2
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni sono sempre più evidenti i segnali di una forte crisi democratica,
scatenata tanto da forze esterne, quanto da gravi problemi interni. Il filo comune è
rappresentato da logiche che permeano, in maniera sempre più profonda, l’azione
politica delle istituzioni e lo stile di vita dei cittadini. Quest’ultime sono tra di loro
fortemente interconnesse da un nuovo tipo di legittimazione offerta dalla
meritocrazia. L’oggetto dell’analisi, che seguirà nelle pagine successive, ha
l’obbiettivo di indagare la storia, l’evoluzione e le implicazioni di tale
legittimazione. La storia del termine “meritocrazia”, si rende necessaria per la
comprensione del peso, che essa esercita, sulle stesse sorti dei principi
democratici. Difatti, a seguito della grande crisi del 2008, la sfida populista ha
limitato la lettura della crisi democratica, nel rischio che i leader populisti
divenissero autoritari. Un unico sguardo che, anche se necessario, vede nei nuovi
nazionalismi, l’unica nuova minaccia alla stabilità delle democrazie occidentali.
Quando ci si interroga sulle cause del populismo, non ci si può esimere dallo
studio della logica meritocratica. Tale logica ha logorato dall’interno pilastri
fondamentali quali rappresentanza, uguaglianza e diritti. Negli anni Cinquanta,
mentre le democrazie iniziavano a sorgere sulle ceneri delle due grandi guerre
mondiali, l’élite dominante si affrettava a cercare un nuovo tipo di legittimazione
compatibile con le grandi spinte globalizzartici. Il termine meritocrazia nasceva
sotto una particolare accezione negativa, strettamente legata al contesto
anglosassone e alle nuove riforme conservatrici. Alla base del legame causale, tra
mito meritocratico e crisi delle fondamenta democratiche, vi è un importante
sfondo storico, cronologicamente tracciato nel primo capitolo. Le grandi politiche
del dopoguerra in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e, in un secondo momento, in
Italia, sono estremamente necessarie per la comprensione dell’ideologia
meritocratica. Le disuguaglianze sociali, i grandi problemi di una popolazione
stremata e alla ricerca della pace, sono inizialmente colmate da un forte intervento
statale. Se, il Welfare State, era frutto positivo dell’impegno dello stato in
politiche assistenzialistiche e previdenziali, le gravose spese lo avrebbero, in
3
seguito, compromesso. La linea politica doveva tener conto dell’orgoglio leso dei
cittadini, importante per il direzionamento del consenso. Francia e Gran Bretagna
avevano vissuto il disgregamento dei corrispettivi imperi coloniali e, gli Stati
Uniti, durante la guerra in Vietnam, affrontava l’alba, di quella che sarà, la sua
prima sconfitta in territorio straniero. Dunque, ciò che favoriva il superamento
delle disuguaglianze sociali, iniziava ad essere percepito, dall’opinione pubblica,
come peso costoso a carico di pochi, o meglio, dei migliori. Questo a discapito
dell’immagine del paese, la quale doveva risultare forte e competitiva. Nel nuovo
contesto globalizzato, occuparsi dei più deboli, avrebbe implicato l’utilizzo di
risorse che potevano essere meglio dislocate a favore della competitività crescente
nel grande mercato finanziario. Ma, per influire sull’agenda politica, il popolo
doveva essere dalla parte dell’élite, in nome di una mobilità sociale falsamente
aperta ad ogni cittadino. Nel primo capitolo, verranno indagate, le controspinte
rappresentate dalle politiche americane di J.K.Kennedy e Lyndon B.Johnson.
