9
CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE NORMATIVA IN MATERIA
DI BENI CULTURALI
1.1 IL QUADRO NORMATIVO: DAGLI STATI PREUNITARI AL TESTO UNICO
1.1.1 La visione di Bene Culturale dagli Stati preunitari alla Commissione Nasi; 1.1.2 Le leggi
del periodo fascista: la l. 1 giugno 1939, n. 1089; 1.1.3 D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112; 1.1.4
D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490: il Testo Unico.
1.1.1 La visione del Bene Culturale dagli Stati preunitari alla Commissione Nasi
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Costituzione della Repubblica Italiana, 1948, art. 9
Al fine di analizzare le tematiche della presente tesi in materia di tutela e
valorizzazione museale, l‟art. 9 della Costituzione si pone al tempo stesso come
presupposto giuridico e come aspirazione finale di un valore da considerarsi
intrinseco alla cultura italiana
L‟attenzione per l‟arte e l‟interesse per la conservazione dei beni artistici
rientravano, già dal Rinascimento, tra i principali obiettivi della cultura e della storia
legislativa d‟Italia, e l‟art. 9 arrivò ad elevare a dignità di dovere costituzionale quel
ruolo di promozione e tutela che uno stato moderno deve avere rispetto a tali valori.
Ad una prima lettura, si può scorgere che il principio della conservazione è
ampiamente presente nella ricchissima produzione legislativa italiana: con la
“Prammatica LVII”, ad esempio, emanata il 25 settembre 1755, Re Carlo VII di
Borbone diede ordine di vietare l‟esportazione e la vendita delle antichità e delle
opere artistiche.
10
Per tutto il XVIII secolo, inoltre, vi fu un susseguirsi di leggi e bandi, dal Regno
di Napoli alla Toscana di Maria Luisa di Borbone; ma tra tutti spiccano per coerenza
e modernità le leggi dello Stato Pontificio ed in particolare l‟Editto del 1820 del
Cardinal Camerlengo, Bartolomeo Pacca
1
, emanato sotto il pontificato di Papa Pio
VII. Tale provvedimento, versione finale di un percorso di assestamento preceduto
dall‟Editto del Cardinale Aldobrandini del 1624 (relativo al divieto di esportazione
d‟oggetti provenienti da scavi) e dall‟Editto del Cardinale Spinola del 1707 (sul
principio della conservazione artistica come interesse pubblico), valido per lo Stato
Pontificio e quindi per le province di Bologna, Forlì, Ravenna, Ferrara, Marche,
Umbria, Provincia Romana, si articola in tre principi fondamentali:
- appartenenza allo Stato del sottosuolo archeologico;
- divieto di esportazione dai confini pontifici dei beni culturali. (Nessun bene
culturale, essendo fortemente radicato al territorio d‟appartenenza, poteva
oltrepassare il confine dello Stato Pontificio senza autorizzazione del Cardinale
Camerlengo
2
cioè del Cardinale Pacca).
- Schedatura dei beni esistenti nello Stato.
L‟attività di accertamento della consistenza del patrimonio da tutelare,
attraverso l‟obbligo di comunicazione e di denuncia descrittiva dei singoli oggetti, era
considerata il presupposto fondamentale della tutela stessa e per garantirne
l‟osservanza si nominò una Commissione di Belle Arti dando al Camerlengo
l‟assoluto potere di giurisdizione e vigilanza.
***
All‟indomani dell‟unità d‟Italia il governo, preoccupato di rafforzare il ruolo del
nuovo Stato laico, liberale ed anticlericale, promosse una legislazione che, in materia
di beni culturali, mirava ad assicurare ampi spazi sia alla proprietà pubblica che alla
libera iniziativa privata cercando di trasferire in mani “laiche” gran parte della
proprietà ecclesiastica.
Ma i tre principi fondamentali dell‟Editto del Cardinale Pacca, prima
dell‟unità d‟Italia accettati ed operativi anche negli altri stati della penisola, portarono
1
Vescovo di Frascati e Cardinale Camerlengo di Sacra Romana Chiesa.
2
Il cardinale Camerlengo di Santa Romana Chiesa è un cardinale della Chiesa Cattolica che
ricopre fondamentalmente due incarichi. In primo luogo, quando il pontefice è in viaggio o assente,
amministra i beni temporali. Alla morte del pontefice, come incarico speciale, presiede il periodo
della cosiddetta Sede vacante.
11
il legislatore post-unitario ad una difficile ricerca di equilibri tra “pubblico” e
“privato” e, gradualmente, a scelte sempre più tendenti a tutelare l‟interesse pubblico,
preoccupato di realizzare faticose forme di catalogazione, nonché iniziative di
conservazione e valorizzazione in funzione di una fruizione pubblica dei beni stessi.
