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Introduzione
«Philosophy, to be any good, must be analytic; but conceptual analysis is not
the whole of philosophy».
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Così inizia la prefazione dell’opera Truth,
Probability and Paradox (1973) del filosofo australiano John Leslie Mackie
(Sidney, 1917 – Oxford, 1981). Essa ci dà la cifra dei presupposti teorici su
cui muove il suo pensiero poiché, infatti, pur inserendosi in quell’ambito
della filosofia, in special modo anglosassone, che ha dedicato ampi spazi alla
teoria morale, egli assume una posizione sui generis.
Prendendo come anno di nascita della teoria morale analitica il 1903, anno
in cui G. E. Moore pubblica i Principia Ethica, potremmo affermare che essa
ha dedicato prevalente attenzione alla semantica e al linguaggio morale.
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Sul finire degli anni cinquanta alcuni assunti della metaetica vanno però in
crisi e sono messi in discussione in vari modi: viene in particolare presa di
mira l’idea che il compito della filosofia consista esclusivamente nell’analisi
logico-linguistica del discorso morale. Mackie si inserisce appieno in questa
critica sostenendo la necessità di spostare il piano dell’indagine da quello
semantico a quello ontologico. Elabora quindi un pensiero molto originale
divenendo un punto di riferimento seppur, nella maggior parte dei casi, per
essere fatto oggetto di polemica.
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L’attenzione di questo lavoro è volta alla prima parte di Ethics: Inventing
Right and Wrong
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(1977), intitolata The status of ethics, nella quale l’autore
si occupa di metaetica. Affrontiamo quindi l’analisi della metaetica di
Mackie, che in sostanza inaugura l’ancora attuale dibattito tra realismo e
anti-realismo morale, vedendo come affronta le questioni ontologiche e come
giustifica il proprio soggettivismo morale. Affronteremo anche la denuncia
della falsità dei giudizi morali del senso comune, lo scetticismo che porta
Mackie a sostenere con forza la non oggettività dei valori e l’idea che
«morality is not to be discovered but to be made» (Ethics, p. 106) per vedere
1
J. L. Mackie, Truth, Probability and Paradox, Oxford University Press, Oxford, 1973, p. VII.
2
Per un quadro generale si veda: S. Darwall, A. Gibbard e P. Railton, Toward Fin de siècle Ethics:
Some Trends, in: S. Darwall, A. Gibbard e P. Railton, Moral Discourse & Practice, Oxford
University Press, Oxford, 1997, pp. 3-47 e E. Lecaldano, Etica e significato: un bilancio, in: C. A.
Viano (a cura di), Teorie etiche contemporanee, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, pp. 59-86.
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Si veda: L. Fonnesu, Storia dell’etica contemporanea. Da Kant alla filosofia analitica, Carocci, Roma,
2006, pp. 263-266.
4
J. L. Mackie, Ethics: Inventing Right and Wrong, Penguin Books, London, 1977.
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se, come provocatoriamente scrive nella prefazione, «the truest teachers of
moral philosophy are the outlaws and thieves who, as Locke says, keep faith
and rules of justice with one another, but practise these as rules of
convenience without which they cannot hold together, with no pretence of
receiving them as innate laws of nature.» (Ethics, pp. 10-11).
La posizione metaetica di Mackie è originale anche perché, pur essendo in
sostanza anti-realista, essa può essere qualificata come cognitivistica a
causa del fatto che per lui l’uso dei giudizi morali implica asserzioni vere o
false: essi rinviano sì a valori di verità o falsità ma, alla luce del fatto che
non esistono proprietà morali, vanno considerati tutti falsi. Siamo quindi di
fronte ad un particolare tipo di cognitivismo, poiché potremmo anche
ritenere che, essendo i giudizi morali tutti falsi, non ci troviamo di fronte ad
una vera e propria possibilità di vero-funzionalità e quindi potremmo anche
affermare che Mackie è un non-cognitivista.
Il lavoro è stato volutamente strutturato in un unico capitolo con una
semplice divisione in paragrafi poiché una divisione in più capitoli ci è parsa
artificiosa; lo si immagini come il primo capitolo di un’opera più ampia che
prenda in esame anche gli altri aspetti del pensiero di Mackie.
1. Una distinzione preliminare
Ethics: Inventing Right and Wrong prende in esame i vari ambiti della
morale: Mackie tratta, infatti, sia aspetti metaetici sia aspetti di etica
normativa. In questo lavoro ci occupiamo però soltanto di metaetica. Che
cos’è la metaetica? La metaetica è quella branca della filosofia morale che
cerca di rispondere alle domande sui fondamenti dell’etica: si occupa di
definire il concetto di morale, della semantica del linguaggio morale, di
giustificare i codici morali e dello statuto ontologico e metafisico della
morale.
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La metaetica tenta di rispondere a domande quali:
In quale senso, ammesso che ve ne sia uno, la morale è oggettiva? Vi sono cose
come fatti o verità morali? Possiamo giustificare i giudizi morali? In che senso,
se ve ne è uno, le considerazioni morali guidano la condotta? È irrazionale
5
S. Darwall, A. Gibbard e P. Railton, Toward Fin de siècle Ethics: Some Trends, cit., p. 7.
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essere indifferenti alle considerazioni morali? Se vi sono fatti morali, come si
collegano alle caratteristiche naturali degli agenti, linee di condotta, e azioni su
cui essi vertono?
