una sorta di specchio sul quale la filosofia del presente si rinfrange e trova lati nuovi e
innovativi anche di sé stessa, diventando così filosofia dell'attualità.
Foucault afferma che il lascito del filosofo tedesco ha segnato uno spartiacque
all'interno della storia della filosofia, indicando così dei modi di fare e di intendere la
filosofia fortemente innovativi. Kant, secondo la prospettiva del filosofo francese, risulta il
capostipite dei due filoni della filosofia contemporanea, da una parte dell'analitica della
verità e, dall'altra, dell'ontologia di noi stessi.
L'analitica della verità trae spunto dall'analisi critica che, estromettendo la metafisica
dal terreno del conoscibile, istituisce dei limiti precisi al territorio della conoscenza umana.
Questo filone è stato perseguito soprattutto dalla tradizione filosofica anglosassone
contemporanea, ma è nostra intenzione dimostrare che neanche Foucault si è esimiato
dall'affrontarla, anche se con un taglio molto particolare, che sommariamente potremmo
definire analisi dei regimi di verità, pur in funzione dell'altro filone da lui stesso
evidenziato, l'ontologia storica di noi stessi, che è incentrata proprio sulla correlazione tra
razionalità ed eccessi di potere.
Sarà proprio a partire dal presente, nel proporre delle possibili resistenze, delle possibili
rotture che Foucault svilupperà il suo ultimo pensiero, svelerà una possibile via, anzi delle
possibili strategie di resistenza. Al discorso che ha la presunzione di dire il vero, alle
maglie del potere che istituiscono i confini tra ciò che è vero e ciò che è falso, Foucault
affianca un'analisi critica costante atta ad evidenziare in che modo sia possibile pensare il
potere, quali possano essere delle categorie funzionali per lo studio della razionalità
politica moderna e infine, in che modo questi studi possano trovare spazio nel presente nel
sovvertimento dei giochi del reale.
L'analisi del rovesciamento del progetto dalla critica della conoscenza nell'Aufklärung,
ossia la possibilità che l'analisi dei nessi tra sapere e potere possa determinare un'uscita
dallo stato di minorità, è, secondo il filosofo francese lo strumento con cui si dovrebbe
indagare su tutta la filosofia, giungendo sino al mondo greco. Ciò non significa sradicare
l'Aufklärung dall'ambito storico nel quale si è manifestato, né snaturare la filosofia antica.
Si tratta di analizzare la filosofia secondo un metodo e un intento preciso,
specificatamente, nell'itinerario foucaultiano, analizzare tre termini, tre ambiti strettamente
legati ossia la verità, il potere, il soggetto.
II
Ciò che ci proponiamo di indagare è in particolare il pensiero del filosofo francese degli
anni '70, anni contrassegnati da un permanente impegno politico, alla luce del compito che
possiamo leggere tra le righe kantiane.
Con l'esame della nozione di potere, Foucault delinea una genealogia dello Stato
moderno, e con esso tutte le contraddizioni di cui risulta portatore. Fondamentale risulterà,
quindi, l'analisi della razionalità liberale, e con essa la nozione di governamentalità, alla
base del nostro modo storico di concepire la politica, scorgerne le radici, delimitarne i
confini storici per giungere a metterla in discussione.
Verranno quindi applicati il metodo archeologico e l'analisi genealogica. Piuttosto che
utilizzare strumenti concettuali atti a far trasparire nella teoria gli elementi che la
trascendono, il livello archeologico scorge nelle stratificazioni della storia i molteplici
fattori che hanno determinato il manifestarsi di un determinato avvenimento e l'analisi
genealogica ha il fine di trovare i solchi della causalità e della singolarità all'interno degli
avvenimenti percepiti come necessari.
È nostra intenzione in questa sede esaminare quale differente concezione
dell'Aufklärung Foucault proponga; quale differente approccio nei confronti della verità o
delle scienze sviluppi; ma soprattutto nel ripercorrere l'itinerario del concetto di potere in
Foucault, osservare in che modo sia possibile pensarlo diversamente, in particolare in
relazione al problema politico del governare. Tali tematiche risultano, secondo il nostro
punto di vista, proprio una risposta al motto kantiano dell'Aufklärung, sia nell'accezione
teoretica-critica del Sapere aude!, sia nella sua accezione pratica-politica di appello al
coraggio.