3
Il timore che l‟iniziativa individuale venisse offuscata a vantaggio della
pubblica utilità, causò forti resistenze politiche in seno alla classe dirigente d‟allora,
resistenze dovute prevalentemente alle nuove ideologie liberali
4
che nell‟Italia
dell‟Ottocento trovavano forza nell‟art. 29 dello Statuto Albertino: « TUTTE LE
PROPRIETÀ, SENZA ALCUNA ECCEZIONE, SONO INVIOLABILI. TUTTAVIA QUANDO L‟INTERESSE
PUBBLICO LEGALMENTE ACCERTATO, LO ESIGA, SI PUÒ ESSERE TENUTI A CEDERLE IN TUTTO O IN
PARTE, MEDIANTE UNA GIUSTA INDENNITÀ CONFORMEMENTE ALLE LEGGI ».
5
L‟unificazione d‟Italia avvenne impetuosamente tra il 1859 ed il 1861 e, a cose
fatte, sparite o dileguatesi le istituzioni dei precedenti stati, restava lo Stato Pontificio
che, unito al Regno d‟Italia solo nel 1870, rappresentava un « solido argine contro le
nuove tendenze culturali e ancora deteneva la parte più consistente dei beni storici e
artistici ».
6
Con l‟annessione allo Stato italiano dello Stato Pontificio e la conseguente
perdita della sua indipendenza, scoppiò la cosiddetta “Questione romana” che pose
l‟Italia davanti al problema del riconoscimento del Papa come sovrano assoluto di
uno Stato. Un difficilissimo quesito storico, diplomatico, economico e di coscienza
che condizionerà per molti decenni il rapporto tra Stato e Chiesa, tra i liberali di
scuola piemontese ed i cattolici di osservanza vaticana.
Per parte italiana, tale problema venne risolto o comunque “tamponato” con la
l. 13 maggio 1871, n. 214, detta “Legge delle Guarentigie”
7
, che mirava a garantire
3
Cf. Azzimanti C., « La tutela dei “beni culturali” nella legislazione italiana dalla stagione liberale
al fascismo », in I beni culturali ecclesiastici nell‟ordinamento canonico e in quello concordatario italiano; Bologna,
Edizioni Devoniane, 2001.
4
Il pensiero politico liberale era imperniato sulla difesa della sfera di autonomia del singolo
dall‟invadenza delle istituzioni o di qualunque gruppo sociale prevaricante. Nel corso dell‟Ottocento
il pensiero liberale si mosse in difesa della libera concorrenza e in contrasto con l‟ingerenza dello
Stato nella gestione della proprietà privata.
5
Conti G., Lo Statuto Albertino commentato, Roma, Libreria politica moderna, 1945.
6
Cf. Azzimanti C., op. cit.
7
Legge con la quale si determinò la condizione giuridica del Pontefice e della Santa Sede a
seguito dell'annessione di Roma e del Lazio al Regno d'Italia. Il Titolo I (art. 1-13), determinando le
“Prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede”, intendeva risolvere la “Questione romana”:
pur essendo stato cancellato lo Stato pontificio, furono conservate al Papa le “prerogative personali
dei sovrani”. La Santa Sede però non accettò mai la legge delle Guarentigie, perché emanata
12
l‟indipendenza del Pontefice e il libero esercizio delle sue funzioni di capo della
Chiesa cattolica. Inoltre essa venne riconosciuta, di fronte all‟ordinamento dello Stato
italiano, come una “istituzione a carattere di pubblicità”
8
. A tale proposito, la legge
prevedeva il “godimento” ma non la “proprietà” dei palazzi apostolici del Vaticano e
del Laterano e di tutti gli edifici alla Chiesa attinenti. I beni presenti al loro interno,
pur essendo esenti da tasse, erano, per lo Stato italiano, da considerarsi inalienabili.
L‟unificazione politica e legislativa dell‟Italia aveva comportato che il
Parlamento del nuovo Regno iniziasse una lenta e graduale “laicizzazione” della
società, mirando a contenere egoismi e privilegi sia privati che pubblici. Ne furono
esempi l‟abolizione dell‟istituto dei fidecommissari e l‟allargamento a tutto il territorio
dello Stato della validità di una legge del Regno di Sardegna (l. 5 giugno 1850, n.
1037) che comportava il divieto assoluto e generale per le istituzioni ecclesiastiche di
acquistare beni senza previa autorizzazione dell‟autorità civile.
Il Codice Civile del 1865 considerava, infatti, gli enti ecclesiastici a parità degli
enti pubblici e l‟art. 2 stabiliva che: « I COMUNI, LE PROVINCE, GLI ISTITUTI PUBBLICI CIVILI O
ECCLESIASTICI E, IN GENERALE, TUTTI I CORPI MORALI LEGALMENTE RICONOSCIUTI, SONO
CONSIDERATI COME PERSONE E GODONO DEI DIRITTI CIVILI SECONDO LE LEGGI E GLI USI
OSSERVATI COME DIRITTO PUBBLICO »
9
.
