V
interna, pertanto deve essere attivata per far partecipe tutto il
personale nelle politiche aziendali.
Una gestione, che voglia sfruttare in modo innovativo le
risorse umane, può contribuire notevolmente all’ottimizzazione
dell’immagine aziendale, attraverso comportamenti che
diventino messaggi positivi trasmessi al pubblico anche in
forma non verbale.
Questo tipo di comunicazione investe diversi aspetti materiali,
dall’architettura al design aziendale (edifici, uffici, arredi),
dalla marca alla presentazione ed esposizione del prodotto: tutti
questi elementi visivi contribuiscono a far riconoscere
l’immagine aziendale in un contesto di fidelizzazione, in
quanto il consumatore percepisce che l’azienda con il suo
sistema di valore-impresa è in grado di dare risposta ai suoi
bisogni materiali e psicologici.
Comunicazione ed immagine sono due facce di una stessa
medaglia e interagiscono in maniera complementare e
sinergica. Il marketing, partendo dai bisogni del pubblico,
diventa espressione di uno stile aziendale che mette il cliente al
centro di ogni strategia d’impresa.
1
Cap.1.“Introduzione all’immagine aziendale”
1.1. Il concetto di immagine
“I pensieri che ci vengono nel guardare un’immagine, in qualche modo
sono già espressi in essa”
1
.
Ilans Georg Gadamer
Alcuni settori della filosofia e della scienza occidentali sono
giunti ad adottare una visione del mondo illustrata piuttosto
che testuale. In questo modo verrebbe messa in discussione la
concezione del mondo come testo scritto, a favore della teoria
del mondo come immagine.
Dei rapporti che intratteniamo con le persone che ci
circondano, sia essi di natura commerciale (acquisto di
prodotti o servizi), siano essi di natura no profit (assistenza agli
anziani o ai portatori di handicap), oppure un semplice
vicinato, noi conserviamo un ricordo, che è un buon ricordo se
il rapporto si è svolto con nostro piacere e soddisfazione, un
cattivo ricordo se il risultato dell’incontro ci ha deluso in
qualche sua parte.
Il ricordo che archiviamo in memoria condiziona il nostro
atteggiamento verso l’interlocutore nella reiterazione del
rapporto, predisponendoci verso di lui in maniera positiva o
negativa.
Questo meccanismo comportamentale si ripete in ogni
momento della nostra vita.
1
Cfr. art. di Mattia Nicoletti, Azfrahcising n°10, Fabio Pasquali editore,
ottobre 2002.
2
Dunque, ogni rapporto che intratteniamo con terzi si configura
come la ricezione di un messaggio: un mattone che partecipa
alla costruzione dell’immagine.
L’immagine è la sintesi dell’accumulo delle percezioni che un
individuo immagazzina su un determinato soggetto, è la
risultante della totalità dei messaggi elaborati ed archiviati
nella sua memoria.
Ogni soggetto, sia esso un’impresa, una marca o un
personaggio, si caratterizza per un specifico profilo
d’immagine; profilo che è rappresentato dalla successione di
più tratti d’immagine, su cui il pubblico target esprime una
valutazione. Il tracciato del profilo presenta dei picchi e dei
ventri, i primi rappresentano i punti di forza, i secondi i punti di
debolezza. Dipende dalla volontà di alzare o rafforzare il
singolo tratto d’immagine, il tipo di messaggio da inviare al
pubblico obiettivo.
E’ il pubblico l’interlocutore principe dell’emittente, il
destinatario dei messaggi, e la totalità di essi accumulati in
memoria forma l’immagine.
E su questo principio che un’azienda costruisce l’immagine di
prodotto, di gamma, di marca.
L’immagine va gestita, va mantenuta fresca, arricchita da
componenti virtuali proiettati su di essa.
L’immagine ha anche un ciclo di vita e pertanto è soggetta a
declino che dipende sia dall’assenza di messaggi, sia dalla
pressione di comunicazione dei concorrenti.
Le aziende, così, si trovano costrette a modificare tutte le loro
strategie per far fronte alla turbolenza dell’ambiente e
all’instabilità della domanda, cercando di occupare una
posizione distintiva sul mercato il più a lungo possibile. Ciò
necessita inevitabilmente una produzione di immagine, ma
soprattutto una costruzione d’identità.
3
1.2. L’ azienda e la sua immagine
L’immagine aziendale è un fattore strategico del marketing.