La tesi è suddivisa in cinque capitoli.
Nel primo capitolo analizzeremo il testo kantiano mettendolo in relazione ad un articolo
di Mendelssohn sull'Illuminismo, anche questo pubblicato dalla Berlinische Monatschrift
lo stesso anno. Vedremo poi quale siano gli elementi che Foucault sottolinea, in particolare
nel rapporto tra filosofia e attualità e la relazione tra il testo kantiano del 1784 e l'articolo
del 1798, in cui affrontava il tema della Rivoluzione. Il terzo paragrafo compie un'analisi
degli strumenti concettuali utilizzati da Foucault, che forniscono delle modalità in funzione
delle quali il fenomeno dell' Aufklärung risulta determinare anche il nostro presente.
Il secondo capitolo si propone di delineare un itinerario nella nozione di potere
III
foucaultiana. Tale nozione risulta essere una griglia concettuale che permette al filosofo di
imbrigliare via via i fenomeni di cui si occupa. Tramite l'analisi sulla sessualità si chiarirà
come Foucault rigetti le categorie di repressione e coercizione proprie di una modello della
sovranità giuridica. La positività del potere, ossia la sua energia produttiva verrà poi
analizzata rispetto al problema del diritto e della sovranità. Il quarto paragrafo si propone
di mettere in luce una possibile applicazione della griglia analitica del potere allo studio
della politica e della storia.
Il terzo capitolo si occuperà di trattare lo slittare dell'ottica foucaultiana dall'Età classica
a questioni che hanno un forte legame con la contemporaneità. Verrà quindi analizzato il
nesso tra sapere e potere e il legame che questo intrattiene con le discipline dando luogo ai
regimi di verità. Centrale sarà qui la nozione di biopotere, nozione fortemente legata anche
ad ambiti scientifici e medici in quanto potere che si applica alla vita, che intende investire
positivamente nei confronti della vita delle popolazioni.
Il quarto capitolo si occuperà del governo, inteso come modalità di pensare la
sottomissione e la direzione degli uomini. La teoria del governare ha un impennata tra il
XV e il XVI secolo, ma pone le sue radici ben prima, nella concezione del pastorato, arte
di governare gli uomini che presenta un'attenzione costante per gli aspetti minimi degli
appartenenti ad una determinata comunità ma nello stesso tempo deve controllare l'intero.
L'arte di governo della Polizeiwissenschaft poi, traendo dal pastorato e dal biopotere,
formalizzerà all'interno degli stati moderni le stesse tecnologie di potere proprie della
razionalità alla base del pastorato che confluiranno poi nel liberalismo.
Il quinto capitolo si propone di analizzare le forme di controcondotta all'interno della
pastorale cristiana; il legame che un atteggiamento filosofico particolare come la critique
può instaurare rispetto all'Aufklärung e l'arte del governo. L'ultimo paragrafo si propone,
anche nel confronto con Kant, di delineare in che modo l'intellettuale possa agire nel suo
tempo.
IV
Capitolo I
Kant e Foucault
«Se Foucault si inscrive nella tradizione filosofica, lo fa nella tradizione critica di
Kant»1, scrive François Ewald, assistente al Collège de France di Michel Foucault, alla
voce del Dictionnaire des philosophes dedicata al filosofo francese.
La nostra trattazione non intende rivisitare l'intera opera foucaultiana come «riscrittura
occultante del testo kantiano»2, piuttosto intende esaminare come il percorso foucaultiano,
si inserisca nella storia critica del pensiero iniziata dal filosofo tedesco. Non intendiamo
però esaminare le possibili convergenze tra il metodo archeologico foucaultiano e la critica
dei limiti della ragione pura kantiana, nonostante lo stesso Foucault affermi di aver tratto il
termine “archeologia” dai Fortschritte der Metaphysik kantiana3. Tramite gli scritti di
Foucault sull'Aufklärung, ci interessa affrontare il percorso filosofico del filosofo francese,
e in questo modo verificare se l'analisi di tale fenomeno possa risultare fecondo anche per
la filosofia attuale. Non ci si riferirà, quindi, alla critica al pensiero kantiano così come
prospettata in Les mots et les choses, opera nella quale il filosofo tedesco veniva
considerato capostipite di una filosofia della “nascita dell'uomo”. Nell'opera del '66
Foucault, infatti, affermava che prima di Kant «non esisteva coscienza epistemologica
dell'uomo in quanto tale»4. L'opera kantiana, secondo questa prospettiva, risultava essere
una cesura, un discrimine nella storia della razionalità. Kant, infatti, veniva considerato
l'artefice di un'analitica della finitudine che ha messo al centro l'uomo come soggetto
trascendentale legislatore della natura ma risulta, allo stesso tempo, condizionato dai limiti
propri del fenomenico. Kant, infatti, arricchendo le tre domande proprie della Critica, con
1 “Foucault”, D. Huisman (a cura di), Dictionnaire des Philosophes, P.U.F., Paris 1984, t. I, pp.942944;
traduz. it. Foucault, in Archivio Foucault 3. 19781985. Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di A.
