Lobbying indiretto: Greenpeace vs. Big Brands
1. Il lobbying: l’altra faccia delle relazioni pubbliche
Il presente capitolo, di carattere teorico, si propone di trattare dettagliatamente
l’attività di lobbying, oggi considerata parte delle pratiche specialistiche delle
relazioni pubbliche.
Partendo dall’inquadramento storico di queste ultime, si andranno ad analizzare
le origini del lobbismo e la missione in comune con la suddetta professione. In un
secondo momento si delineeranno gli aspetti caratteristici dell’attività del
lobbista: i fattori contestuali utili ad identificare un’azione di lobbying, gli attori
in gioco,le fasi fondamentali del processo lobbistico, le tecniche adottate e gli
strumenti esclusivi, e non,a disposizione degli addetti alla professione. Infine
l’attenzione si focalizzerà sull’utilizzo di una precisa strategia, il cosiddetto
lobbying indiretto. Si analizzeranno le diverse forme di campagne indirette, si
esamineranno le variabili chiave del successo di queste modalità e in conclusione
si indicherà come riconoscere e non confondere queste ultime dalle azioni di
pressing.
Questa sezione si articola in tre paragrafi, il primo si occupa di sviluppare
un’analisi storica e concettuale del lobbying, il secondo descrive dettagliatamente
la professione e il terzo ne studia una tecnica specialistica, il lobbying indiretto.
1.1. Introduzione alle relazioni pubbliche e al lobbying
In questo paragrafo, suddiviso in tre sezioni, si procederà con un iniziale
excursus storico-sociale delle relazioni pubbliche, a seguire si tratteranno le
origini dell’attività di lobbying, si porranno le linee guida per poter meglio
inquadrare la natura e le ragioni del lobbismo e ciò che lo accomuna con le
relazioni pubbliche, si introdurranno il concetto di Public affairs e quello di
lobbying e si chiarirà il motivo del loro utilizzo.
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1.1.1. Inquadramento storico e definizione delle relazioni pubbliche
«Public Relations as “the management of communication between an
organization and its publics” »
(Grunig, Hunt, 1984:6)
Attualmente i professionisti di relazioni pubbliche collaborano con le
organizzazioni nella realizzazione della strategia d’impresa. Attraverso la
gestione manageriale di attività di ascolto, relazionali e comunicazionali, costoro
le aiutano a raggiungere gli obiettivi prefissati e a migliorare la loro reputazione,
mantenendo sempre un elevato grado di coerenza e sinergia tra le iniziative di
comunicazione e le azioni gestionali e produttive (Invernizzi, Romenti, 2012).
La figura del relatore pubblico ha acquisito con il passare del tempo un ruolo
fondamentale per le imprese che vogliono avere successo, i cittadini, i
consumatori, vogliono essere costantemente informati su ciò che accade nel
mondo e nel mercato che li circonda, il relatore pubblico semplifica il rapporto
tra l’impresa e il suo pubblico, aggiornandolo costantemente e in modo
trasparente.
Purtroppo però, questa attività non sempre ha avuto un fine tanto onesto e una
modalità così trasparente e simmetrica di operare; le prime agenzie di relazioni
pubbliche si occupavano di promozione e di propaganda e la trasparenza e la
sincerità, caratteristiche oggi fondamentali della professione, non erano
contemplate (Invernizzi, Romenti, 2012).
Solo nel 1900, negli Stati Uniti, si costituisce per la prima volta, quella che può
essere ragionevolmente considerata la prima agenzia di relazioni pubbliche, il
Publicity Bureau di Boston, il cui fine era gestire i rapporti con la stampa per un
prestigioso cliente: l’università di Harvard (Mazzoni, 2010).
Da questo momento, si inizia a parlare di relazioni pubbliche professionali.
La nascita di un simile ente è legata all’affermarsi di una nuova concezione del
rapporto tra corporate e pubblico; le organizzazioni e le imprese, abbandonano il
fine della propaganda e puntano alla diffusione di informazioni veritiere e
complete: è proprio in questi anni, infatti, che si diffonde il modello di “Public
information” riassunto da Goldman con il motto “the public be informed” che si
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sostituisce al precedente principio “the public be fooled”, sostenuto dalla famosa
teoria di Barnum del “basta che se ne parli”.