L’attivazione di una politica di immagine efficace richiede una
capacità di interagire con l’ambiente circostante, attraverso un
processo di analisi e d’interpretazioni che consente di:
- intensificare le tendenze esterne (variabili socio-culturali)
- riconoscere le competenze interne (cultura d’impresa)
- adeguare le risorse (umane e strategiche)
- evidenziare le proposte e le scelte d’intervento (nei vari
settori: culturali,artistico, sociale, scolastico, ecc.).
L’azienda deve rendere sistematico e razionale il processo di
relazione e comunicazione con diversi pubblici di riferimento.
La politica d’immagine è fondamentale per rendere possibile
l’identificazione del pubblico con l’azienda; in un mercato
sempre più competitivo il valore immagine fa la differenza, il
posizionamento di immagine diventa il fattore di successo.
L’immagine aziendale comprende:
a) la corporate identità (identità ) è l’essere, ciò che è;
l’insieme dei dati oggettivi che formano la personalità
dell’azienda.
b) la corporate image (immagine):
- dalla parte dell’impresa (l’emittente) l’immagine è l’esserci,
l’apparire, ciò che dice di essere; l’espressione pubblica con cui
trasmette la sua identità; la rappresentazione all’esterno
attraverso la trasmissioni di segni, codici e messaggi.
- dalla parte del pubblico (il destinatario) l’immagine è la
percezione fondata su sensazioni, esperienze, sentimenti,
opinioni e giudizi nei confronti di un’impresa.
Obiettivo fondamentale della comunicazione della corporate è
quello di creare i presupposti, affinché l’atteggiamento del
pubblico nei confronti dell’azienda sia di pieno consenso.
4
Il raggiungimento degli obiettivi istituzionali avrà una ricaduta
sugli obiettivi di marketing e la capitalizzazione d’immagine
positiva diventerà il vantaggio competitivo dell’azienda.
I principali obiettivi della comunicazione della corporate sono:
- affermare e consolidare il posizionamento istituzionale
per guadagnare il favore dell’opinione pubblica, degli
ambienti finanziari e delle istituzioni;
- creare, rafforzare o modificare l’immagine aziendale;
- aumentare la notorietà dell’azienda;
- dare alla comunicazione uno stile di assoluta unicità e
d’istintività;
- mantenere la fiducia dei pubblici attraverso interventi
mirati nei confronti degli opinion leader, operatori dei
mass media;
- far conoscere gli impegni presi dall’azienda a favore
dell’ambiente esterno (arte, sport, cultura, qualità della
vita, ecc.);
- comunicare un evento che può influire positivamente
sull’immagine aziendale per trasferirne i benefici a
livello istituzionale;
- sensibilizzare il mercato prima del lancio di un
prodotto.
L’ottimizzazione della comunicazione di immagine dipende
dalla capacità di integrare obiettivi, interventi, aree operative e
funzioni del sistema di comunicazione globale.
Il settore che cura quest’attività è in genere quello deputato alle
relazioni esterne, immagine e comunicazione istituzionale.
Le iniziative di cui si occupano riguardano: studi e ricerche,
relazioni pubbliche, pubblicità istituzionale, rappresentanza di
interessi ed i public affaire (attività di relazione con organismi
legislativi e politici).
Un’impresa, dunque, può comunicare sia attraverso iniziative
di rapporti istituzionali, di relazioni con la stampa, di attività
5
editoriale, di immagine grafica aziendale coordinata, sia
attraverso l’advertising (pubblicità su stampa, tv, radio,
affissione, etc.).
1.3. I fattori che influenzano l’immagine aziendale
Le imprese operano in un ambiente che è largamente
predeterminato dalla loro reputazione, o dall’assenza di essa.
Un’impresa sconosciuta non si trova in una posizione neutrale;
tutti coloro con cui avrà dei contatti saranno inizialmente
diffidenti. Essa, infatti, dovrà lottare contro pregiudizi. Tale
atteggiamento muterà all’aumentare della familiarità con la
nuova impresa.
In pratica la familiarità rende accettabile ed affidabile
un’azienda. Una familiarità ancor maggiore con un’azienda, i
suoi prodotti e quanto di positivo essa fa, costituisce poi un
ulteriore vantaggio. E’ bene che di un’azienda siano noti il
maggior numero possibile di aspetti positivi: qualunque azione,
anche minima, tesa ad incrementare la notorietà dell’azienda,
dà risultati apprezzabili.