Pandolfi, Feltrinelli, Milano 1998, p. 248.
2 Mariapaola Firmiani, Foucault e Kant. Critica clinica, etica, La città del sole, Napoli 1997, p. 12.
3 Kant riconduce la “storia filosofica della filosofia” ad una sorta di “archeologia filosofica”, cfr. M.
Firmiani, Op.cit., p. 112.
4 Michel Foucault, Les mots et les choses, Gallimard, Paris 1966, trad it. Le parole e le cose, Rizzoli,
Milano 1978, p. 332.
1
quella “Was ist der Mensch”, ha inserito l'uomo in un contesto nel quale risulta essere «lo
sforzo o il tentativo costante di mediazione tra l'incondizionatezza del a priori e la
contingenza dell'ordine fenomenico»5. A partire dal XVIII secolo l'uomo non sarà tanto il
fulcro dell'indagine filosofica, ma diventerà piuttosto l'oggetto delle scienze,
caratterizzandosi secondo le discipline che lo inquadrano. Avremo così l'uomo che lavora
di cui si occupa l'economia, l'uomo che parla di cui si occupa la filologia, e l'uomo che
vive di cui si occupa la biologia. Si è configurato così un soggetto che, dopo aver costruito
una scienza dei limiti del conoscibile, ha a che fare con una metafisica della finitudine,
viene infatti ipostatizzato nelle discipline che se ne occupano, senza avere più nessuna
possibilità al di là di questi limiti. Per Foucault, piuttosto, si tratta di superare questi limiti e
invece di chiedersi come sia possibile pensare, bisogna chiedersi come sia possibile
pensare in modo diverso da come si pensa. Come scriverà ne L'usage des plaisirs: «Ma che
cos'è dunque la filosofia oggi voglio dire l'attività filosofica se non lavoro critico del
pensiero su se stesso, se non consiste invece di legittimare ciò che si sa già, nel cominciare
a sapere come e fino a qual punto sarebbe possibile pensare in modo diverso?»6. Proprio in
questi termini Kant verrà reinserito all'interno del percorso filosofico del filosofo francese
diventando, non tanto l'iniziatore dell'analitica della finitudine, quanto piuttosto di
un'«analitica della verità»7 e di un'«ontologia del presente»8. Nei testi “Critique et
Aufklärung”, “Qu'est ceque le Lumières” e “What is Enlightenment” infatti emerge una
nuova prospettiva del pensiero foucaultiano nei confronti del filosofo tedesco. In
particolare Foucault sottolinea come il filosofo Kant, nel porsi la domanda “Was ist
Aufklärung?”, abbia inaugurato un nuovo modo di pensare.
5 Salvatore Natoli, Foucault epistemologo e genealogista, ne “Il Centauro”, nn.1112, maggiodicembre
1984, p. 192.
6 Michel Foucault, L'usage du plaisirs, Gallimard, Paris 1984; traduz. it. L'uso dei piaceri, Feltrinelli,
Milano 1984, p. 14.
7 Id., Qu'est ceque le Lumiéres?, «Magazine Litteraire», n. 207, pp. 3539; traduz. it. Il problema del
presente. Una lezione su "Che cos’è l’Illuminismo?" di Kant, in "Il Centauro", nn. 1112, maggio
dicembre 1984, p. 236; d'ora in poi sarà indicato con la sigla L.
8 Ibid.
2
I.1 Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?