Con tali articoli, quindi, il Codice Civile pose i patrimoni delle grandi famiglie
aristocratiche e i beni degli enti ecclesiastici tutti sotto la tutela e soprattutto sotto la
potestà dello Stato italiano.
Così, nella legge sull‟espropriazione per causa di pubblica utilità (l. 25 giugno
1865, n. 2359, allegato F), già presente nello Statuto Albertino, si riconobbe allo Stato
il diritto, in capo all‟amministrazione, di disporre l‟espropriazione di quei monumenti
andati in rovina per incuria del proprietario.
10
unilateralmente dallo Stato italiano e i rapporti fra lo Stato italiano e la Santa Sede rimasero
interrotti fino ai Patti Lateranensi (11 febbraio 1929), che diedero una nuova ristrutturazione a tutta
la spinosa materia.
8
Cf. Azzimanti C., op. cit.
9
Vedi r.d. 25 giugno 1865, n. 2358, di approvazione del testo del Codice civile, in Del Giudice
V., Codice delle leggi ecclesiastiche, Milano, Giuffrè, 1952, p. 158.
10
Cf. Azzimanti C., op. cit.
13
Si deve aspettare il 1872 ed il Ministro della Pubblica Istruzione Cesare Correnti
per scorgere un tentativo di convogliare le diverse legislazioni entro un quadro
organico comune.
Attraverso varie e molteplici vicissitudini, la prima legge di tutela del patrimonio
artistico dell‟Italia unita - presentata per la prima volta al Parlamento nel 1872 - vedrà
la luce solo il 12 giugno 1902.
Il principio ispiratore della regolamentazione proposta dal Ministro Correnti,
presentata nella Relazione del Senato del Regno il 13 maggio 1872, convergeva nel
“decoro e interesse nazionale”, dai quali « […] procede la facoltà dello Stato di
interdir l‟estrazione dal Regno e le vendite delle opere artistiche […] senza il previo
suo beneplacito », considerando che il patrimonio artistico « […] soccorre di
necessità all‟incremento della civiltà per mezzo della pubblica educazione, alla
grandezza, alla vita nazionale ».
11
Furono però necessari trent‟anni di vita parlamentare e di serrati confronti
politici perché l‟originario principio del Ministro Correnti, rielaborato dal Ministro
Nasi, divenisse un regolamento composto da ben 418 articoli: la l. 12 giugno 1902, n.
185.
Con tale provvedimento ci si prefiggeva l‟obiettivo della “conservazione” di
oggetti e monumenti aventi pregio d‟arte o d‟antichità, con esclusione delle opere
d‟arte di autori viventi e degli edifici costruiti da meno di cinquant‟anni (art. 1).
Veniva inoltre ritenuta meritevole di “conservazione” ogni testimonianza
irripetibile dell‟ingegno artistico, poiché si prese coscienza del fatto che la qualità
insita nell‟opera d‟arte era propria del bene, non scaturendo invece da un
provvedimento dell‟autorità. Finalmente una legge fondamentale che riconosceva
all‟autorità dello Stato il compito di farsi garante della tutela del patrimonio artistico e
culturale presente sul territorio nazionale.
Tuttavia, anche questa legge presentò alcune lacune come l‟assenza di una
regolamentazione corretta sulla disciplina delle esportazioni, vera causa della
dispersione del nostro patrimonio artistico. Nella definizione di sommo pregio,
infatti, rientravano tutte quelle opere che, attraverso la catalogazione prevista dalla
stessa legge, erano definite imprestabili.
11
Settis S., Il valore culturale prima di qualsiasi interesse economico, in Il Giornale dell‟Arte, n. 230, 2003, p.
32.
14
Ma non era stato stabilito, però, chi avrebbe dovuto definire i parametri per il
riconoscimento del sommo pregio.
A tali problemi cercò di porre rimedio la l. 20 giugno 1909, n. 364, detta anche
Legge Rosadi-Rava.
Il provvedimento si richiamò ancora una volta alle prime due direttive
dell‟Editto Pacca:
- appartenenza allo Stato del sottosuolo archeologico;
- divieto di esportazione dai confini pontifici dei beni culturali.
Il legislatore, pur ispirandosi all‟editto Pacca, non richiamava nel nuovo
provvedimento il terzo punto -schedatura dei beni esistenti nello Stato-, ritenuta
conflittuale con il “sacro diritto di proprietà privata”, espressione massima della
società borghese a carattere liberale.
Si vennero così a individuare e classificare più ampiamente “le cose” di
interesse storico, archeologico, paleoetnologico o artistico, tutte comunque
sottoposte al vincolo di inalienabilità assoluto e al diritto di prelazione a favore dello
Stato.
