3
0. TRA(N)SPARENZE
La trasparenza e l’opacità, aspetti logicamente contradditori ma realmente coesistenti
e consistenti nella natura complicata e ripiegata del segno, si innestano come specchi
nella relazione di un soggetto con un oggetto attraverso dei filtri – i segni stessi – con i
quali elaborare le nostre esperienze nel mondo.
Si tratta del problema della rappresentazione e dunque del segno
2
, che si
autogiustifica in funzione della tesi sul mondo
3
e che contrappone ontologicamente un
mondo vero ad un mondo apparente, facendoli comunicare secondo gli assi cartesiani di
una methexis
4
. Gli ideali, nel senso di una loro metafisica trasparenza, sono nel mondo
delle idee trasparenti solo a se stessi e perciò desiderabili in quanto irraggiungibili e alla
meglio arrangiabili secondo istanze segniche rappresentative, nella fattispecie linguistiche.
Così, l’idealizzazione della lucidità metafisica del legame soggetto-oggetto nella parte –
garantita da Dio o dal tribunale del dubbio metodico – ricrea nel tutto l’illusione della
trasparenza del legame sociale, che alla morte di Dio si maschera, secolarizzandosi nella
fiducia dell’uomo ad afferrare la realtà ed il proprio destino.
La presenza dell’oggetto-concetto, dunque, nel senso di una sua manifestazione qui-
e-ora-per-me, sottintende una concezione del tempo obiettiva modellata sulla pratica
scientifica della Gestall, cioè sul giudizio determinante che nella propria legge include la
propria applicabilità
5
. E’ infatti il tempo apollineo a chiamare in causa la legge come il
forziere nel quale preservare le coscienze dal dubbio e da se stesse, oggettivandone la
regolarità dei fenomeni interni e illudendole sulla propria trasparenza. La legge dell’Uno si
ripercuote sui molti, prendendoli in ostaggio all’interno di comunità etiche
6
nelle quali il
valore trascendente è oggettivabile e rivedibile in base al consenso della comunità stessa
sui fondamenti che la rendono tale: la legge è applicabile proprio perché factum rationis
del cogito o dell’ Io penso
7
, ed è fissabile in un universo di frasi omogeneo alla comunità
cui appartiene
8
. In essa, il tempo è una successione di istanti edipici per i quali esistere è
un continuo essere-stato determinato e quantificabile, ed è il metronomo del giudizio
2
Il segno è il Rapresentamen di un Oggetto che rinvia ad un Interpretante in maniera circolare. Sulla
definizione di segno in C. S. Pierce cfr. C. Sini, Distanza un segno, Cuem, Milano 2006, p. 4 e sgg.
3
Su E. Husserl cfr. A. Marini, Dispensa n. 0, Università degli studi di Milano, Milano 1982, p. 9.
4
Mi riferisco al platonico mondo delle idee e al suo modo di rapportarsi secondo un legame partecipativo al
mondo reale. Su questi temi cfr. F. Fronterotta, Introduzione, in Platone, Parmenide, Laterza, Torino 1998, p.
XXXI.
5
Cfr. J.-F. Lyotard, Peregrinazioni. Legge, forma, evento, Il Mulino, Bologna 1992, p. 27.
6
Su E. Lévinas cfr. J.-F. Lyotard, Il dissidio, Feltrinelli, Milano 1985, p. 143.
7
Ricordiamoci infatti che in modo del tutto atipico Kant deduce la libertà dalla legge (cfr. J.-F. Lyotard, Il
dissidio, op. cit., p. 153 e sgg).
8
Cfr. J.-F. Lyotard, Il dissidio, op. cit., p. 101.
4
determinante kantiano per il quale “dato un concetto (è possibile) trovare i casi che
possono essere sussunti e cominciare così a verificare la validità del concetto”
9
.
In questi termini l’immateriale è l’universalismo socratico-illuminista, oggi rinnovato
dalle spinte globalizzanti e da un cosmopolitismo piegato ai flussi finanziari e alla velocità
di esecuzione, proprio nell'immaterialità dello scambio e nella virtualità dello spazio
deformato dalle accelerazioni del sistema. La deterritorializzazione del politico e la
depoliticizzazione del territorio
10
, di fronte alla smaterializzazione della sovranità locale in
un panoptismo
11
ubiquo e automizzato, alimentano ancora l’ideale di una
rappresentazione fronteggiante (Vor-stellung) in termini di Begriff, cioè di un afferramento
del concetto senza scarto.