Attuare un parallelismo esatto, proporre una perfetta coincidenza tra questi due autori,
ci appare immodesto, e forse anche improprio. Ma considerando che Foucault ha analizzato
in vari scritti la Beantwortung kantiana non possiamo esimerci dall'esaminare questo testo.
L'articolo di Kant del 1784 venne pubblicato nella Berlinische Monatschrift, all'interno di
un dibattito sull'Illuminismo che era nato grazie alla questione posta da un pastore luterano
di nome Zöllner. Questi aveva scritto alla Berlinische Monatschrift chiedendo: «che cos'è
l'Illuminismo? Questa domanda, che è importante quasi come chiedersi “che cos'è la
verità”, dovrebbe pur ricevere una risposta prima che ci si metta a fare opera di
rischiaramento! E tuttavia questa risposta non l'ho ancora trovata in nessun luogo»9. Questa
richiesta, nel giro di un anno, verrà esaudita da due esponenti del pensiero illuministico
tedesco, Mendelssohn e Kant, entrambi ignari della risposta dell'altro.
Mendelssohn, nel suo “Über die Frage: was heisst aufklären?” del settembre 1783, gioca
su una serie di contrapposizioni. Nell'operare una prima distinzione tra l'uomo in quanto
uomo [als Mensch] e l'uomo in quanto cittadino [als Bürger], stabilisce che a queste due
determinazioni deve corrispondere un diverso grado di Aufklärung. Mendelssohn, infatti,
ritiene che l'Aufklärung non possa essere estesa a tutti senza criterio, ma deve essere
diffuso «secondo il ceto e la professione»10. La seconda distinzione riguarda il concetto
della Bildung, ossia l'erudizione nel suo senso ampio di formazione culturale, che si biforca
in Kultur e, appunto, Aufklärung. All'interno di queste distinzioni Mendelssohn costituisce
delle relazioni precise: mentre al Bürger, l'appartenente ad una determinata comunità,
corrisponde la cultura nel suo aspetto più concreto e strumentale; all'uomo in quanto
Mensch corrisponde il «rischiaramento»11, ossia l'aspetto speculativo della formazione
intellettuale, inteso come «capacità di riflettere razionalmente sulle cose della vita umana a
seconda dell'importanza e influenza che esse hanno sulla destinazione dell'uomo»12.
9 In Che cos'è l'Illuminismo? Riflessione filosofica e pratica politica, Nicolao Merker (a cura di), Editori
Riuniti, Roma 1997, p. 39.
10 F. Mendelssohn, Über die Frage: was heisst aufklären?; traduz. it. Sul quesito: che cosa significa
rischiarare?, in Ivi, p. 45.
11 Ibid.
12 Ibid.
3
Mendelssohn, inoltre, distingue il rischiaramento nel suo «lato oggettivo della conoscenza
razionale»13, e nel suo lato soggettivo, come capacità di riflettere «sulla destinazione
dell'uomo come misura e meta»14, associando così all'Aufklärung non solo una
connotazione prettamente teoretica, che concerne esclusivamente la ragione, ma anche una
connotazione morale. Tra Aufklärung e Kultur, scrive Mendelssohn, è importante che
sussista un rapporto d'equilibrio, ci deve essere «un rapporto analogo a quello che esiste, in
generale, fra teoria e prassi, conoscenza ed eticità, critica e virtuosismo»15. Ciò significa
che sono l'uno in relazione all'altro ma che possono sussistere indipendentemente, infatti
negli individui stessi si può manifestare o la Kultur o l'Aufklärung, o entrambe
contemporaneamente. La distinzione tra Mensch e Bürger, inoltre, avviene sempre
all'interno di un orizzonte teleologico. Mendelssohn, infatti, parla di «destinazione»16
dell'uomo, e perché questa si realizzi l'uomo ha bisogno di rischiaramento, non di nozioni
intellettuali. Ma questa prospettiva escatologica, che contempla l'uomo als Mensch, non si
cura dell'uomo in quanto individuo. L'interesse di Mendelssohn è, infatti, in ultima istanza
il «rischiaramento di una nazione»17. È in base all'orizzonte della comunità che si distingue
tra «il rischiaramento che concerne l'uomo in quanto uomo [che] è universale, senza
distinzione di ceto»18 e il rischiaramento dell'uomo come cittadino che risponde invece a
dei criteri precisi; infatti «il rischiaramento dell'uomo può venire a conflitto con il
rischiaramento del cittadino»19, sarà allora uno stato «infelice»20, quello nel quale l'istanza
del Mensch non potrà armonizzarsi col Bürger, ma di ciò la filosofia non può discutere, gli
interessi dello stato risultano superiori. Mendelssohn a questo riguardo utilizza parole
molto forti: «Ammutolisca la filosofia! Qui è la necessità a dettar legge, o addirittura a
forgiare le catene da imporre all'umanità per tenerla sottomessa e costantemente
oppressa!»21. L'illuminista dovrà di conseguenza agire sempre con «prudenza e cautela»22,