Inoltre, negli anni Sessanta e Settanta si assiste alla nascita e sviluppo delle nuove
logiche neoliberali, poi attuate nei grandi anni delle politiche Reaganiane e
Thatcheriane. Lo sguardo storico permette in ultima analisi di comprendere le
motivazioni alla base delle politiche di fine e inizio secolo. L’erosione del Welfare
State è il ponte che conduce al secondo capitolo, laddove, da un’analisi
macroscopica si giunge all’indagine delle logiche prestazionali, performative e
finanziarie, legittimate dalla meritocrazia. L’approccio microscopico pone
l’accento sui vari legami che tale logica è riuscita a stringere, nutrendosi della
crescente sfiducia e distacco dei cittadini verso la sfera politica. Il cittadino è la
prima vittima inconsapevole della nuova subordinazione della politica alle logiche
del neonato capitalismo finanziario. La concorrenza non si limita ai grandi paesi,
ma penetra l’agire quotidiano, a partire dal contesto scolastico primario. È
l’individuo a farsi carico, per la prima volta nella storia, di responsabilità sfuggite
dalle mani della classe politica dirigente. Quest’ultima, è come il cittadino, gettata
in un mercato che necessita performance sempre più perfette, in periodi di tempo
ridotti. L’élite dei migliori merita di essere tale, esprime l’esempio da seguire per
il resto del popolo, a prescindere dalle condizioni sociali di partenza. Dietro la
legittimazione basata sull’intelligenza, si cela la vecchia divisione per classi
4
sociali. Il linguaggio e la comunicazione fungono da mezzo necessario a
propagandare la logica meritocratica. Nei primi anni del XXI° secolo, viene rotta
la gabbia del fordismo, mentre, la deregolamentazione viene dipinta come nuova
libertà. All’opposto, si inizia a celare una, sempre più diffusa, precarietà
nell’ambito lavorativo, esperienze frammentarie che dovrebbero accresce il
capitale umano dell’individuo. Il lavoro si confonde con il tempo libero e la vera
ascesa sociale, verso la ricchezza, è riservata alla vecchia élite ora mascherata. La
meritocrazia invade ogni aspetto della vita del cittadino, indirizza le colpe alla
psiche dei quest’ultimo, utilizza il suo corpo come nuovo mezzo di potere. Inoltre,
riesce a legarsi al cuore della democrazia, la Costituzione. Alla fine del secondo
capitolo, dunque, si ritorna alla riflessione iniziale. Prima di temere derive
autoritarie, lo sguardo deve ricadere nel cuore logorato della democrazia. Dunque,
non bisogna temere di volgere criticamente lo sguardo verso modelli differenti
dalla democrazia stessa. Ad Ovest, modelli non democratici hanno dimostrato
come la logica prestazionale e meritocratica, nemico interno della democrazia, si
lega, con maggiore presa, alla Repubblica di Singapore o alla Repubblica
popolare cinese. Il loro studio permette alla democrazia di comprendere come, in
altri contesti e dinamiche, il nemico interno agisce. Nell’ultimo capitolo,
l’obbiettivo è il superamento dei pregiudizi, a favore di uno sguardo puramente
critico. La necessità di agire tempestivamente potrebbe essere soddisfatta da
questo nuovo approccio. Paradossalmente, modelli opposti alla democrazia,
sarebbero utili ad aprire nuove strade capaci di chiudere le crepe delle colonne
portanti della democrazia occidentale.
5
CAPITOLO 1
POLITICHE MERITOCRAZICHE NOVECENTESCHE
1.1 Nuovi scenari nell’Inghilterra Laburista
Nel 1945 l’Europa viveva la fine di un conflitto mondiale che l’aveva logorata
dall’interno. Sulla Gran Bretagna riversava una gravissima crisi economica e
finanziaria che la costrinse al disimpegno internazionale e alla riorganizzazione
del Commonwealth, per far fronte alla dissoluzione del proprio impero coloniale.
A seguito della vittoria, si tenne la Conferenza di Postdam dove Winston
Churchill, che aveva guidato il paese durante la guerra, ricevette l’inaspettata
notizia della vittoria, a largo margine, dei laburisti. Dopo anni di governo
conservatore, i laburisti erano riusciti, sotto la guida di Clement Attlee, a
rispondere al bisogno di rinnovamento dell’amministrazione pubblica e alla
necessità di costituire uno stato sociale. Era l’opinione pubblica ad essere
sensibile alle nuove questioni di politica interna. A redigere il manifesto della
vittoria «Let Us Face the Future» sarà il sociologo Michael Young
1
. Il rapporto tra
Young e il partito laburista era in realtà molto teso, tanto da portarlo a lasciare
nello stesso anno il suo ruolo di capo del dipartimento di ricerca del partito.
Sentiva di essere molto lontano dalla nuova politica laburista, accusava ancora il
nascosto appoggio del partito all’approvazione dell’Education Act del 1944, ed
ora vedeva in Attlee il rischio di un nuovo socialismo accentratore. Lo dimostra
nell’ opuscolo «Small Man, Big World» dove scrive: «che il più grande paradosso
della società moderna è che mentre la democrazia sembra richiedere piccolezza,
l'efficienza, promossa dalla crescita della scienza, spesso richiede grandezza»
2
,
dimostrando di essere ben lontano dalla democrazia industriale promossa da
Attlee e più vicino invece alla costituzione di una comunità socialista
decentralizzata. Le critiche di Young al governo laburista però sono rivolte al già
citato Education Act, il quale rischia per il sociologo di promuovere un’idea
1
Michael Young (1915-2002), sociologo, attivista e politico britannico.
2
Discover Society; http://archive.discoversociety,org/2018/10/02the-birth-of-meritocracy-michael-
young-the-rise-of-meritocracy-and -post-war-british-politics/, consultato il 12 aprile 2023