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INTRODUZIONE
l rapporto di ricerca stilato a dicembre 2010 da Greenpeace e dall’International Society of
Doctors for the Environment (ISDE) riporta un affresco incredibile di ciò che sta
accadendo sul nostro pianeta per colpa dei cambiamenti climatici causati dall’Uomo:
1
perdita della biodiversità,
2
aumento di fenomeni meteorologici estremi come ondate di caldo ed
uragani,
3
aumento delle malattie da inquinamento atmosferico,
4
cambiamenti nella geografia delle
malattie infettive e delle parassitosi.
5
Nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
abbia stimato che la mortalità umana salga del 3% per ogni grado d’aumento della temperatura
terrestre,
6
il 2010 è stato il terzo anno più caldo della storia, preceduto solo dal 1998 e dal 2005.
7
L’attività umana, ed in particolare l’attività economica, è la principale responsabile di questi
cambiamenti così deleteri per il pianeta e per la stessa Umanità: imprese ed industrie, con
l’obiettivo ultimo di aumentare i profitti, producono a ritmi continui impiegando risorse non
rinnovabili e portandole all’esaurimento, immettendo materie di scarto che vanno a contaminare
l’ambiente naturale. Gli effetti collaterali di queste attività non vengono mai contemplati in
quanto considerati non importanti o – peggio – di non competenza dei soggetti economici perché
non direttamente legati alla produzione.
La collettività si è però resa conto del legame esistente tra attività economica ed
immissioni nocive (nell’atmosfera, nelle acque, nei terreni), e della necessità di porre un limite a
queste pratiche al fine di rallentare ed invertire questo fenomeno autodistruttivo tipico della
specie umana. Nasce così il concetto di Green Economy, un’economia pensata non in
contrapposizione alla natura, ma integrata con essa, simbiotica. L’idea positivista del dominio
dell’Uomo sulla Natura viene giudicata sorpassata e controproducente, responsabile dello
sfrenato “sviluppo” che ha devastato l’ecosistema e peggiorato le condizioni di vita di milioni di
persone. Questo nuovo corso dell’economia – ancora agli albori – potrebbe essere la soluzione
per una convivenza pacifica tra la nostra specie, il nostro modello di sviluppo ed il resto del
pianeta finora giudicato accessorio, se non addirittura d’intralcio, ai primi due. Un’economia che
1
Greenpeace International ed International Society of Doctors for the Environment (2010)
2
In Italia si sono dimezzate negli ultimi 25 anni le specie degli uccelli tipiche delle zone agricole; inoltre sono a
rischio dal 47,5% al 68,4% delle specie dei vertebrati, il 66% di quelle anfibie, il 15% delle specie delle piante
superiori e il 40% delle piante inferiori.
3
Le sole ondate di calore sono responsabili degli oltre 52.000 morti in Europa – di cui 18.000 in Italia – dell’agosto
2003.
4
Ad esempio allergie e malattie respiratorie.
5
Un caso emblematico è la diffusione rapidissima della zanzara tigre – possibile portatrice di malattie infettive –
nell’Europa mediterranea ed in altre zone temperate, quando l’habitat tipico di questo insetto è l’Asia sud-orientale.
6
World Health Organization (2009)
7
Pearce F. (2010b)
I
9
riconosce l’importanza fondamentale della Natura e fa di tutto per conservarla e proteggerla,
cancellando l’equivalenza “ambiente = luogo dove riversare con leggerezza i risultanti di scarto
del processo produttivo”.
Le frange più sensibili della popolazione si stanno mobilitando per chiedere regolamenti
più stringenti in fatto di controllo dell’operato delle imprese e, coscienti che il consumo è parte in
causa di questo processo di alterazione dello status quo, iniziano a mobilitarsi in prima persona per
diminuire l’impatto che il vivere quotidiano ha sull’ecosistema, variando i propri consumi. Si
viene a creare così un nuovo mercato dove la domanda è rappresentata da persone che cercano di
soddisfare i propri bisogni in maniera compatibile con l’ambiente, e dove l’offerta è invece
l’insieme delle realtà economiche che producono beni e servizi ecologici, proprio per venire
incontro a questa nuova sensibilità del pubblico; le imprese, per presidiare con successo il nuovo
mercato, abbandonano il vecchio marketing – troppo legato al modo neoclassico di concepire il
contesto – per il Green Marketing, un approccio che mira contemporaneamente al
raggiungimento del profitto e alla salvaguardia del pianeta. Questo nuovo approccio ha capito che
il problema ambientale è grave e bisogna impegnarsi al massimo per trovare una via d’uscita;
grazie al Green Marketing le aziende potranno riorganizzare tutta la struttura e i processi in modo
ecologico, mentre i consumatori avranno la possibilità di cambiare stile di consumo e dunque di
vita.
