miracolosa quale è devotissima al populo tiene haltar di marmore co’una
imagine antiqua dela Madonna santissima fatta ala greca per devocione ve si
celebra messa nel giorno di sabato e domenica. Il sabato ciò è per la famiglia
deli s/ri Orsini e no vi è dote altrimenti sibene per dote si è fatta la cona de
l’haltar maggiore co’l’Imagine di Santo Sabino e co’un’altra cona, una coltre
di Broccato d’oro e riccio sopra riccio et uno piovale una casubula deli
istesso Broccato, e la messa de la domenica è per li anima di G/m Boemundo
cappelli.”
Gli elementi principali che scaturiscono dalla descrizione di quest’ultima
cappella sono: la grande devozione per la Madonna della Fonte, ritratta su una
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icona bizantina, datata al XIII sec.; la ricchezza della dote in stoffe
pregiatissime – broccato ricamato d’oro due volte “riccio sopra riccio”– in
quantità sufficiente a fare una coltre (una coperta, forse per l’icona stessa,
esposta solo nei giorni di messa), un piviale ed una casula; due quadri –
l’immagine di San Sabino, sull’altar maggiore, e un’altra icona; infine, pur
non piø feudataria di Canosa da quasi un secolo, con gran diligenza del
Capitolo, la famiglia Orsini beneficiava ancora di una messa settimanale.
Segue, accanto alla cappella, “una volta dove se dice il cimiterio e ve si
pongono li ossa di morti et in detta volta vi è una fonte de Battismi de pietra
viva. Al canto di detta volta vi è una cappella de la fameglia de G. Caputi
co’haltar di fab/ca co’la tavola de pietra viva et l’Imagine al muro della
Madonna…” un dipinto murario, il primo e unico di cui si fa menzione per gli
interni della cattedrale. Vi è, ancora, la cappella “dela fameglia dei conti co’
l’haltar di cinque pezzi di pietra mermore e co’ una cona co’ l’immagine del
Sanctissimo Crocifisso”. Nella sacrestia “vi è un altar de cinque pezzi di
pietra marmore”.
Mancando ogni riferimento alla posizione precisa, risulta difficile individuare
l’esatta disposizione nella chiesa di altari e cappelle. Tanto piø che la
definizione di “cappella” non deve ingannare: erano spazi definiti
virtualmente intorno all’altare devozionale, o addossati alle pareti o tra i
pilastri delle campate. E’ chiaramente intuibile, però, che altari e opere
costituissero una rilevante ornamentazione degli interni che dovevano risultare
affascinanti per la loro diffusa policromia.
Da quest’inventario si possono ricavare alcune indicazioni:
1. oltre all’altare maggiore, sono nominati 16 altari, compreso quello nella
sacrestia) e 14 cappelle devozionali, oltre alla “volta” (una cappella aperta
con copertura a volta) che contiene il Battistero e alcune sepolture;
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2. gli altari sono tre “di fabbrica”, probabilmente in tufo, data l’abbondanza
in loco di questo materiale, con la mensa in pietra viva; sei in pietra;
l’altare maggiore e sei di essi sono “in cinque pezzi di marmore”, quindi,
verosimilmente, tutti rivestiti di marmo;
3. è assente ogni accenno a opere plastiche, siano esse statue o quant’altro
come la cattedra e l’ambone, Sembrano esistere solo dipinti e la maggior
parte di essi sono su tavola o su tela. I temi riguardano la vita (natività,
battesimo) e la passione di Gesø (ultima cena, flagellazione, crocifissione),
le immagini di Maria (Annunziata, della Fonte miracolosa, col Bambino e
di Costantinopoli, oltre due immagini della Madonna non riconoscibili
dallo stesso redattore perchØ troppo vecchie o rovinate), e immagini di
Santi, tra cui il Patrono Sabino non poteva che avere preferenza e riguardo
tra gli eponimi.
3.2 SANTA VISITA DEL 1608
Alcune conferme si ritrovano nella Santa Visita del 1608, nella quale Mons.
De Renna ci fornisce indicazioni piø dettagliate della “Chiesa maggiore posta
fuori le mura alla distanza di circa un quarto di miglio”.
La minuziosa visita comincia dall’altare maggiore, sul quale si trova, “un
grande e recondito tabernacolo di legno ornato di sacre immagini e di
colonne indorate molto finemente (il suddetto poggia sopra una predella
rettangolare variamente ed elegantemente dipinta ed indorata)”. Nonostante
la sua dotazione appaia preziosa, (pissidi d’argento e oro, conopei di seta e
oro) essa non soddisfa appieno le esigenze liturgiche del Visitatore che ordina
di dotarsi di “una pisside piø alta e di stile moderno che chiamano
ostensorio” per la processione del Santissimo Sacramento, di un nuovo velo
omerale di seta bianca “per coprire le spalle del sacerdote e la pisside per
maggiore venerazione verso il SS. Sacramento”, di un drappo di seta col quale
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coprire il tabernacolo e, infine, di un drappo di lino “dipinto con sacre
immagini” per coprire le parti posteriori del tabernacolo e “coprire quello che
si vede di rovinato”. L’altare maggiore “ha una bellissima lastra di marmo
bianco” e spicca tra le dotazioni liturgiche un “paliotto di tela con le
immagini della Beata Vergine Maria al centro, di San Sabino a destra e di
San Felice a sinistra con le insegne o stemmi dell’illustrissima famiglia
Orsini”.
