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Introduzione
Il presente elaborato è frutto di un’accorta analisi di normative a livello europeo,
nazionale e regionale, volta a verificare se in Italia sia realmente presente la figura
dell’interprete di comunità nelle strutture sanitarie del territorio. In particolare si
prenderanno in considerazione tre regioni italiane: Campania, Lazio e Toscana. L’idea
alla base della seguente analisi nasce in seguito ad aver fatto delle visite in alcune
strutture sanitarie che accolgono giornalmente pazienti stranieri ed aver notato
l’assenza totale di interpreti e la confusione riguardo questa figura da parte del
personale socio-sanitario. Per poter confermare l’ipotesi alla base di questo studio è
stato creato un questionario di ricerca compilabile da medici provenienti da strutture
delle tre regioni prese in esame. Il questionario è stato creato in collaborazione con il
gruppo di ricerca dell’U.N.I.N.T. nel progetto “ReACTMe”, che si pone come
obiettivo quello di proporre una formazione adeguata all’interprete in ambito medico.
Per poter redigere questa tesi sono state utilizzate sia fonti cartacee che fonti online.
La tesi si suddivide in tre capitoli. Il primo capitolo si concentra sulla figura
dell’interprete, a partire dagli albori di questo mestiere antichissimo, nato prima ancora
della scrittura. Si spiega dunque come sono nate le diverse tecniche di interpretazione
e di come questa attività continui a svilupparsi e muti in concomitanza con i tempi
moderni e gli sviluppi tecnologici. Successivamente si fa luce sul profilo dei mediatori
culturali, per comprendere quali sono le differenze tra mediatori culturali e interpreti,
due figure molto diverse che però, spesso, vengono confuse. Nel secondo capitolo ci
si sofferma sul Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e sui principi su cui è fondato, per
poi approfondire i temi dell’accesso alle cure della persona straniera e delle leggi che
sanciscono la parità tra pazienti italiani e pazienti stranieri. In seguito ci si concentra
nello specifico sulle tre regioni italiane prese in analisi, ossia Campania, Lazio e
Toscana. Per ogni regione si elencheranno le normative vigenti. Il risultato di questa
prima analisi dimostra che secondo le normative nazionali e regionali, le strutture
sanitarie italiane garantiscono a tutti i pazienti stranieri il supporto da parte di
mediatori culturali, che avrebbero il compito di accompagnare i pazienti durante tutto
il processo. Stando alle normative delle sopracitate regioni, le strutture sanitarie
offrono anche servizi di interpretazione in Lingua dei Segni per i pazienti sordi.
Successivamente ci si concentra sulla figura dell’interprete in ambito sanitario, sui
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benefici di affidarsi a dei professionisti del mestiere e sulle difficoltà che si possono
incontrare in un settore molto specifico come quello sanitario. Nel terzo ed ultimo
capitolo vengono esaminati i risultati del questionario provenienti da diverse strutture
distribuite sul territorio di Campania, Lazio e Toscana. Grazie alla collaborazione dei
medici la tesi iniziale di questo studio è stata confermata, offrendo degli ulteriori spunti
di riflessione che sono stati analizzati nelle conclusioni della tesi.
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Capitolo I
1.1 Breve storia dell’interpretazione
In questo elaborato si farà una disamina sul ruolo dell’interprete in ambito sanitario
in tre regioni italiane (Lazio, Toscana e Campania); per comprendere questo tema al
meglio, nel seguente capitolo ci si soffermerà in breve su come è nata l’interpretazione
e come si è sviluppata fino ai nostri giorni.
L’interpretazione è un’attività di traduzione orale molto antica, non abbiamo purtroppo
una documentazione storica sulle primissime forme di interpretazione, ma si sa per
certo che è presente da prim’ancora che la scrittura venisse inventata, e di
conseguenza, da prima che esistesse la traduzione scritta. Differisce da essa, in quanto
l’interpretazione è un atto orale e si distingue grazie alla sua immediatezza, elemento
fondamentale per rompere le barriere comunicative tra persone di lingue e culture
diverse. Secondo Kade (1968), un’ulteriore dissomiglianza tra interpretazione e
traduzione è che la prima non può essere modificata, ripetuta e (in passato) riprodotta
1
,
e che viene prodotta sotto pressione del tempo.