E’ abbastanza ovvio che una buona reputazione facilita le
vendite; per esempio la forza vendita sarà ben accolta e
acquisterà una nuova sicurezza nei rapporti con la clientela.
La reputazione dell’azienda influisce inoltre sulla valutazione
che le banche commerciali formulano a suo riguardo. Gli
investitori hanno maggior fiducia nelle azioni di un’azienda
che gode di una solida reputazione.
E’ più probabile che la stampa dia spazio ai comunicati delle
aziende più note e stimate e che i giornalisti dei vari media le
interpellino per avere i parerei su un determinato settore
industriale in merito ad un problema sociale o economico.
Persino gli organismi statali, che dovrebbero essere imparziali
nei confronti di tutte le aziende indipendentemente dalle loro
6
dimensioni e dalla loro reputazione, condividono quest’umana
debolezza e si rivolgono alle aziende con rispetto
proporzionato all’immagine che ne hanno.
L’evoluzione dell’immagine aziendale, secondo Thomas F.
Garbett, sembra essere determinata da sei fattori
2
:
1. l’impresa stessa nelle sue manifestazioni concrete: le
dimensioni dell’impresa, la sua struttura, il settore in
cui opera, i prodotti o servizi che offre, sono elementi
essenziali nella creazione dell’immagine. Il numero dei
dipendenti e il loro grado di interazione con la società
plasmano la natura fondamentale dell’azienda.
Ovviamente un’impresa che produce beni industriali è
intrinsecamente diversa da una catena di punti vendita.
Le pure e semplici dimensioni di un’azienda e la
gamma delle sue attività influenzano direttamente il suo
grado di familiarità presso il pubblico. Va tenuta
presente, inoltre, la sua valenza sociale intrinseca:
un’azienda che produce oggetti di uso comune non è
paragonabile ad un’azienda che produce velivoli
sofisticati, oppure offre servizi importanti, quali i
servizi sanitari;
2. l’interesse che l’impresa e le sue attività suscitano: può
darsi che l’impresa susciti interesse grazie a prodotti e
servizi che migliorano notevolmente la qualità della
vita, oppure dando un contributo rilevante alla società.
In negativo l’opinione pubblica può essere altrettanto
interessata alle notizie riguardanti prodotti di cattiva
qualità, il ritiro di prodotti difettosi, un fallimento
finanziario o azioni scorrette a livello ambientale o
sociale. Le cattive notizie avranno senz’altro l’effetto di
aumentare la notorietà dell’azienda, anche se allo stesso
2
Garbett T.F., La corporate image. Come costruire e mantenere l’identità
dell’azienda, Etaslibri, Milano 1992, pag.10.
7
tempo creeranno associazioni e sentimenti negativi nei
sui confronti;
3. il grado di diversificazione dell’impresa: se l’attività
dell’azienda sono varie e diversificate, altrettanto
diversificati saranno i messaggi che essa emette. Una
holding a cui fanno capo diverse imprese può emettere
segnali talmente diversi da apparire discordanti.
Viceversa se un’azienda è monolitica i messaggi che
emetterà saranno molto più coerenti. Di conseguenza
una holding incontrerà maggiori difficoltà nel crearsi
una reputazione rispetto ad un’azienda mono-prodotto;
4. la strategia di comunicazione aziendale: indubbiamente
le aziende che perseguono una politica di
comunicazione e investono nella creazione
dell’immagine aziendale sono meglio conosciute e di
solito godono di una miglior reputazione;
5. il tempo: la reputazione non si crea da un momento
all’atro, ma va costruita attraverso un processo
graduale. Un prodotto estremamente innovativo o una
nuova formidabile campagna pubblicitaria faranno
sicuramente registrare un notevole aumento della
notorietà dell’azienda, ma esso sarà di breve durata: se
tale incremento è sufficientemente elevato, il livello di
notorietà dell’azienda si potrà stabilizzare su nuovi
valori, superiori ai precedenti. Le imprese migliori
reggono bene alla prova del tempo: la loro immagine,
costruita negli anni , resisterà a lungo;
6. la caduta del ricordo: l’immagine dell’azienda poggia
su un terreno mal sicuro. Il puro mantenimento delle
posizioni conquistate richiede un continuo impegno
nella comunicazione. La caduta del ricordo, cioè la
tendenza della gente a dimenticare è molto rapida. La
prima a sparire con rapidità inaspettata, è la posizione
8
di predominio di un’azienda su tutte le altre per quanto
riguarda la notorietà. Tale fenomeno si verifica
soprattutto se l’azienda non ha avuto il tempo
necessario a costruire e rafforzare la propria immagine
negli anni. Tutto ciò è una conseguenza del mutamento
dell’audience: alcune persone vanno in pensione ed a
loro subentra una nuova generazione; i clienti cambiano
lavoro e vengono sostituiti da persone nuove. Va tenuto
presente che questi diversi pubblici dimenticano, con il
tempo, i messaggi che sono stati loro inviati. Se questi
messaggi non vengono “rinforzati”, gradualmente,
svaniscono.