Gli obiettivi della Green Economy possono essere raggiunti grazie all’impegno del
Marketing “verde” che non sacrificando le ambizioni delle imprese, riesce a trasformarle in sfide
concorrenziali che hanno come ultimo obiettivo un grande miglioramento delle condizioni della
vita sulla Terra. Questo tipo di approccio al marketing sarà in un prossimo futuro l’unico
possibile per le aziende, in quanto una sua non adozione significherà un totale disinteresse per le
problematiche ambientali divenute cruciali negli ultimi tempi, che farà agire di conseguenza i
consumatori – presumibilmente attraverso il non acquisto dei prodotti o servizi commercializzati
dalle stesse imprese: la scelta sarà tra la responsabilità nei confronti del proprio modo di operare e
l’uscita forzata dal mercato. Dunque realtà grandi e piccole dovranno abbandonare i metodi
acquisiti negli anni per confrontarsi con nuove sfide commerciali ed ambientali.
Ecozema è un esempio in questa direzione che verrà analizzato nel dettaglio: piccola
realtà imprenditoriale del Nord-Est italiano entrata nel nuovo mercato con una linea di prodotti
monouso per catering biodegradabili e compostabili, con l’intento di eliminare i problemi inerenti
allo smaltimento dei prodotti gemelli in plastica non riciclabile. Questa azienda è riuscita a fare
del Green Marketing il suo strumento più importante, per avere e mantenere una coerenza
d’operato altrimenti difficile: il marketing in chiave ecologica è infatti la linea guida di tutta
l’attività dell’impresa, dalla produzione ed ai suoi metodi, fino alla comunicazione ai clienti finali.
10
Ogni impresa che decida di entrare a testa alta nella Green Economy deve sposare totalmente la
filosofia ecologica, che vede una riduzione del superfluo e dello spreco ed una attenzione
particolare ai miglioramenti d’efficienza, proprio come Ecozema.
Il suo operato, le sue iniziative, il suo modo di intendere la collettività e l’ambiente
possono essere d’esempio per meglio comprendere la rivoluzione che stiamo per vivere. Per fare
del verde il colore del futuro.
12
CAPITOLO 1 – LA GREEN ECONOMY
1.1 – Aspetti definitori
arafrasando Daly e Cobb
8
ed affermando che le comunità umane sono solamente
parte di un aggregato ben più ampio che comprende anche quelle non umane, risulta
evidente che l’economia che noi conosciamo è niente più di una frazione di quella
totale che si sviluppa sulla Terra. Per funzionare il “nostro” sistema economico deve
necessariamente attingere materie prime – cioè risorse – dall’ambiente, per poi riversare sempre
su quest’ultimo grandi quantità di risorse alterate – consumate o chimicamente trasformate – che
noi chiamiamo semplicemente rifiuti; questo rapporto diretto con l’ambiente mette in evidenza la
dipendenza dell’economia stessa dalla biosfera, che altro non è se non un suo sottosistema.
9
E,
quel che è più importante, rende logica la presenza di vincoli materiali; vincoli che ancorano
l’astrattezza teorica alla realtà fisica del mondo su cui questi sistemi vengono mossi.
Purtroppo però i modelli teorici alla base della nostra economia hanno sempre ignorato
questo essenziale dato di fatto, dando così una parziale ed antropocentrica versione dello status
quo, figurando il sistema come chiuso e lineare, totalmente autoreferenziale.
10
L’economia classica
e neoclassica infatti – dottrina prevalente nella nostra società – ha sempre ignorato questi concetti
ecologici,
11
forte della sua convinzione sulla crescita illimitata, poggiante su due differenti teoremi:
il teorema dell’infinita sostituibilità e il teorema dell’inesauribile tecnologia.