In ossequio alle indicazioni tridentine, per non frapporre elementi di ostacolo
alla vista tra il coro e il celebrante, nel 1606 – dice il De Renna – l’altare
maggiore fu rimosso per consentire il trasferimento del coro dalla parte
anteriore del presbiterio a quella posteriore, lungo la parete dell’abside, dietro
lo stesso altare. In quell’occasione le reliquie che esso custodiva furono tolte e
poste in un cofanetto di legno e avorio “con coperchio del medesimo legno e
con sigillo di oro e piombo”, con le immagini di San Pietro e San Paolo da un
lato, e le parole “Papa Pasquale II” incise dall’altro. Questo è il motivo per
cui, al tempo della Visita, si celebrava messa utilizzando un altare portatile,
forse in attesa di una riconsacrazione dell’altare maggiore.
In questa occasione, verosimilmente, la “cona” (il polittico) con la Madonna e
Santi della quale riferisce l’inventario del 1598 fu spostata dall’altare alla
parete dell’abside. “Dietro l’altare maggiore è situata la tribuna (abside) con
due finestre per ricevere la luce, munite di inferriate e vetri colorati; la stessa
tribuna è decorata con immagini sacre, deformi e logore”.
La datazione del polittico possiamo sicuramente riferirla a prima del 1476: per
tale data è fondamentale l’iscrizione che il De Renna, negli atti della Visita,
così riporta
41
: “Ci è sul coro, attaccata alla parete della tribuna(abside), una
grande icona dipinta in oro e colori pregiati con molte immagini sacre,
particolarmente della Beata Vergine Maria e di San Sabino, protettore della
41
Nella traduzione di Michele Menduni, Firenze, 1981: A.S.C. di Canosa.
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città di Canosa, nonchØ con le insegne o stemmi della famiglia Orsini, insieme
alla seguente iscrizione:
a destra HOC OPUS FACTUM EST IN HONORE OMNIPOTENTIS DEI
EIUSQUE GENITRICES ET GLORIOSAE VIRGINIS MARIAE ET BEATI
SABINI EPISCOPI ET CONFESSORIS REGNANTE SERENISS.o ET ILL.mo
D.no FERDINANDO REGE SICILIAE ET IERUSALEM ET HUNGARIAE
a sinistra DOMINANTE QUOQUE ILL.mo D.no IACOBO URSINO DUCE
GRAVINAE ET COMITE CAMPANEAE IN CIV.te CANUSIJ TEMP.e
PREPOSITATUS B.ti R.mi D.ni MARINI AGATENSIS PREPOSITI
CANUSINI ANNO D.ni 1476 DIE 15 MARTII 9ae IND.s”
Ferdinando fu re di Napoli dal 1458 al 1494, figlio naturale di Alfonso V
d’Aragona; nel 1444 per volere del padre sposò Isabella di Taranto, figlia di
Tristano di Clairmont e Caterina Orsini Del Balzo.
42
La descrizione delle cappelle e degli altari è molto dettagliata. Numerosi sono
i richiami al rinnovo degli arredi, che in alcuni casi appaiono laceri, indecenti,
indecorosi. Non mancano i riferimenti alla cattedra vescovile e all’ambone di
Acceptus e si descrive con cura il soccorpo. Si cita anche un pulpito di legno,
accanto all’altare maggiore, dal lato del Vangelo (“in cornu Evangeli”),
utilizzato per il tempo ordinario, la Quaresima e l’Avvento, mentre il pulpito
marmoreo era destinato a cantare la “Passio Domini” durante la settimana
Santa, alla lettura dell’Epistola e del Vangelo nelle feste solenni.
Nella “navata o ala destra dell’ingresso della Chiesa” incontra la cappella e
l’altare di San Giacomo, “costruito in pietra da Nunzio e Giacomo De
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Isabella era erede designata del principe Giovanni Antonio Orsini Del Balzo di Taranto, suo zio materno,
che non aveva figli. Isabella era anche nipote della regina Maria d'Enghien, sposa di Ladislao I d'Angiò e
quindi regina di Napoli, di Sicilia e del Regno di Gerusalemme dal 1406 al 1414. Così come stabilito dal
padre Alfonso, Ferdinando, suo figlio naturale, gli successe sul trono di Napoli nel 1458, all'età di 35 anni;
ma il papa Callisto III Borgia, dichiarando estinta la dinastia d'Aragona di Napoli, reclamò il possesso del
regno per la Chiesa. Il pontefice morì nell'agosto del 1458 senza essere riuscito nel suo intento; il suo
successore, Papa Pio II Piccolomini, riconobbe come legittimo sovrano Ferdinando il quale fu incoronato
solennemente il 4 febbraio 1459 nella Cattedrale di Barletta.
Tratto da it.wikipedia.org/wiki/Ferdinando_I_di_Napoli