Questi sei fattori interagiscono nel creare l’immagine
aziendale. A tal proposito è stata formulata un’equazione che
determina l’immagine aziendale
3
:
In realtà le notizie riguardanti un’azienda non sono mai
decisamente positive o negative, ma sono suscettibili di
interpretazione da parte dei diversi pubblici che raggiungono.
3
Ivi, p.12
Impresa nelle
sue
manifestazioni
L’interesse che
le sue attività
suscitano
+
Il suo grado di
diversificazione
(mancanza di
coesione)
/
*
La sua strategia
di
comunicazione *
Il tempo
-
Immagine aziendale
La caduta del
ricordo
=
9
1.4. Gestione dell’immagine in momenti di crisi
Negli ultimi dieci anni sono state raffinate le tecniche volte a
contenere i danni che l’immagine aziendale subisce nei
momenti di crisi. Bisogna tener conto, preventivamente,
dell’elevata visibilità dell’azienda in tali circostanze.
Non è più possibile attestarsi su una posizione di difesa, ma al
contrario è fondamentale mantenere un costante flusso di
informazioni con la stampa e assumere un atteggiamento
credibile e responsabile. Sono passati ormai i tempi in cui si
poteva evitare l’ostilità di alcuni giornalisti, rifiutando qualsiasi
dichiarazione. Oggi i giornalisti giungono ad interpretare come
segni di colpa persino i legittimi ritardi nel rispondere alle loro
domande, non parliamo poi del rifiuto a fornire qualunque
informazione. La stampa giunge a sospettare tentativi di
depistaggio persino quando di essi non vi è neppure l’ombra.
Nel momento in cui il management cerca disperatamente di
vagliare i fatti per valutare quanto è accaduto, la stampa è già
alla ricerca di un capro espiatorio. Non ci si può nascondere
dietro un “no comment”.
Secondo la stampa gli incidenti non capitano casualmente, ma
sono provocati da qualcuno che ne è colpevole. Si può trattare
di un errore umano, di una negligenza criminale, dell’avidità
dell’azienda o di un pessimo management, ma in ogni caso si
presume quasi sempre che esista un colpevole. Per far fronte a
questo atteggiamento ostile, l’impresa deve reagire con forza
agli eventi, agendo in modo tale da dare alla stampa
l’impressione che il management dell’azienda si preoccupa di
quanto è avvenuto forse ancor più di quanto faccia lo stesso
pubblico. Inoltre, il management deve trasmettere in modo
convincente l’impressione di impegnarsi per risolvere la
situazione.
10
Oggi probabilmente le imprese si assumono una responsabilità
maggiore che in passato, ed in ogni caso sono più abili
nell’evitare disastri di vario tipo. Esse hanno approfondito le
loro conoscenze in materia di sicurezza dei prodotti e sono
maggiormente consapevoli delle gravità etiche che gravano su
di loro. Nonostante ciò sembra che un numero crescente di
aziende incappi in situazioni critiche in grado di distruggere
una reputazione consolidata da tempo. Il cosiddetto “crisis
management” è diventato ormai una disciplina vera e propria e
in molti casi costituisce una funzione autonoma e
apparentemente permanente.
Il primo passo verso lo sviluppo di una strategia di “crisis
management” consiste nell’individuare le aree a rischio
dell’azienda. Le compagnie aeree, per esempio, hanno, da
decenni, i cosiddetti “crisis team” o squadre d’emergenza, cui
tocca il compito di occuparsi di eventuali incidenti aerei; la
maggior parte di essa prepara il management che rappresenta la
compagnia all’interno di ciascun aeroporto ad affrontare
l’immediata responsabilità di cui dovrebbe farsi carico in caso
di disastro aereo nelle vicinanze.