Con la l. 20 giugno 1909, n. 364, si risolse così la lacuna della legislazione del
1902
12
, vietando l‟esportazione delle opere d‟arte se questa avesse potuto costituire
danno grave per la storia, l‟archeologia e l‟arte della nazione, prevedendo anche il
diritto d‟acquisto coattivo per l‟amministrazione statale delle “cose” presentate per
l‟esportazione. Vennero vietate le demolizioni, le rimozioni, le modificazioni o i
restauri senza la previa autorizzazione del Ministero. Si definì, infine, una puntuale
regolamentazione degli scavi archeologici, consentendo l‟espropriazione delle cose
mobili e immobili nel caso in cui il proprietario avesse trascurato di provvedere ai
necessari restauri.
Giova notare a questo punto che la legge Rosadi-Rava divenne un punto di
partenza per l‟entrata in vigore di una serie di leggi speciali in materia di tutela dei
beni culturali:
- il d.l. 2 ottobre 1912, n. 2074, istituì le Soprintendenze bibliografiche;
12
Il cui minuzioso regolamento d‟attuazione fu adottato nel 1913.
15
- il r.d. 31 dicembre 1923, n. 1889, ripristinò la schedatura dei beni esistenti nello
Stato attraverso la compilazione del catalogo dei monumenti e delle opere di
interesse storico, artistico e archeologico (tolta con la l. 20 giungo 1909, n. 364);
- il regolamento 26 agosto 1927, n. 1917, a favore della custodia, della conservazione
e della contabilità del materiale artistico, archeologico, bibliografico e scientifico;
- con la l. 7 giugno 1937, n. 1015, si impose una tassa sull‟esportazione di cose
d‟interesse archeologico ed artistico;
- la l. 22 dicembre 1939, n. 2006, perfezionò il d.l. 2 ottobre 1912, n. 2074 e stabilì il
nuovo ordinamento degli archivi del Regno circa l‟obbligo del deposito di copia
dell‟inventario degli archivi ecclesiastici presso l‟archivio di Stato di Roma. Questa
norma è in vigore ancora oggi per richiamo legislativo contenuto nell‟art. 73 del
D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409.
Da parte loro, le autorità ecclesiastiche non si opposero ai controlli ma
ribadirono la volontà di disporre liberamente del loro patrimonio, senza ingerenze
nell‟organizzazione del culto.
Fu per questo che, nel rispetto delle legittime aspettative del rito e per garantire
la fruizione pubblica nei luoghi ecclesiastici, si realizzarono “ore” di visita culturale
nelle chiese e negli edifici sacri, come specifica, all‟art. 28, il r.d. 30 gennaio 1913, n.
363: « NELLE CHIESE, LORO DIPENDENZE ED ALTRI EDIFIZI SACRI LE COSE D‟ARTE E D‟ANTICHITÀ
DOVRANNO ESSERE LIBERAMENTE VISIBILI A TUTTI IN ORE A CIÒ DETERMINATE. SPECIALI NORME E
CAUTELE, D‟ACCORDO FRA I MINISTERI DELL‟ISTRUZIONE, DEGLI INTERNI E DI GRAZIA E GIUSTIZIA
E DEI CULTI, DOVRANNO ADOTTARSI PER LE COSE DI ECCEZIONALE VALORE ESISTENTI IN DETTE
CHIESE ED EDIFIZI, NONCHÉ PER GLI STABILIMENTI SACRI IN CUI PER IL LORO PARTICOLARE
CARATTERE, SIA NECESSARIO DETERMINARE LIMITAZIONI AL GENERALE DIRITTO DI VISITA DEL
PUBBLICO »
13
.
Pur con le loro imperfezioni, le leggi Nasi e Rosadi-Rava hanno il merito di
aver dato valore e potere legislativo al diritto/dovere da parte dello Stato di tutelare il
nostro patrimonio artistico, architettonico e culturale, oltre ad aver fornito gli
strumenti per contrastare il primo vero nemico di tale tutela: l‟egoismo privato.
13
R.d. 30 gennaio 1913, n. 363, art. 28, “Regolamento di esecuzione delle leggi 20 giugno 1909, n.
364, e 23 giugno 1912, n. 688, per le antichità e le belle arti”.
16
1.1.2 Le leggi del periodo fascista: la l. 1 giugno 1939, n. 1089
È necessario trovare nel Regime, anche per la cultura, un sufficiente rapporto di libertà-
organizzazione, che sia consono ad un tempo alle esigenze tecniche, politiche e sociali dello Stato
moderno guidato dalle prementi necessità di una organizzazione collettiva e collettivistica, e alle
esigenze critiche e individuali della cultura.