Il primo a dimostrare come questo nuovo modo di rapportarsi all’opinione
pubblica potesse avere effetti positivi per l’organizzazione fu Ivy L. Lee, noto
pubblicista e pubblicitario statunitense, oggi considerato uno dei padri fondatori
delle relazioni pubbliche moderne.
Costui riuscì a dimostrare come l’informazione veritiera e la trasparenza
potevano permettere all’organizzazione di conquistare la fiducia del pubblico e di
migliorare la propria reputazione; al contrario, se la diffusione di notizie vere
rischiava di danneggiare l’impresa ci si trovava chiaramente di fronte a un
problema che richiedeva di apportare dei cambiamenti nel modo di comunicare,
o caso grave, nel modo di operare (Invernizzi, Romenti, 2012).
Sulla base di queste argomentazioni si diffuse un nuovo modo di pensare, che
spinse il famoso Theodore N. Vail, di American Telephone and Telegraph
Company, a dichiarare: «In tutti i periodi, in tutti i luoghi, l’opinione pubblica ha
avuto il controllo dell’ultima parola. […] Essa non è solo il right ma l’obligation
riconosciuto a tutti gli individui o aggregazioni di individui (che costituiscono il
pubblico) di controllare che tutti siano correttamente informati» (Mazzoni, 2010).
Questa citazione evidenzia chiaramente l’importanza acquisita dal pubblico e dal
suo pensiero, si inizia a comprendere l’importanza dei cittadini come
consumatori, portatori di interessi e di diritti da rispettare e le organizzazioni
capiscono che per avere successo devono agire correttamente e rendere visibili le
loro azioni.
Croce e delizia dei comunicatori e dei relatori pubblici, l’opinione pubblica, la
cui importanza aumenta di anno in anno, risulta si dal ‘900 una forza difficile da
gestire.
Sono anni di rivolta in cui il pubblico rivendica il diritto di partecipazione e di
informazione, chiede a gran voce di essere ascoltato e in cui l’obiettivo di
politici, imprenditori, personalità di spicco, diventa quello di ottenere il sostegno
della comunità.
Il favore di quest’ultima però, va conquistato giorno per giorno, l’opinione
pubblica non è eterna ed omogenea, è frutto di pensieri di gruppi diversi e l’unico
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modo di conquistare il loro appoggio è ottenere e mantenere una buona
reputazione.
Le organizzazioni, i politici, le imprese, lo sanno bene e mirano a costruire
relazioni dirette con gli stakeholder e i media, basate su onestà, trasparenza e
lealtà, così da riuscire a conquistare e mantenere nel tempo, la fiducia e il
sostegno della maggioranza del popolo.
Questo sviluppo teorico-concettuale, non sarebbe stato possibile senza i
cambiamenti avvenuti nella prima metà del Novecento negli Stati Uniti, tra i più
importanti vediamo l’affermarsi delle grandi imprese, il processo di
urbanizzazione, l’ampliarsi del pubblico interessato alle logiche di consumo del
tempo libero e la costituzione di un quadro politico-istituzionale di stampo
decisamente presidenzialista, se non plebiscitario;
variazioni che hanno portato all’affermarsi della democrazia degli affari, intesa
come l’insieme degli interventi che le corporations hanno operato per creare
un’opinione pubblica favorevole al mondo imprenditoriale.
Iniziano a vedersi i primi sforzi da parte delle grandi imprese di far sentire la
propria voce riguardo a questioni non attinenti direttamente alla promozione e
alla vendita di prodotti o servizi, l’interesse si muove verso tematiche di carattere
pubblico, a cui i cittadini sono particolarmente attenti.
Trasparenza, responsabilità e servizio si sostituiscono alla segretezza e alla sola
sfrontata ricerca di profitto tipica delle imprese dell’800.
Cambia, insieme al modo di agire di impresa, la relazione tra sfera pubblica e
sfera privata.
Lo stesso termine “opinione pubblica”, che designava un aggregato di individui
condividente un medesimo, unico, pensiero, viene presto abbandonato a causa
dell’aumento notevole dei pubblici e della loro specificità, degli interessi
frammentati, delle deliberazioni non sempre razionali e a seguire entrò in crisi
il concetto di pubblico stesso.