Contemporaneamente all’individuazione dei punti di
vulnerabilità dell’azienda, si procede solitamente alla
formazione di una “task force” composta da dipendenti che
dispongano delle capacità e dell’esperienza necessarie ad
affrontare i problemi previsti. Questo gruppo dovrebbe essere
solitamente guidato da un dirigente in grado di rappresentare
adeguatamente la società, cui sia data la facoltà di prendere
delle decisioni sul campo senza doverle sottoporre ad un lungo
iter all’interno dell’azienda. Bisognerebbe valutare non solo le
attitudini di tutti i membri del team e la loro esperienza, ma
anche la loro possibilità di lavorare in condizioni di stress; una
buona tolleranza e un po’ di stoicismo possono essere utili per
affrontare il vero e proprio tour de force, cui spesso si è
11
sottoposti in questi casi. Le agenzie che offrono questo tipo di
consulenza lavoreranno con questo gruppo, simulando delle
situazioni in grado di testare la capacità individuali di gestire le
comunicazioni in caso di disastro. Verranno simulate delle
interviste con i membri dell’unità di crisi, che per essere più
realistiche, comprenderanno colpi di scena inaspettati. Per
quanto riguarda le compagnie aeree la maggior parte di esse
dispone di “task force” che in caso di incidenti sono pronte a
recarsi in volo nella città coinvolta con un brevissimo
preavviso. Un simile team è molto più di un ufficio stampa,
comprende infatti persone con una vasta esperienza del settore,
che conoscono molto bene le politiche e il modo di operare
della compagnia, le sue attrezzature, i sui standard di sicurezza,
i criteri di manutenzione e così via; a queste persone spetta
quindi il compito di affrontare i problemi contingenti che
derivano dall’incidente. La loro esperienza e l’autorità loro
delegata, fanno si che essi siano in grado di interagire con la
stampa con intelligenza e in modo rassicurante, mostrando così
di controllare la situazione. Questa “task force” è in grado di
rispondere a quesiti riguardanti problemi assicurativi o di
responsabilità civile.
I vari tipi di catastrofi richiedono interventi diversi, e risulta
pertanto opportuno identificare sin dall’inizio l’esatta natura
del problema e comunicarla immediatamente al top
management. Naturalmente tutto ciò è particolarmente
importante per evitare di reagire in modo inadeguato al
problema: come frequentemente avviene, i dipendenti e il
management tendono inizialmente a sottovalutare la portata di
una catastrofe. Ad osservatori esterni, invece, la cosa sembra
molto più grave, sino a diventare in poche ore una notizia di
richiamo, magari soltanto sulla scorta di quanto “avrebbe
potuto” accadere, anche se il caso in se stesso ha causato danni
12
effettivi molto limitati. In altri termini, un potenziale disastro
ha le stesse conseguenze di un disastro reale.
Possiamo fare qualche esempio di come alcuni episodi hanno
coinvolto grandi aziende multinazionali come la Nestlè e Coca
Cola.
Nel periodo prenatalizio del 1998 un gruppo di ecoterroristi
sabotava in Italia i panettoni della Nestlè-Motta con un’azione
di avvelenamento di alcuni prodotti. L’azienda attraverso i
mass-media ribadiva la qualità dei suoi prodotti e la verifica
con controlli accurati dei panettoni in commercio. Purtroppo la
forte paura nei consumatori e i tempi molto vicini al Natale non
fecero ottenere i risultati sperati: l’immagine fu colpita
duramente e la perdite commerciali furono rilevanti.
L’altro episodio è accaduto all’inizio dell’estate del 1999: in
alcuni paesi europei vennero ritirate dal commercio le bevande
della Coca-Cola, perché alcuni stabilimenti avevano utilizzato
un gas nocivo.
La psicosi si diffuse in tutto il mondo proprio all’inizio del
periodo di massima vendita: l’estate. Anche qui i danni
all’immagine e al fatturato della multinazionale di Atlanta sono
stati notevoli.
La Coca-Cola chiese subito “scusa”, si impegnò ad effettuare
controlli sofisticati sulle tecniche di produzione, ribadendo che
negli stabilimenti degli altri Paesi non c’erano problemi; attivò
in Italia un numero verde per dare informazioni e
rassicurazioni. Tutte queste azioni sono servite ad arginare la
crisi di immagine e commerciale, ma non l’hanno certo
fermata. È stata definita “cocastrophe”
4
.
4
Cfr., Daniele Pitteri, Fabbriche del desiderio. Manuale delle Tecniche e
delle Suggestioni della pubblicità, Luca Sossella editore, Roma, 2002.