Giuseppe Bottai
14
I grandi sconvolgimenti sociali e politici che seguirono la prima guerra
mondiale fino al consolidamento del regime fascista non permisero allo Stato ed alla
sua amministrazione di considerare il problema della tutela del patrimonio artistico e
culturale tra quelli più urgenti. Fino alla metà degli anni venti del secolo scorso, le
scarse risorse economiche da investire nella tutela del patrimonio artistico furono
gestite secondo i procedimenti creati dalle precedenti leggi Nasi e Rosadi-Rava.
La scena politica e culturale del primo dopoguerra, egemonizzata dalle ideologie
socialista e fascista, non faceva ben sperare per il futuro. Tuttavia, con la ripresa
dell‟economia e con il consolidamento del regime fascista, possiamo scorgere, nella
firma dei Patti Lateranensi
15
, un primo atto di attenzione verso il patrimonio artistico
da parte del nuovo governo.
I Patti Lateranensi, negoziati tra il Cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri,
per conto della Santa Sede, e dal Cavaliere Benito Mussolini, in qualità di primo
ministro italiano, constavano di due strumenti diplomatici distinti:
- un Trattato, che riconosce l‟indipendenza e la sovranità della Santa Sede e crea lo
Stato della Città del Vaticano
16
;
- un Concordato, che definisce le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa ed il
Governo.
17
14
Tratto dal sito www.biografie.it.
15
Nel 1948 i Patti furono riconosciuti costituzionalmente nell‟articolo 7, con la conseguenza che
lo Stato non può denunciarli unilateralmente come nel caso di qualsiasi altro trattato internazionale,
senza aver prima modificato la Costituzione. Qualsiasi modifica dei Patti deve inoltre avvenire di
mutuo accordo tra lo Stato e la Santa Sede. L‟articolo 7 non ha comunque inteso parificare il
contenuto dei Patti alle norme costituzionali, ma soltanto costituzionalizzare il principio
concordatario.
16
Con il Trattato, il Vaticano viene riconosciuto come vero e proprio Stato indipendente e Roma
viene riconosciuta come capitale d‟Italia.
17
Nella stesura finale del Concordato (nonostante in alcuni lavori preliminari
venisse affrontato il problema della tutela, da parte dello Stato italiano del patrimonio
artistico, archeologico ed architettonico in possesso della Chiesa o di sue
emanazioni), non è presente alcuna specifica in merito alla tutela dei beni. Infatti, lo
stesso avvocato Pacelli, rappresentante della Santa Sede nelle trattative del
Concordato, annota che Mussolini fece “sopprimere” l‟art. 33 della bozza del 15
gennaio 1929. In tale articolo, si rimetteva sotto la legislazione italiana, l‟esercizio
della tutela del patrimonio artistico e archeologico religioso.
18
In nome dell‟interesse superiore della pacificazione tra Stato e Chiesa, Mussolini
rinunciò a far acquisire allo Stato Italiano poteri ulteriori di controllo sul patrimonio
artistico di proprietà degli Istituti ecclesiastici. La Legge delle Guarentigie venne così
abrogata e i Patti Lateranensi, il cui nome venne dato dal palazzo in cui avvenne la
firma degli accordi sottoscritti l‟11 febbraio 1929, stabilirono il mutuo
riconoscimento tra il Regno d‟Italia e lo Stato della Città del Vaticano.
***
L‟Italia fascista cresceva economicamente, maturava culturalmente e si
modernizzava con nuovi codici e nuove leggi.
Maturarono così i tempi per la riforma voluta dal Ministro dell‟Educazione
Nazionale, Giuseppe Bottai, aiutato sul versante legislativo, dal giurista Santi Romano
(noto per essere stato il principale curatore della “teoria istituzionale del diritto”) e sul
versante storico-artistico, dall‟intellettuale e critico d‟arte Giulio Carlo Argan che al
tempo ricopriva la carica di Ispettore della Direzione Generale Antichità e Belle Arti.
Bottai rimane una delle figure emblematiche della politica e della cultura italiana
degli anni Trenta. Collaboratore della rivista “Roma futurista” nel 1920 con Balla,
Galli e Rocca e ministro dell‟Educazione Nazionale dal 1936 al 1943 (Ministero da
cui dipendeva l‟Amministrazione delle Belle Arti), sentì la necessità di coniugare l‟idea
di Arte con il “patrimonio della Nazione”, un‟Arte intesa come un “prodotto politico
17
Il Concordato (ma non il Trattato), dopo lunghe e difficili trattative, venne modificato il 18
febbraio 1984 per rimuovere la clausola riguardante la religione di Stato della Chiesa cattolica in
Italia. L‟Accordo di villa Madama, noto anche come Nuovo Concordato o Concordato bis, fu una
serie di patti volti a “regolare le condizioni della religione e della Chiesa in Italia” e stipulati
dall‟allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi per la Repubblica italiana e il Segretario di Stato
Cardinale Agostino Casaroli per la Santa Sede.
18
Cf. Pacelli F., Diario della Conciliazione, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 1959.