12
Il primo afferma che
le risorse naturali che si trovano in natura sono inesauribili, e per quelle evidentemente esauribili
si ritiene siano così abbondanti da non porre alcun problema di scarsità – si potrebbe dunque
esaurire una risorsa in un particolare giacimento, ma si troverebbero subito altri giacimenti dove
la stessa risorsa sarà ancora disponibile; il secondo teorema invece afferma che qualunque
imprevisto o problema, per quanto complesso sia, sarà risolto da un incremento della produttività
delle risorse. La risposta degli economi ecologisti a questa visione è semplice e diretta: tutte le
risorse a differenza di quanto sostengono gli ottimistici colleghi sono esauribili, e non è provato
1
Daly H., Cobb J. Jr. (1990)
2
Daly H. (2005)
10
Turner K., Pearce D., Bateman I. (2003)
11
Ecologico è qui utilizzato con l’accezione di inerente al rapporto tra esseri umani ed ambiente naturale.
12
Ruffolo G. (1985)
P
13
che la tecnologia – sebbene abbia raggiunto traguardi inimmaginabili – riesca a risolvere i
problemi di scarsità delle risorse che si potrebbero presentare.
13
Si può facilmente percepire la pericolosità della visione neoclassica che, svincolando
l’economia da qualsiasi legame con il substrato biofisico, la fa apparire del tutto indipendente e,
quindi, non soggetta ad alcuna limitazione; è allora legittimato e perfettamente comprensibile lo
spreco di risorse, come il totale disinteresse per i problemi, anche evidenti, dell’ecosistema
Terra.
14
Ma come prima accennato l’economia è in realtà un sistema aperto e circolare che attinge
a piene mani dalla biosfera su cui inevitabilmente si basa: è così che nasce l’approccio del bilancio
dei materiali che mette a fuoco le interdipendenze tra la sfera economica umana e l’ambiente, a
partire dall’estrazione di risorse per arrivare alle esternalità negative, colpevolmente dimenticate
dalle altre concettualizzazioni dei flussi lontane dalle posizioni della Green Economy. È un
modello innovativo, che nonostante la sua semplicità (nella figura 1.1 è rappresentato un flusso
semplificato) inserisce concetti come le emissioni di non prodotti, il riciclaggio e l’ambiente
utilizzato come recettore dei materiali di scarto di questo ciclo.
13
Greco P., Pollio Salimbeni A. (2003)
14
Latouche S. (2008)
14
I
IS
IR/T
WP
WPR
Q
= input di materie prime e di energia;
= input secondari (riciclati);
= input primari per il riciclaggio e/o per le attività di trasformazione;
= residui che chiedono eliminazione;
= residui generati durante il trattamento e/o i processi di riciclaggio
= output in forma di prodotto finale.
Fonte: adattamento da Turner K., Pearce D., Bateman I. (2003).
L’approccio al bilancio dei materiali è indissolubilmente legato alle prime due teorie della
termodinamica, interpretate in maniera economica da Nicholas Georgescu-Roegen, economista
tra i primi e più influenti dell’ecologia economica. Leggendo questi due capisaldi della fisica da
una differente angolatura – per l’appunto quella dell’economia – risultano evidenti due concetti
fondamentali:
15
15
Bresso M. (1993)
Figura 1.1 Modello del bilancio dei materiali
15
- il primo principio della termodinamica ci dimostra che, dato il fatto che la materia non può
essere distrutta, il processo economico assimila materie prime di intrinseco valore e – a processo
concluso – rigetta la stessa quantità di rifiuti, ormai senza valore residuo;
- il secondo principio della termodinamica dimostra che la materia/energia va senza alcuna
eccezione da uno stato di ordine (bassa entropia) ad uno di disordine (alta entropia) per cui,
siccome il sistema Terra è un sistema chiuso, l’uso delle risorse energetiche fossili e minerarie –
caratterizzati da bassa entropia – ne diminuisce le scorte per i posteri, “creando” risultati ad alta
entropia non più utilizzabili dall’uomo come fonti energetiche.