Ma la rappresentazione, si svolge nel tempo e il segno è in divenire come
l’interpretante che lo genera o riceve e come l’oggetto a cui rimanda; in epoca
postmoderna, inoltre, il tempo si sfaccetta in cristalli
12
vissuti da soggettività divenienti
secondo una coalescenza fatta di protenzioni e ritenzioni: l’unica costante è la noesi come
atto intenzionale rivolto all’oggetto, e a variare è il noema, che rende l’oggetto centro
d’infinite relazioni e mondo di infiniti soggetti.
Il tempo è la frontiera dei nostri orizzonti, soprattutto per l’uomo contemporaneo che li
affronta sconcertato dal sublime orrore degli estremi incompossibili che lo circondano
come fantasmagorie inesprimibili, come margini irraggiungibili della propria intenzionalità
fungente. Mi riferisco alla prospettiva dell’immortalità in una lettura metafisica del progetto
genoma come a quella, contraria e nichilista, della distruzione totale. Entrambe
condividono qualcosa con il sublime, con l’a-concettuale, con l’eccedenza rispetto al
sensibile naturato e al suo esprimibile, e con le idee sensibili quali potenzialità
13
incrostate
nella terra del contemporaneo ma inconcepibili se non a partire da una loro
manifestazione sensibile: idee allo stato nascente, e dunque a-idee, a-futuri materiali
14
,
germi di idee straripanti.
Per esse, infatti, non esiste ancora una regola di sintesi nel soggetto umano né la
possibilità di renderne compiutamente il senso attraverso frasi compiute: in esse si
9
“L’intelletto è dunque qui in possesso di una regola di esplicazione e si adopera ad isolare i referenti ai
quali essa si applica. Questa maniera di esplorare i pensieri che è la scienza ha prodotto effetti straordinari”
(J.-F. Lyotard, Peregrinazioni. Legge, forma, evento, op. cit., p. 44).
10
J. Derrida, La tentazione di Siracusa, “Oros”, dicembre 2001, cit. da M. Carbone, L’evento dell’ 11
settembre 2001, Mimesis, Milano 2005, p. 9.
11
Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976.
12
Cfr. G. Deleuze, L’Immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1989, p. 82 e sgg.
13
Sia il potere retrogrado del vero sia il fatto che bisogna creare il mondo per averne esperienza, sono
espressioni pensabili secondo l’intenzionalità fungente husserliana, come il risultato di una sintesi passiva ad
opera dell’oggetto sul soggetto, cioè come una reazione fisica o resistenza newtoniana all’azione.
14
Mi riferisco all’ a-priori materiale di Husserl.
5
manifesta il dissidio come “lo stato instabile e l’istante del linguaggio in cui qualcosa che
deve poter essere messo in frasi non può ancora esserlo” perché “ciò che va messo in
frasi eccede ciò che essi (gli idiomi) possono mettere in frasi al momento”
15
. La realtà non
è data ma è uno stato del referente
16
: nel caso degli orizzonti nominati è proprio il
referente che viene a mancare, nell’assenza immateriale di un protocollo atto ad
accertarne il senso.
Questi scenari sono così inscrivibili in una figuralità sublime che sfugge alla legge e
mostra, nei sotterranei della comunità etica, una comunità estetica aracnoide
17
, una nube
di comunità che si caratterizza per il ritrarsi del concetto nel giudizio di gusto nel quale si
scioglie il giudizio etico così come la soggettività che se lo è imposto
18
. E’ in questa
consapevolezza che emerge la tra(n)sparenza
19
come trapasso senza soluzione di
continuità e senza concetto da una comunità all’altra, come un flusso nel quale “non ci
sono procedure definite da un protocollo unanimemente accettato e riattivabili a volontà
per stabilire la realtà dell’oggetto”
20
.
L’immortalità umana e la distruzione totale, allora, immateriali nella loro
tra(n)sparenza, si escludono reciprocamente escludendo il cosmo per come l’uomo se lo è
rappresentato, e funzionano come trasmettitori nella coscienza senza situarsi veramente
in essa, al pari di Ereignis. Come tali, non sono inscrivibili nel panorama del presente
metafisico perché scavalcano le barriere del Begriff mostrandosi inappropriabili in termini
concettuali: entrambi gli orizzonti, infatti, aprono un ventaglio di mondi (im)possibili
stornante come una opera d’arte del desiderio, come degli spaesanti e spossessanti
eventi-avventi
21
. In questi ultimi, al contrario dell’ipotesi metafisica, il possibile non si
esaurisce nel suo passaggio all’atto e si rivela riserva inesauribile di semioticità figurale
22
.
Lyotard ne parla in relazione al problema dei buchi neri del reale e del rapporto tra
15
J.-F. Lyotard, Il dissidio, op. cit. p. 30 e p. 31.
16
Cfr. ibidem, p. 20.
17
Il termine è coniato in senso filosofico da Deleuze e viene utilizzato da Lyotard in seguito a una promessa
fattagli in J.-F. Lyotard, Peregrinazioni. Legge, forma, evento, op. cit., p. 66.