18
e storico”, cioè un insieme di valori a cui poter dare un giusto carattere giuridico e
una corretta regolamentazione legislativa.
I principi fondamentali ai quali Bottai si ispira sono ancora gli stessi dell‟Editto
Pacca (1820) e della successiva legge Rosadi-Rava (1909), ma con un notevole
miglioramento della tecnica normativa per il mutato spirito dei tempi.
Fu una legge fascista perché nata all‟interno del regime ma, quando l‟Italia poté
darsi una nuova Costituzione, i valori di quella legge furono condivisi e i membri
della Costituente la inserirono tra i principi fondamentali della nostra carta
Costituzionale con l‟art. 9.
La riforma Bottai si articolò attraverso due leggi:
- la l. 1 giugno 1939 n. 1089, “Tutela delle cose di interesse artistico o storico”;
- la l. 29 giugno 1939 n. 1497, “Protezione delle bellezze naturali”.
Rispetto alla precedente disciplina furono introdotte, con spirito liberale, alcune
innovazioni: venne ridimensionato il divieto di esportazione; venne aumentato il
margine richiesto per la notifica dei beni privati e per l‟acquisto, da parte dello Stato,
delle cose presentate all‟esportazione; venne aumentato il limite dell‟inalienabilità
delle cose di proprietà dello Stato e di altri Enti pubblici.
La nuova legge, tipicamente corporativa (che attua, cioè, il più alto grado di
conciliazione tra le diverse esigenze particolari nell‟interesse superiore della Nazione),
ebbe ben chiaro lo scopo di maggior centralizzazione e di rafforzamento delle
funzioni del Ministero dell‟Educazione in materia di conservazione, tutela e
valorizzazione del nostro patrimonio storico-artistico.
19
Accadde così che Bottai, definito “spirito illuminato”, diede vita a una delle
prime normative che resero il bene culturale di fruizione pubblica, perché bene
collettivo e non più privilegio dei fortunati possessori.
Nei primi due articoli, la l. 1 giugno 1939, n. 1089, presenta un elenco di
tipologie dei Beni Culturali che, sebbene non esaustivo, prende in considerazione le
cose mobili ed immobili, compresi i carteggi e i manoscritti autografi. Si noti, però,
come nella legge non si parli di “Beni” ma di “cose”, cioè beni materiali in senso lato,
che acquisiscono valore nei confronti della collettività solo nel momento in cui
19
Cf. Masi A., Bottai custode dell‟arte italiana, in Il Tempo, 19 settembre 2005, p. 15.
19
vengono notificati (art. 2), vengono cioè considerati Beni perché riconosciuti,
denunciati e quindi posti sotto tutela
20
.
Una volta che la notifica ha valore legale, compete automaticamente al
Ministero vigilare sui beni attraverso imposizioni, divieti e vincoli perché continuino
a rivestire tale interesse.
Rispetto alla precedente legislazione, i mezzi di controllo e di intervento del
Ministero furono decisamente potenziati (artt. 6 e 7). In particolare, nella l. 1 giugno
1939, n. 1089, possiamo individuare quattro gruppi di norme relative a tale disciplina.
Il primo gruppo contiene le disposizioni in materia di conservazione e tutela,
comprendendo tutti i divieti previsti dal legislatore: demolizione, restauro, rimozione,
esportazione e divieto di utilizzazione incompatibile con la natura del bene (artt. 11-
22).
Il secondo gruppo riguarda il controllo sulla circolazione dei beni, quindi
l‟obbligo di denuncia al Ministero di tutti gli atti relativi da parte di privati o enti
legalmente riconosciuti. Si autorizza l‟alienazione di copie o di originali, previa
autorizzazione ministeriale (artt. 23-42).
Il terzo gruppo regola gli acquisti privilegiati dei beni: per pubblica utilità, le
cose aventi valore culturale diretto, mediato o riflesso, possono essere acquistate
tramite l‟espropriazione. Regola altresì gli indennizzi per indagini archeologiche
attraverso la l. 25 giugno 1865, n. 2359 (art. 45).
Il quarto gruppo disciplina la fruizione dei beni (artt. 51-53) ed elenca le
sanzioni previste in caso di inosservanza o violazione (artt. 58-70).
Particolarità della l. 1 giugno 1939, n. 1089 è la mancanza di disposizioni
specifiche riguardanti i beni ecclesiastici passibili di tutela. È intuibile da questa
omissione che la gestione di tali beni continuava a costituire un problema politico e
diplomatico.
Nella l. 1 giugno 1939, n. 1089, è presente solo un articolo (art. 8) che tocca
direttamente il patrimonio della Chiesa inteso in senso lato.
L‟articolo 8, nel riconoscere la legittimità delle “esigenze di culto”, sembrerebbe
far riferimento esclusivamente alla tutela dell‟aspetto liturgico e culturale relativo a
tali beni; nello specifico, lo Stato avrebbe il diritto di tutelare i beni ecclesiastici in toto,
con delle inequivocabili limitazioni per quella parte che viene destinata al culto.