Però il concetto di entropia e la conseguente legge, necessita di un ulteriore
approfondimento in quanto cruciale per capire l’importanza di una economia che ne tenga
debitamente conto. È la legge che regola l’economia di tutti gli esseri viventi: ogni creatura per
mantenere basso il proprio livello di entropia, cioè il proprio ordine vitale, utilizza risorse
ordinate (a bassa entropia) dall’ambiente esterno e riversa nello stesso scarti senza valore (ad alta
entropia). Uno degli aspetti che però contraddistingue il ciclo entropico umano-industriale da
quello di altri esseri viventi è la non chiusura del cerchio produzione-consumo-rifiuto: non esiste
cioè in questo flusso una fase che riproduca la materia prima a bassa entropia a partire dai rifiuti
con entropia alta. Il ruolo destinato ai cosiddetti decompositori qui non esiste.
16
Dunque il
continuo e crescente prelievo di risorse ordinate non riproducibili ha prodotto un aumento del
disordine del sistema e una drastica diminuzione di simili risorse per le generazioni a venire. Cioè
rifiuti non riutilizzabili e scarsità di risorse.
Georgescu-Roegen afferma che «il fatto palese che tra il processo economico e l’ambiente
materiale esista una mutua, ininterrotta influenza è irrilevante agli occhi dell’economista
standard»
17
. Gli economisti “standard” non danno allora alcun peso economico al deterioramento
della biosfera da parte della attività umana; ma possiamo affermare che grazie al continuo – anche
se lento – espandersi di una mentalità più responsabile, non sono pochi gli esperti che
sostengono una tesi contraria.
18
D’altro canto è indubbio che il valore economico di una meta
turistica – come potrebbe essere l’isola di Capri, ad esempio – diminuirebbe drasticamente se
venisse ad essere vittima di pesanti esternalità negative: chi pagherebbe salati alberghi per vedersi
circondato da acque non più cristalline e spiagge invase da sacchetti di spazzatura? Turner, Pearce
e Bateman hanno lucidamente messo in evidenza questo concetto di esternalità negativa (già
mostrato nello schema dell’approccio dei materiali) legandolo alle sue ripercussioni pratiche in
16
In realtà sono i lunghissimi tempi di conversione che fanno sembrare che questo passaggio non esista. L’Uomo
infatti nella produzione industriale utilizza risorse fossili (minerali e risorse energetiche) createsi in milioni di anni;
anche il passaggio da rifiuto a risorsa rispetta una tabella temporale di tale ampiezza, che raffrontata alla vita umana
sembra infinita. Dunque per l’Uomo questa chiusura del cerchio è assente.
17
Georgescu-Roegen N. (2003), cit. p. 79
18
Brown L. R. (2002)
16
materia economica: i tre economisti sostengono infatti che troppe scorie risultanti dai processi
produttivi condensate in un luogo e in un momento non adatto, o per un periodo troppo lungo,
causano all’ambiente mutamenti biologici o di altra specie – si parla in questo caso di
contaminazione dell’ambiente – i quali possono danneggiare anche animali, piante e relativi
ecosistemi – si parla così di inquinamento. Quando questi danni all’ecosistema pregiudicano la
salute delle persone, o ne diminuiscono il benessere si può allora parlare di inquinamento
economico: in termini economici si verifica un calo di qualità della vita a causa di un costo
esterno causato da un’emissione nell’aria, o dalla dispersione nel terreno o nelle acque di sostanze
inquinanti di scarto.
19
E come abbiamo detto precedentemente, la mancanza in natura di appositi
decompositori, rende queste immissioni nocive e debilitanti irreversibili.
Se è chiaro che l’inquinamento economico è non auspicabile, resta da capire come mai
nelle nostre società industriali ci siano tali riversamenti di sostanze dannose in così grande
quantità. Già il fisico tedesco Rudolf Julius Clausius aveva capito il problema alla fine del XIX
secolo: «In economia vi è una regola generale secondo la quale il consumo di un dato bene in un
dato periodo non deve superare la sua produzione dello stesso periodo […] Sappiamo che
sottoterra vi sono da tempi remoti depositi di carbone massicciamente accumulati grazie alla
crescita della vegetazione allora esistente sulla Terra per periodi così lunghi che, al loro confronto,
i tempi storici appaiono infinitamente brevi. Oggi stiamo consumando questo patrimonio,
comportandoci come eredi scialacquatori. Si estrae dal suolo quanto la forza umana e i mezzi
tecnici consentono, e quel che viene estratto è consumato come se fosse inesauribile. […]
Quando guardiamo al futuro ci domandiamo inevitabilmente cosa accadrà una volta che le riserve
di carbone saranno esaurite»
20
.