13 Ivi, p. 44.
14 Ibid.
15 Ibid.
16 Ivi, p. 46.
17 Ibid.
18 Ibid.
19 Ivi, p. 46.
20 Ibid.
21 Ibid., corsivo mio.
22 Ibid.
4
sta a lui capire quale sia la linea di confine tra ciò che potrebbe risultare un abuso di
rischiaramento e il suo corretto uso. Mendelssohn, infatti, ritiene che ci siano delle
situazioni in cui è meglio mantenere dei pregiudizi piuttosto che rifiutare in toto qualunque
credenza, in particolare in campo religioso si rischierebbe di eliminare con i pregiudizi
anche i principi di eticità che vi albergano.
La risposta di Kant ha dei toni sono senza dubbio più audaci. L'articolo si apre con una
definizione: «L'illuminismo è l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità il quale è da
imputare a lui stesso [Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbst
verschuldeten Unmündigkeit]»23. L'Aufklärung ha quindi come prima determinazione una
connotazione negativa: è l'uscita dallo stato di minorità. Tale minorità [Unmündigkeit] è
imputabile a sé stessi «se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla
mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati
da un altro»24. A questo atteggiamento remissivo e codardo, Kant oppone il celebre motto
oraziano “Sapere aude!”, il motto dell'Illuminismo diventerà allora: «abbi il coraggio di
servirti della tua propria intelligenza»25. Da ciò possiamo dedurre che la minorità consiste
nell'eterodirezione. Gli uomini, infatti secondo Kant, nonostante abbiano ricevuto dalla
natura la possibilità di emanciparsi, vivono ancora in una condizione assimilabile a quella
infantile, stanno ancora nel «girello da bambini»26. La Unmündigkeit è la condizione
opposta a quella riservata ai «naturaliter maiorennes»27, coloro che, per il diritto romano,
venivano considerati emancipati dalla potestà paterna, e che, essendo emancipati
intellettualmente, non sono più sottoposti ad alcuna autorità spirituale. Invece la maggior
parte degli uomini «e con essi tutto il bel sesso»28risultano ancora soggetti a varie autorità:
«un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che
decide per me»29. La minorità, l'eterodirezione, la dipendenza da un'autorità paternalistica
23 I. Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung, Werke VIII, Akademie Ausgabe, Berlin, p. 35;
traduz. it. Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo?, in Op.cit., N. Merker ( a cura di). D'ora in poi
la traduzione in italiano verrà indicata dalla sigla WA.
24 WA, p. 48, corsivi miei.
25 Ibid.
26 WA, p. 49.
27 WA, p. 48, cfr. n.4.
28 WA, p. 49.
29 WA, p. 48.
5
sono, infatti, per la maggior parte degli uomini «pressoché una seconda natura»30. Ma
allora come è possibile che l'uomo si liberi da tali «ceppi di un'eterna minorità»31?