18
Lyotard paragona la condizione estetica alla condizione sensibile, nel senso di una loro comune
strutturazione a partire dallo scarto innominabile tra l’(a)concettualità di alcune idee e la loro
(ir)rappresentabilità.
19
Ad essa si rifanno alcune delle installazioni di Dan Graham, caratterizzate da vetrate in parte riflettenti e in
parte trasparenti.
20
J.-F. Lyotard, Il dissidio, op. cit. p. 21.
21
Come scrive Cézanne: “Vengo davanti al mio motivo. Mi perdo in esso…siamo in un caos iridato” (H.
Maldiney, Cezanne et Sainte Victoire. Peinture et verité, cit. da M. Carbone, Il sensibile e l’eccedente,
Guerini, Milano 1996, p. 56 e sgg). E’ la sublime coesistenza e tensione incompossibile degli orizzonti
nominati nella coscienza dell’uomo a ricordare l’imbarazzo del pensiero di fronte al paradosso dei futuri
contingenti, nei quali “l’impossibile procede dal possibile […] oppure il passato non è necessariamente vero”
(G. Deleuze, L’Immagine-tempo, op. cit., p. 147).
22
L’espressione è volutamente ossimorica, visto che l’ossimoro è la figura retorica alla quale è riconducibile
buona parte della filosofia lyotardiana.
6
discours e figure, che è un aspetto dell’eccedenza del sensibile rispetto a se stesso a cui
le prospettive di cui abbiamo parlato rinviano come infiltrazioni nella legge e nel soggetto
in tensione con essa. Negli eventi il soggetto si dissolve guadagnando una dimensione
prepersonale perduta nel mondo del concetto, e scopre degli orizzonti figurali eccedenti
come “intuizioni senza concetto”
23
che da “oggetti di spiegazione diventano fonte di
senso”
24
, spezzando la routine del circolo ermeneutico in differenziali frastici
25
asintotici e
poliversi.
E’ forse la trasparenza a se stessi degli idealismi che ha condotto l’uomo a inventarsi
segni-filtri diafani e immateriali e a divinizzarli dopo la morte di Dio, spostando l’attenzione
del desiderio: l’immateriale è allora la tendenza asintotica del segno, il suo differenziale,
soprattutto nei segni tecnologici nei quali la sostanza si perde a vantaggio della
generazione del senso. Essi, cioè, creano le realtà a cui si riferiscono e moltiplicano i
referenti e i livelli interpretativi: le immagini digitali, ad esempio, truccate da simulacri del
reale, sono sequenze numeriche, sia in entrata che in uscita convertite nel sistema
rappresentativo nelle quali la sostanza si dissolve prima e dopo o né prima né dopo
26
.
E’ per la nostra attitudine metafisica che fingiamo trasparenze anche dove non ce ne
sono, ad esempio nelle modellizzazioni scientifiche attraverso le quali ci estraniamo dal
mondo vero in cambio di un mondo apparente – quello dei dati, delle statistiche, della
biopolitica
27
. Il modello della scienza è quello dei retini sovrapponibili a maglie costanti
dentro le quali osservare il mondo inventandone una costanza e una continuità che non gli
appartengono, facendosene un’immagine di esso ma rinunciando così ad abitarlo
28
. Che il
sole sorga domani è una supposizione basata sulla fiducia del principio di induzione, ma i
limiti induttivi
29
sono imprevedibili come le paralogie lyotardiane nel senso di Ereignis, che
sono la sintomatologia acuta del suo ribaltamento in quanto mossa imprevedibile
all’interno di un gioco con delle regole di cui è la violenta smentita senza anticipo.
Forse la trasparenza si combatte con la tra(n)sparenza: la trasparenza dell’in-sé si
23
Cfr. I. Kant, Critica del Giudizio, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 139.
24
Cfr. J. Baudrillard, Power Inferno, Requiem per le Twin Towers. Ipotesi sul terrorismo. Violenza del
globale, Raffaello Cortina, Milano 2003.
25
Il vocabolo si trova in J.-F. Lyotard, Peregrinazioni. Legge, forma, evento, op. cit., p. 53.
26
Un po’ come la linea del quadrato di Pierce, metà rosso e metà blu – di che colore è la linea?. Sia rossa
che blu, cioè né rossa né blu (cfr. R. Fabbrichesi-Leo, Introduzione a Pierce, Laterza, Roma-Bari 1993).
27
Cfr. M. Foucault, Nascita della biopolitica, Corso al Collége de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano
1983.
28
Cfr. M. Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito, Se, Milano 1989, p. 13.