Ovviamente non si tratta solo del carbone, ma di tutte le fonti energetiche fossili, anche
se il problema non è affatto cambiato in più di 120 anni: perché ci comportiamo come eredi
scialacquatori? La risposta è abbastanza semplice: lo facciamo perché queste risorse sono
assolutamente gratuite. Non appartengono a nessuno e non hanno alcun costo se non quello
dell’estrazione e della raffinazione. Le imprese infatti – gli attori fondamentali delle economie
occidentali – sono molto attente a non sprecare le materie prime che generano costi di
produzione; per quanto riguarda le risorse ambientali invece, avendo un prezzo pressoché
inesistente, questi attori continueranno ad aumentare il loro impiego fino a quando dalla loro
utilizzazione non si riscontreranno ulteriori accrescimenti di ricavi.
21
Qui l’infallibilità del mercato
teorizzata dalla scuola liberista viene meno dato che le aziende, nel decidere il quantitativo di
risorse da utilizzare per la propria attività, tengono conto solamente del prezzo di mercato: tutte
19
Turner K., Pearce D., Bateman I. (2003)
20
Clausius R. (1885) in Martinez-Alier J. (1991), cit. pp. 111-112
21
Turner K., Pearce D., Bateman I. (2003)
17
le esternalità negative – che sono anch’esse dei costi – legate all’eccessivo sfruttamento di tali beni
vengono riversate sulla società che se ne deve fare carico. Le uniche vie d’uscita sono un
approccio “chi inquina paga” – da qualche tempo sperimentato dai governi più attenti anche se le
difficoltà nel controllo e nella valutazione reale dell’impatto lo rendono non efficacissimo – ed
una sensibilizzazione a trecentosessanta gradi – sia per le aziende, sia per i consumatori – per
quanto riguarda la salvaguardia dell’ecosistema, basata sul “principio precauzionale”
22
tale da
bloccare alla fonte i comportamenti deleteri.
La Green Economy, forte di tutti questi punti che sinora abbiamo toccato, si propone
come l’unica via per la custodia del nostro sistema uomo-economia-ambiente, per il
“raddrizzamento” di tutti i problemi che hanno portato l’occidente a dimenticarsi del benessere
vero delle persone e non solo, per promuovere un benessere altro, che però non può esistere
escludendo il primo. Questo approccio all’economia si compone di sei diversi settori,
23
che
insieme possono portare l’uomo a coesistere felicemente con la Terra:
• le energie rinnovabili;
• i trasporti puliti;
• la gestione dei rifiuti (riciclo, riutilizzo, riuso);
• la gestione dell’acqua;
• la gestione del territorio;
• l’edilizia sostenibile.
L’economia contemporanea non può prescindere dal tenere in debita considerazione
questi sei spicchi della torta, pena l’ulteriore avanzamento verso il famoso punto di non ritorno
che i media hanno fatto conoscere anche ai non addetti ai lavori. I tempi sono maturi per
un’inversione di rotta. Dopo tanti anni spesi dagli economisti ecologici per far riconoscere come
degno d’attenzione il proprio punto di vista, sembra che ci sia stata quella sensibilizzazione su
ampia scala che loro stessi si auspicavano; però dobbiamo confessare che quello della Green
Economy è stato un cammino lungo e difficile.
22
Il cosiddetto ‘principio precauzionale’ stabilisce che a causa dell’incertezza esistente in merito agli effetti dei
processi produttivi (o dell’introduzione di nuovi materiali, ecc.) è necessario usare la massima prudenza nel fissare
degli standard di emissione, nonché concentrarsi sulla prevenzione dell’inquinamento direttamente alla fonte anziché
preoccuparsi del risanamento sui trattamenti già effettuati.
23
http://www.mnn.com/green-tech/research-innovations/blogs/how-do-you-define-the-green-economy