20
Per garantire il pieno godimento dei beni privati, si pensò di ricorrere all‟espropriazione.
Accadde diversamente per le cose appartenenti allo Stato, in cui non c‟era nessun limite di fruibilità.
20
Questa forma di tutela viene esercitata dallo Stato pretendendo l‟esclusione
della partecipazione dell‟autorità ecclesiastica oltre i limiti posti dal semplice esercizio
del culto.
In conclusione, l‟articolo 8 si inserisce in un sistema di tutela indifferenziata dei
beni culturali di appartenenza ecclesiastica, in cui l. 1 giugno 1939, n. 1089, si pone
nella stessa ottica del Concordato, che non prevede la compartecipazione tra Stato e
Chiesa in materia di tutela del patrimonio storico e artistico ecclesiastico.
21
1.1.3 D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112
Completata la ricostruzione post bellica ed in pieno boom economico ed
edilizio, l‟attenzione dell‟opinione pubblica e, conseguentemente, quella della classe
politica, trovò un sempre crescente interesse nei confronti della tutela del patrimonio
artistico.
Era maturata anche la consapevolezza che il principio della materialità
dell‟opera d‟arte, contenuto nelle leggi del 1939, andava ampliato comprendendo nel
patrimonio culturale da tutelare e valorizzare anche beni culturali non proprio
materiali, senza abbandonare, ma reimpostando ed allargando, il metodo
dell‟elencazione.
L‟istituzione della Commissione Franceschini (posta in essere con la l. 26 aprile
1964, n. 310, “Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose
d'interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio”) fu segno tangibile di
questa presa di coscienza e della necessità che l‟azione pubblica si rivolgesse con
maggiore consapevolezza e con risultati più efficaci ai compiti di protezione del
patrimonio culturale ed ambientale, superando la concezione di puro valore estetico
proposta dalla l. 1 giugno 1939, n. 1089.
Il risultato del lavoro della Commissione fu una “Dichiarazione”
21
con la quale
venne a definirsi, nel comma 1°, come bene culturale ogni testimonianza materiale
avente valore di civiltà: « APPARTENGONO AL PATRIMONIO CULTURALE DELLA NAZIONE TUTTI I
BENI AVENTI RIFERIMENTO ALLA STORIA DELLA CIVILTÀ ». L‟interpretazione del concetto di
bene culturale individuava nei beni archeologici e nelle cose mobili o immobili, parte
della testimonianza storica di epoche e di civiltà indipendentemente dal loro pregio
artistico.
Va detto che la Commissione Franceschini concluse i propri lavori, per come
programmato, in un triennio, un triennio che tra l‟altro conobbe l‟alluvione di Firenze
(4 novembre 1966), con tutto ciò che tale evento significò anche per l‟arte e la cultura
italiana e mondiale.
21
Le proposte della Commissione sono suddivise in 84 “Dichiarazioni”; le prime riguardano i
profili generali della materia (1-21), le altre sono suddivise in quattro grandi categorie: i Beni
Archeologici (22-31), i Beni Artistici e Storici (32-38), i Beni Ambientali (che comprendono anche i
centri storici, 39-49), i Beni Archivistici (50-53), i Beni Librari (54-57). Le ultime dichiarazioni si
occupano di materia amministrativa e finanziaria.
22
In realtà, nessun immediato provvedimento di legge seguì alle indicazioni della
Commissione Franceschini, ma, pressoché unanime, fu l‟adesione ai principi ed alle
definizioni che ne erano il risultato più evidente, trovando - parte delle proposte -
attuazione con l‟istituzione, dieci anni dopo, del Ministero per i Beni Culturali e
Ambientali.
22
Superati gli anni della contestazione, dell‟inflazione e del terrorismo, solo nel
1998 il legislatore recepì la necessità di andare oltre le leggi del 1939 preparando il
campo per una nuova e moderna legge di tutela del patrimonio culturale.
Un primo provvedimento lo si ebbe all‟interno del corposo d.lgs. 31 marzo
1998, n. 112, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”
che, all‟articolo 148 (DEFINIZIONI), comincia finalmente a fare chiarezza sui termini,
una chiarezza necessaria per poter poi passare alle competenze.