L’interpretazione primordiale risale a quando nacque la necessità di far comunicare
comunità di lingue diverse, con lo scopo di scambiare merci o per trattative
commerciali. Come evidenzia Merlini, l’interpretazione “frase-per-frase” o “faccia-a-
faccia”, era uno strumento sufficiente per far fronte a diverse esigenze comunicative;
stesso l’etimologia del termine “interpretazione” (l’unione di inter, “tra” e pretium,
“prezzo”) fa riferimento ad un’intermediazione di un accordo di scambio tra mercanzie
(2005: 20). L’interpretazione di trattativa è dunque la forma più antica di mediazione,
seppure non possiamo sapere con precisione a quando risalga la prima interpretazione
(poiché la comunicazione è sempre stata parte della storia dell’essere umano), ci sono
testimonianze risalenti addirittura all’Impero Romano e all’antico Egitto (Pöchhacker,
2004), le prime risalgono circa al 3000 a.C. e si tratta di trattative commerciali ritrovate
nella necropoli dell’isola di Elefantina, alla frontiera tra Sudan ed Egitto.
1
Al giorno d’oggi gli interpreti, dopo aver firmato una liberatoria, possono essere registrati e quindi,
riascoltati.
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“On the west bank of the Nile cut into the hill called Kubbet el-Haua (“the windy
peak"), opposite the large island of Elephantine, can be found a necropolis
containing about 40 tombs going back to the third millennium B.C. […]. It is
here, in the inscriptions on the walls of the tombs of the princess of Elephantine,
which tell us about the dealings of the Egyptians of the Sixth Dynasty with Nubia,
that we find some of the earliest recorded references to the use of interpretation.
The Egyptians tended to regard other nations and their languages as “barbarian”.
In spite of their ethnocentric cultural and linguistic prejudices, however, they
could not ignore alien languages altogether and in their trade relations with other
people, e.g., had to rely on the services of interpreters.”
2
(Kurz, 1985: 213)
Una delle più rinomate interpreti del passato, di cui ancora oggi si sente molto parlare
nei libri di storia, è La Malinche: interprete ed amante del conquistatore Hernán Cortés,
colei che ebbe un ruolo fondamentale durante tutte le fasi del dominio spagnolo.
Col passare del tempo e con lo sviluppo delle società, si è iniziato a richiedere l’aiuto
di un mediatore per stabilire e coltivare relazioni politiche e, nelle situazioni più
complicate, quando i rapporti tra comunità si inasprivano, c’era bisogno di mediare
conversazioni in un contesto militare. In questo contesto, l’interprete veniva utilizzato
sia durante le campagne belliche, sia per amministrare i territori sottomessi. Ci sono
giunte molteplici documentazioni a riguardo, come per esempio la letteratura greca
legata alle campagne di Alessandro Magno in Asia (Merlini, 2005: 21). La figura
dell’interprete inizialmente non suscitava interesse tra gli studiosi, poiché si trattava di
persone di bassa estrazione sociale, senza alcuna formazione, se non la conoscenza
della lingua.
L’evoluzione professionale dell’interprete arrivò con l’aumentare delle diversità
culturali, linguistiche ed etniche nella società, grazie alle quali questa figura acquistò
molta più importanza e venne sempre più richiesta, soprattutto perché era necessaria.
In esso si ricercava non solo una persona con grandi competenze linguistiche, ma
anche una persona con una spiccata cultura e conoscenza di costumi e tradizioni di
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“Sulla riva occidentale del Nilo sulla collina chiamata Qubbet el-Hawa (“la cima ventosa”), di fronte
alla grande isola di Elefantina, si trova una necropoli che contiene circa 40 tombe risalenti al terzo
millennio a.C. [...]. È qui, nelle iscrizioni sulle pareti delle tombe della principessa di Elefantina che ci
parlano dei rapporti degli egiziani della sesta dinastia con la Nubia, che troviamo alcuni dei primi
riferimenti registrati sull'uso dell'interpretazione. Gli Egiziani tendevano a considerare le altre nazioni
e le loro lingue come "barbare". Nonostante i loro pregiudizi culturali e linguistici etnocentrici, tuttavia,
non potevano ignorare del tutto le lingue aliene e nei loro rapporti commerciali con altre persone, ad
esempio, dovevano ricorrere ai servizi di interpretazione.” (Traduzione mia)
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popoli diversi che potesse facilitare la comunicazione e risultare utile durante la
mediazione.
L’importanza degli interpreti crebbe con l’arrivo della Prima Guerra Mondiale, poiché
i francesi dovevano necessariamente comunicare con gli alleati inglesi. Nel 1919,
durante la Conferenza di pace di Parigi, avvenne il vero e proprio battesimo
dell’interpretariato di conferenza. Come lingue ufficiali della conferenza si scelsero
sia il francese che l’inglese, mettendo così fine al monopolio del francese come lingua
della diplomazia. Il ruolo degli interpreti fu quello di ascoltare le dichiarazioni dei
delegati pronunciate nella propria lingua e fare un riassunto di quanto ascoltato,
traducendolo nell’altra lingua, utilizzando la tecnica della consecutiva.