La sfera pubblica si popolò di nuovi soggetti, accanto alle relazioni primarie si
affermarono quelle mediatiche e di conseguenza si costituirono inedite posizioni
professionali che si occupavano di informazione e comunicazione (Mazzoni,
2010).
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La comunicazione attraverso i media ha giocato un ruolo fondamentale per lo
sviluppo delle imprese e della cultura pubblica: attraverso i diversi mezzi di
comunicazione, con immagini suggestive e dichiarazioni in prima persona, le
imprese riuscivano a trasmettere in modo più convincente i loro messaggi e a
conquistare alla maggioranza dell’opinione.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’esperienza e le competenze, di
quelli che oggi vengono chiamati relatori pubblici, il cui compito era quello di
costruire e mantenere relazioni con il pubblico e i media così da dare visibilità
alle organizzazioni, figure che hanno acquisito professionalità con il passare
degli anni, muovendo il rapporto tra organizzazioni e pubblico verso concezioni
più etiche.
Pertanto come delineato nell’elaborazione di J. E. Grunig del 1984 (vedi tabella
1.1), particolarmente valida per interpretare e schematizzare la realtà attuale,
l’attività professionale di relazioni pubbliche esordisce nei primi del ‘900 in
USA, con il modello di Public information che si sostituisce al Press agentry-
Publicity, che identificava l’attività di comunicazione con la pratica di
promozione e propaganda.
Tabella 1.1
I quattro modelli delle RP
Press agentry-
Publicity
Public
information
Two-way
Asymmetric
Two-way
symmetric
Obiettivo Propaganda Informazione Persuasione
scientifica
Comprensione
reciproca
Natura della
comunicazio
ne
A una via: la
verità non è
essenziale
A una via: la
verità è importante
A due vie: effetti
non equilibrati
A due vie: effetti
equilibrati
Modello della
comunicazio
ne
Emittente
Ricevente
Emittente
Ricevente
Emittente
Ricevente
Feedback
Gruppo - Gruppo
Natura della
ricerca
Poca: “conta
delle teste”
Poca : valutazione
dell’efficacia
Formativa:
valutazione degli
atteggiamenti
Formativa:
valutazione delle
competenze
Fonte (Invernizzi, Romenti, 2012)
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Grazie alla trasparenza e all’onestà delle informazioni, con questo modello si istituisce
un nuovo modo di rapportarsi all’opinione pubblica poiché, seppur la natura della
comunicazione rimane a una via, ovvero da emittente a ricevente, il fine ultimo diventa
quello di fornire il massimo delle informazioni nel rispetto dei nuovi principi di
chiarezza e sincerità.
In seguito, intorno agli anni Venti, nuovi cambiamenti toccano la professione,
l’obiettivo della persuasione scientifica finalizzata a far accettare il punto di vista
dell’organizzazione sostituisce le concezioni precedenti.
Emerge così il terzo modello delineato da Grunig, il Two-way asymmetric, che vede
svariate trasformazioni nel flusso di comunicazione che diventa a due vie, presentando
però, ancora effetti sbilanciati tra organizzazione e pubblico a favore della prima.
Solo intorno agli anni ’50, con il modello Two-way symmetric, emittente e ricevente,
ovvero organizzazione e pubblico, diventano “soggetti in relazione”, la comunicazione a
due vie non è più un monologo ma un dialogo che permette a entrambi i soggetti di
trarre vantaggio reciproco da questo contatto.
L’evoluzione delle RP secondo la teoria di Grunig, non può ancora dirsi conclusa.
Conseguentemente alle critiche ricevute da questi ultimi due modelli, troppo idealistici
e poco consoni a rappresentare la realtà, Grunig mise a punto un nuovo concetto di
simmetria denominato “mixed-motive communication” (vedi FIG 1.1) basato sulla
teoria dei giochi che permette di descrivere al meglio la situazione attuale.
Questa teoria aiuta a capire che una strategia di relazioni pubbliche per essere efficace
deve bilanciare gli interessi dell’organizzazione e dei pubblici coinvolti.
Figura1.1
Mixed-Motive Communication
Fonte (Invernizzi, Romenti, 2012)
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