« . . . SI INTENDONO PER:
A) “BENI CULTURALI”, QUELLI CHE COMPONGONO IL PATRIMONIO STORICO, ARTISTICO,
MONUMENTALE, DEMOETNOANTROPOLOGICO, ARCHEOLOGICO, ARCHIVISTICO E LIBRARIO E GLI
ALTRI CHE COSTITUISCONO TESTIMONIANZA AVENTE VALORE DI CIVILTÀ COSÌ INDIVIDUATI IN BASE
ALLA LEGGE;
B) “BENI AMBIENTALI”, QUELLI INDIVIDUATI IN BASE ALLA LEGGE QUALE TESTIMONIANZA
SIGNIFICATIVA DELL'AMBIENTE NEI SUOI VALORI NATURALI O CULTURALI;
C) “TUTELA”, OGNI ATTIVITÀ DIRETTA A RICONOSCERE, CONSERVARE E PROTEGGERE I BENI
CULTURALI E AMBIENTALI;
D) “GESTIONE”, OGNI ATTIVITÀ DIRETTA, MEDIANTE L‟ORGANIZZAZIONE DI RISORSE UMANE E
MATERIALI, AD ASSICURARE LA FRUIZIONE DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI, CONCORRENDO AL
PERSEGUIMENTO DELLE FINALITÀ DI TUTELA E DI VALORIZZAZIONE;
E) “VALORIZZAZIONE”, OGNI ATTIVITÀ DIRETTA A MIGLIORARE LE CONDIZIONI DI CONOSCENZA E
CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI E AD INCREMENTARNE LA FRUIZIONE;
F) “ATTIVITÀ CULTURALI”, QUELLE RIVOLTE A FORMARE E DIFFONDERE ESPRESSIONI DELLA
CULTURA E DELL'ARTE;
G) “PROMOZIONE”, OGNI ATTIVITÀ DIRETTA A SUSCITARE E A SOSTENERE LE ATTIVITÀ CULTURALI ».
23
Pur confermando il metodo della puntuale elencazione tradizionalmente,
utilizzato nella legislazione in materia di beni culturali (e, si noti, le categorie cui si fa
riferimento sono quelle contemplate dalla l. 1 giugno 1939, n. 1089
24
), il legislatore
arriva a definire tali concetti per la prima volta in un provvedimento legislativo,
ponendo chiarezza e tracciando un parallelismo tra i risultati delle ricerche in materia
22
Il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, istituito da Giovanni Spadolini con d.l. 14
dicembre 1974, n. 657, convertito in l. 29 gennaio 1975, n. 5, era stato concepito come un Ministero
appositamente costituito per la gestione del patrimonio culturale ed ambientale.
23
Art. 148 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112.
24
Cf. De Santis V., L'evoluzione del concetto di bene culturale, in Dibattito sul Testo Unico, in
www.aedon.mulino.it.
23
di sviluppo economico-scientifico e di evoluzione legislativa.
25
Considerando beni
culturali tutti gli « […] ALTRI BENI CHE COSTITUISCONO TESTIMONIANZA AVENTE VALORE DI
CIVILTÀ COSÌ INDIVIDUATI IN BASE ALLA LEGGE » (art. 148, comma A), viene adottata una
clausola aperta che ricorda la definizione proposta dalla Commissione Franceschini
nel 1964.
Inoltre, vengono apportate due importanti modifiche: innanzitutto, viene
reinterpretato il discusso riferimento alla materialità del bene come “testimonianza
materiale avente valore di civiltà”, e in secondo luogo si afferma che i beni devono
essere “così individuati in base alla legge”.
Questo significa che solo la legge può stabilire se un bene può essere a tutti gli
effetti considerato un bene culturale e significa altresì che l‟ampiezza del concetto di
bene culturale è piuttosto teorica e « non ha alcuna utilità se non quella di costituire a
favore dello Stato una sorta di clausola generale di riserva nell‟individuazione di altri
beni che costituiscano testimonianza avente valore di civiltà »
26
.
A differenza della legge del 1939, quindi, l‟attività della Commissione
Franceschini ha dimostrato l‟esigenza di definire il bene in sé, abbandonando la
concezione delle leggi del 1939 che riconoscevano la tutela solo a quei beni che
avessero avuto particolare pregio e rarità, andandosi a delineare una globalità del
patrimonio culturale nazionale, ma solo per quelle sue manifestazioni particolarmente
significative per valore estetico, storico ed economico.
La definizione del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha messo in atto proprio questo
mutamento semantico (essendo anche stata significativamente influenzata dalla
concezione antropologica di bene culturale che tende ad includervi qualsiasi
manifestazione della cultura umana, annoverando nella categoria anche i beni
demoetnoantropologici).
La distinzione fra la funzione di tutela e la funzione di valorizzazione dei beni,
attuata dalle conclusioni della Commissione Franceschini, ha fatto sì che la semplice
presenza di un bene culturale, imponga allo Stato una politica volta alla
conservazione del bene e alla sua messa a disposizione a vantaggio della collettività
25
Cf. Chiti M.P., La nuova nozione di "beni culturali" nel d.lgs 112/1998: prime note esegetiche, in
www.aedon.mulino.it, n. 1, 1998.
26
Cf. Cofrancesco G., I beni culturali, profili di diritto comparato ed internazionale, Roma, Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato, 1999, p. 17.