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La metaetica è tradizionalmente distinta dall’etica normativa la quale, pur
occupandosi anch’essa di rispondere a questioni dell’etica, si occupa di
problemi come quale sia la condotta giusta da seguire e quale sia il modo
giusto di vivere.
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Le questioni normative riguardano le risposte che diamo ai
veri e propri quesiti morali, mentre quelle metaetiche riguardano per lo più
problemi epistemologici e ontologici, per esempio la possibilità di includere o
escludere presunte verità morali nella descrizione del mondo e la possibilità
di conoscerle.
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Mackie preferisce distinguere questi due diversi ambiti di ricerca etica in
questioni di primo e secondo livello, dove le questioni di primo livello
coincidono con l’etica normativa, quelle di secondo con la metaetica. Le
questioni di secondo livello, nota Mackie, sono tradizionalmente di vario
genere, come: l’uso dei termini morali, l’analisi dei concetti etici e la logica
delle asserzioni morali. Quest’approccio alla metaetica, prettamente
linguistico-concettuale, non può però esaurire le questioni di secondo livello;
si devono, infatti, tenere in considerazione le problematiche di carattere
ontologico, cioè:
Questions about the nature and status of goodness or rightness or whatever it
is that first order moral statements are distinctively about. These are questions
of factual rather than conceptual analysis: the problem of what goodness is
cannot be settled conclusively or exhaustively by finding out what the word
“good” means, or what it is conventionally used to say or to do. (Ethics, p.
19).
Perché non è sufficiente la riflessione filosofica che si è concentrata sulle
questioni linguistiche? Così come per capire cosa sia la percezione non basta
comprendere il significato della parola “vedere”, anche in morale non si può
cadere nell’errore di ridurre le discussioni etiche di secondo livello a semplici
questioni concettuali e di significato.
6
D. O. Brink, Il Realismo morale e i fondamenti dell’etica, Vita e Pensiero, Milano, 2003, p. 3.
7
S. Darwall, A. Gibbard e P. Railton, Toward Fin de siècle Ethics: Some Trends, cit., p. 31.
8
Si veda: E. Baccarini, Realismo morale, La Rosa Editrice, Torino, 1998, p. 43.
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In ultimo dobbiamo tener presente che, nell’analisi di Mackie, i due livelli
possono essere tenuti separati: è cioè possibile avere posizioni differenti nei
due diversi livelli senza cadere in contraddizione poiché tali prospettive «are
not merely distinct but completely independent» (Ethics, p. 16); si può cioè
essere scettici su questioni di secondo livello senza esserlo,
conseguentemente, anche su questioni di primo. Scrive Baccarini:
Secondo Mackie, ad esempio, è possibile seguire con convinzione una pratica
che obbliga ad aiutare i poveri e a rispettare la libertà degli altri anche senza
pensare che gli enunciati compresi nel codice morale che sancisce questa
pratica rispecchino un qualche tipo di verità o abbiano, in qualche modo,
validità obiettiva.
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2. Un precursore: Bertrand Russell
Prima di entrare nel merito della error theory di Mackie è interessante
esaminare una posizione molto simile che, all’oscuro di Mackie che non
poteva esserne a conoscenza, è stata elaborata da Bertrand Russell. In uno
scritto poco noto, databile presumibilmente al 4 marzo 1922 e intitolato Is
There an Absolute Good?,
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Bertrand Russell esprime una posizione che ha,
infatti, molto in comune con la teoria dell’errore che prenderemo in
considerazione.
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La posizione etica di Russell può essere distinta in diverse
fasi: da una concezione oggettivistica e cognitivistica dei giudizi morali,
elaborata negli Elements of Ethics del 1910, per giungere a una posizione
metaetica di tipo emotivistico a partire dallo scritto Religion and Ethics del
1935.
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Lo scritto di nostro interesse si situa in una fase intermedia e
precorre discussioni metaetiche che diverranno centrali solamente sul finire
del ventesimo secolo.
Possiamo quindi, senza esagerare, vedere in Russell il creatore della error
theory: in questo notevole scritto che nonostante la sua brevità è ricco di
contenuti, Russell esamina, criticando radicalmente la tesi di Moore, la
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E. Baccarini, Realismo morale, cit., p. 44.
10
B. Russell, Is There an Absolute Good?, in: A. Ryan (a cura di), Russell Journal of the Bertrand
Russell Archives, VI, n. 2, 1986-87, pp.148-149.
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Per un confronto tra i due autori si veda: L. Fonnesu, Errori dell’ontologia. Percorsi della metaetica
tra Russell e Mackie, in: L. Ceri e S. F. Magni (a cura di), Le ragioni dell’etica, Edizioni ETS, Pisa, 2004,
pp. 23-42.
12
Si veda: L. Fonnesu, Storia dell’etica contemporanea, cit., pp. 238-240.