29
L’induzione del tacchino di Russel, per la quale riceve da mangiare ogni giorno alle nove, viene smentita
nel suo opposto quando è proprio lui ad essere mangiato il giorno di Natale. Su B. Russel cfr. F. Cioffi, F.
Gallo, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette, Il testo filosofico vol.3/1 e 3/2, B. Mondadori, Milano 1993, pp. 42,
613, 694, 705, 707-8, 721, 871.
7
combatte con la tra(n)sparenza dell’opaco, con la presa d’atto del velo del vero
30
nel
nostro rapporto con il mondo e con il nostro corpo: lui appartiene a me ed io a lui secondo
una tra(n)sparenza a rimando che proprio nella relazione si fa opaca perché
plurinterpretabile in quanto segnica e circolare.
Il soggetto non è trasparente a se stesso: l’autorapportarsi del soggetto, che è quello
di un segno con se stesso
31
, ricorda l’immagine degli specchi prospicienti merleau-pontiani
dai quali si sviluppano due serie indefinite di immagini a matriosca che non appartengono
più a se stesse e neanche alle superfici che le hanno generate
32
, “di modo che il vedente,
essendo preso in ciò che vede, vede ancora se stesso”
33
in una struttura a rimando che è
quella di una semiosi infinita. Immaterialità e trasparenza invocano l’opaco proprio perché
l’atto di vedere-attraverso invoca l’immagine di una superficie di passaggio attraverso cui
tra(n)sparire, cioè apparire e scomparire senza soluzione di continuità, il che ha
dell’immateriale.
Il panoptismo postmoderno piega la trasparenza metafisica dei segni e della tecnica
al bisogno di omeostasia del sistema, per esempio con le camere a circuito chiuso come
tentativo di incarnare lo sguardo panoramico di un individuo kosmotheoros, cioè di Dio: le
camere di sorveglianza rompono la tra(n)sparenza a rimando del soggetto con sé e con gli
altri, privilegiando uno sguardo globale trasparente solo a se stesso e perciò idealizzabile
e temibile anche se non ci fosse
34
. Ma la trasparenza-in-sé del segno-telecamera si carica
dell’opacità con la quale i soggetti la percepiscono proprio perché rompe quella
reversibilità tra vedente e visibile che caratterizza il nostro essere al mondo.
E’ nel postmoderno che bisogna cercare l’alternativa alla trasparenza metafisica nella
tra(n)sparenza mossa e diveniente come passaggio da qualcosa a qualcos’altro attraverso
un mezzo, secondo una struttura comunicativa nella quale l’idea di sostanza è sostituita
da quella di segno. In assenza dei propri garanti metafisici è infatti il segno a farsi carico
del dissidio sul reale il quale, da referente certo e oggettivabile, diventa realtà da creare
soprattutto oggi che l’implementare di segni tecnologici e immateriali, scevri di referente
30
“Non crediamo più che la verità rimanga verità se le si toglie il suo velo” (Nietzsche, La gaia scienza, in
Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montanari, vol. V, t. II, Adelphi, Milano 1965, p. 19).
31
“Nessun locutore parla se non facendosi anticipatamente allocutore, sia pur di se stesso, perché con un
sol gesto egli chiude il circuito del suo rapporto a sé e quello del suo rapporto agli altri, e
contemporaneamente, si istituisce anche delocutore, parola di cui si parla” (M. Merleau-Ponty, Il visibile e
l’invisibile, nuova edizione italiana a cura di M. Carbone, Bompiani, Milano 1993, p. 169, cit. da J.-F. Lyotard,
La philosophie et la peinture à l’ère de leur expérimentation, Rivista di Estetica, n. 9, 1981, cit. da M.
Carbone, Il sensibile e l’eccedente.Mondo estetico, arte, pensiero, op. cit., p. 64).
32
Cfr. M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, op. cit., p. 155.
33
Ibidem.
34
Se anche nessun sorvegliante guardasse la telecamera che ci punta, noi non potremmo saperlo e ci
sentiremmo comunque osservati.
8
oggettuale, ci chiama a testimoniare il dissidio
35
.
35
Il dissidio, da stallo metafisico nel quale “un oggetto che viene pensato sotto la categoria del tutto non è un
oggetto di conoscenza la cui realtà possa essere sottoposta al protocollo”, deve diventare la presa d’atto
dell’impossibilità di evitare i conflitti e l’assenza di un genere di discorso universale che li possa regolare.
L’universalismo, anzi, si rivela alla radice totalitario e pericoloso più che il conflitto stesso. “Occorre cercare a
lungo per trovare le nuove regole di formazione e di concatenamento di frasi capaci di esprimere il dissidio
che il sentimento tradisce se non si vuole che tale dissidio venga ben presto soffocato” (J.-F. Lyotard, Il
dissidio, op. cit., pp. 21 e 30).