“The French and English languages shall be the official languages of the
conference. Speeches in French shall be summarized in English and vice versa
by an interpreter belonging to the secretariat of the conference. A delegate may
speak in his own language, but his delegation must provide for the translation of
a summary of his speech into one of the two official languages by an interpreter
attached to the delegation. The summary thus translated will then be rendered in
the other official language by an interpreter belonging to the secretariat. All
documents, resolutions, reports, etc., circulated to the members of the conference
by the secretariat shall be rendered in both French and English. Each delegation
has the right to have documents circulated in its own language, but the secretariat
of the conference will not be responsible for their translation.”
(Società delle Nazioni, 1919: 219)
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Nel 1919, logicamente, non esistevano ancora scuole di interpretariato, ma scegliere
gli interpreti per la Conferenza non fu particolarmente difficile. Dopo la Prima Guerra
Mondiale, infatti, molti giovani erano poliglotti per diversi motivi (perché nati da
genitori di diverse nazionalità, per la loro istruzione o perché erano migrati da altri
paesi) ed erano tutti ben istruiti ed appartenenti a classi sociali medie o alte (Baigorri-
Jalón, 2005).
Originariamente, l’idea di interpreti che potessero tradurre in simultanea dei discorsi
era impensabile, ragion per cui, durante alcuni eventi, con l’ausilio di uno stenografo
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“Inglese e francese costituiranno le lingue ufficiali della conferenza. Gli interventi in francese saranno
riassunti in inglese e viceversa da un interprete della segreteria della conferenza. I delegati potranno
parlare nella propria lingua, ma la loro delegazione dovrà provvedere alla traduzione di un riassunto del
loro discorso in una delle due lingue ufficiali da parte di un interprete assegnato alla delegazione. Il
riassunto tradotto sarà poi reso nell'altra lingua ufficiale da un interprete della segreteria. Tutti i
documenti, le delibere, le relazioni, ecc. distribuiti ai membri della conferenza dalla segreteria saranno
resi sia in francese che in inglese. Ogni delegazione ha il diritto di far circolare i documenti nella propria
lingua, ma la segreteria del congresso non sarà responsabile della loro traduzione.” (Traduzione mia)
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che trascriveva in contemporanea le parole pronunciate, un interprete traduceva a vista
e trasmetteva il discorso a un pubblico. L’esempio appena descritto, seppur molto
scomodo, è il metodo che più si avvicina all’odierna interpretazione simultanea, ma
fin dal principio venne ritenuto poco fattibile. Successivamente, negli anni 1927 e
1928, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), iniziò un ciclo di conferenze,
dove venne preferita l’interpretazione telefonica, per cui gli interpreti seguirono un
corso di formazione. L’introduzione di questa modalità fu un successo sia tecnologico
che sociale, poiché prima d’allora i rappresentanti dei lavoratori molto spesso
partecipavano a conferenze senza purtroppo poter capire o intervenire (Bendazzoli,
2010: 34).
Il 24 novembre 1945 fu necessario ingaggiare degli interpreti per tradurre le udienze
al Processo di Norimberga
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. Sia lo chuchotage che la consecutiva vennero considerate
tecniche poco adatte a questo evento. La prima, perché anche se sotto voce, interferiva
con il discorso degli interlocutori e poteva essere utilizzata per un piccolo gruppo di
delegati. La seconda, invece, venne ritenuta inadatta poiché interpretare ogni frase in
tutte le lingue utilizzate nel processo avrebbe aumentato notevolmente i tempi. Per la
prima volta fu quindi necessaria l’interpretazione simultanea in quattro lingue
contemporaneamente (tedesco, russo, inglese e francese); mai prima d’allora era stata
sperimentata una tecnica per far sì che gli interpreti riuscissero ad ascoltare un discorso
in una lingua e allo stesso tempo riprodurre una traduzione in una lingua diversa da
quella ascoltata. L’interpretazione simultanea risultò da subito la tecnica più adeguata;
grazie ad essa i tempi si ridussero considerevolmente, i delegati non dovevano
ascoltare discorsi in lingue a loro sconosciute e aspettare per una traduzione e, stando
in cabine insonorizzate, gli interpreti non disturbavano la voce degli oratori (Gaiba,
1998: 29).
Fu con il Processo di Norimberga che nacque l’interprete di conferenza, l’udienza durò
dal 20 novembre 1945 al 1 ottobre 1946, ben 11 mesi, in cui pionieri
dell’interpretazione dovettero lavorare in simultanea per molte ore al giorno, in cabine
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Il Processo di Norimberga fu un processo contro i crimini del nazismo. Si tenne nel Palazzo di Giustizia
della città tedesca di Norimberga, che appunto gli dà il nome. È durato dal 20 novembre 1945 al 1
ottobre 1946 e si è concluso con 12 condanne a morte mediante impiccagione, sette pene detentive e tre
assoluzioni (Treccani, 2010).