Kant ritiene che pochi siano riusciti a districarsi da questa minorità, eppure anche per il
Publikum illuminarsi è possibile «e anzi, se gli si lascia la libertà, è quasi inevitabile»32. Il
“pubblico”, nota Nicolao Merkel, nel XVIII secolo può avere tre possibili accezioni: «la
totalità delle persone raccolte in un certo luogo o spazio (provincia o Stato), il pubblico dei
lettori di un determinato scrittore, e l'insieme delle persone appartenenti ad una certa
epoca»33. Ci sembra di poter affermare, alla luce delle considerazioni che verranno, che
Kant lo utilizzi nella seconda accezione: il pubblico degli intellettuali. Sono infatti «i liberi
pensatori»34 ad avere un ruolo determinante nel processo di rischiaramento, coloro che
invece non si sono liberati dal giogo potranno illuminarsi solo lentamente. Anche una
rivoluzione, afferma il filosofo nel 1784, non condurrà necessariamente ad «una vera
riforma del modo di pensare. Al contrario: nuovi pregiudizi serviranno al pari dei vecchi a
mettere le dande alla gran folla di coloro che non pensano»35, facendoli quindi ricadere in
uno stato infantile. Invece, perché ci sia una reale uscita dallo stato di minorità, perché si
produca un'Aufklärung «non occorre altro che la libertà, e precisamente la più inoffensiva
di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della ragione in tutti i campi»36. È
importante notare che Kant utilizza il verbo “räsonieren”37 che ha una duplice accezione: in
senso positivo significa esercitare la facoltà della ragione, ossia giudicare e valutare
qualcosa secondo principi razionali; in senso negativo significa contestare, esprimere ad
alta voce il proprio dissenso. Non viene utilizzato questo verbo casualmente, infatti anche
della libertà sono possibili due usi: vi è una limitazione della libertà che risulta d'ostacolo
all'Aufklärung e una che invece lo favorisce. Difatti Kant distingue tra uso pubblico e uso
privato della ragione: «intendo per uso pubblico della propria ragione l'uso che uno ne fa,
come studioso [als Gelehrter], davanti all'intero pubblico di lettori. Chiamo invece uso
30 WA, p. 49.
31 Ibid.
32 Ibid.
33 WA, p. 49, n. 5.
34 Ibid.
35 WA, p. 50.
36 Ibid.
37 Seguo il suggerimento di Nicolao Merker, in Ivi, n. 6.
6
privato della ragione quello che ad un uomo è lecito farne in un certo ufficio o funzione
civile di cui egli è investito»38. Mentre l'uso pubblico della ragione dev'essere sempre
libero, l'uso privato può subire anche strette limitazioni. Le funzioni proprie dello Stato
devono essere salvaguardate dunque nei casi in cui il cittadino è inserito in un meccanismo
istituzionale deve sottostare ai dettami propri dell'istituzione della quale è funzionario. Ma
anche coloro che assolvono dei compiti all'interno della “macchina” istituzionale, in qualità
di studiosi, devono poter esprimere le loro opinioni e porle al vaglio del giudizio del
pubblico. L'uso della libertà dunque non dev'essere limitato allorché un individuo voglia
esporre dei giudizi in quanto membro di «tutta la comunità e anzi della società
cosmopolitica»39.
Kant quindi attua una distinzione nella dimensione dell'individuo che, da una parte, lo
inquadra in quanto funzionario di una determinata istituzione e, dall'altra, in quanto
studioso e membro di una società cosmopolitica. Il fine primario è evitare che si possano
creare delle «disubbidienze generali»40. Ciò che fa sì che che uno stato sia solido è, infatti,
ciò che fa sì che esista una comunità. A questo proposito afferma: «ogni resistenza al
supremo potere legislativo, ogni rivolta diretta a tradurre in atto il malcontento dei sudditi,
ogni sollevazione che mette capo alla ribellione, è il delitto più grande che si possa
commettere in uno Stato, essendo quello che ne distrugge le fondamenta»41. L'interesse
primario, per Kant, è fare in modo che si mantenga lo «stato giuridico»42. Tale stato si basa
sul «contratto originario che è criterio infallibile e a priori»43, essendo la legge alla quale si
riferisce «conforme al diritto»44, tale legge è, dunque, «irreprensibile»45 e «irresistibile»46 ,
di conseguenza il divieto alla resistenza è «assoluto»47. Infatti nel caso il contratto venga
38 Ibid.
39 WA, p. 51.
40 Ibid.
41 I. Kant, Über den Gemeinspruch: Das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber nicht für die Praxis;
traduz. it. Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria ma non vale in pratica, Gennaro Sasso (a
cura di), in Antologia di scritti politici, Il Mulino, Bologna 1961, p. 89.
42 Ivi, p. 88.
43 Ibid.
44 Ibid.
45 Ibid.
46 Ibid.
47 Ibid.
7