II
organizzare il lavoro a livello temporale e spaziale in maniera tale che gli eventi
notiziabili possano affluire ed essere lavorati in modo pianificato.
Nella produzione di informazione abbiamo dunque da un lato la cultura
professionale, intesa come “un inestricabile groviglio di retoriche di facciata e
astuzie tattiche, di codici, stereotipi, simboli, tipizzazioni latenti,
rappresentazioni di ruoli, rituali e convenzioni, relativi alle funzioni dei media e
dei giornalisti nella società, alla concezione del prodotto-notizia, e alle modalità
che sovrintendono alla sua confezione. L’ideologia si traduce poi in una serie di
paradigmi e di pratiche professionali adottate come naturali”
3
.
Sul lato opposto ci sono restrizioni legate all’organizzazione del lavoro, sulle
quali si edificano convenzioni professionali che decidono la definizione di
notizia, legittimano il processo produttivo e prevengono, in ultima analisi, le
critiche del pubblico. “Si determinano così un insieme di criteri di rilevanza che
definiscono la notiziabilità di ogni evento, cioè la sua attitudine a essere
trasformato in notizia”
4
.
Tutto ciò che non risponde a questi valori-notizia viene scremato in quanto non
adeguato alle routine produttive e ai canoni di cultura professionale: andrà a
finire nella categoria delle notizie di cui non siamo mai venuti a conoscenza.
Notizia è quindi ciò che i giornalisti definiscono tale, “il prodotto di un processo
organizzato che implica una prospettiva pratica sugli eventi, finalizzata a
assembrarli, a dare valutazioni semplici e dirette sui loro rapporti, a fare ciò in
maniera capace di intrattenere gli spettatori”
5
.
La scelta del notiziabile ha sempre una dimensione prettamente pragmatica,
orientata cioè verso la fattibilità del prodotto informativo da realizzare con
tempi e risorse specifici. “Essa contribuisce a decontestualizzare un evento dallo
3
Garbarino, A., La normalizzazione dei giornalisti. Ipotesi sugli esiti della socializzazione
professionale negli apparati dell’informazione, Sociologia dell’organizzazione, 1, 1982, p.10
4
Wolf, M., Teoria delle comunicazioni di massa, Bompiani, Milano, 1985, p. 190
5
Altheide, Creating reality How Tv news distorts events, Sage, Beverly Hills, 1976, p. 112 , in
Sorrentino, C., Il giornalismo, che cos’è come funziona, Carocci, Roma, 2002
III
scenario in cui è accaduto per poterlo ricontestualizzare nel formato
dell’articolo”
6
.
L’uomo compie “degli sforzi deliberati e autocoscienti per ottenere
informazioni da ciò che avviene nell’ambiente circostante, con il proposito di
usare questa conoscenza per affrontare gli eventi. In questo caso si può parlare
di una parte che valuta la sua situazione, e la valutazione comporta sia la
raccolta che l’uso delle informazioni per arrivare più facilmente alle decisioni”
7
.
E’ in questo contesto che il giornalismo opera, attuando un’operazione di
ricostruzione e non di rispecchiamento della realtà. Troppo spesso però si
guarda all’attività giornalistica come ad un rivelatore dell’eccezionalità degli
eventi, tant’è che a volte, negli stessi ambienti giornalistici, circola il detto,
paradossale, secondo il quale a fare notizia è l’uomo che morde il cane.
Questa considerazione semplicistica fa perdere però la reale dimensione e
valenza dell’operato del cronista, il cui compito principale è quello di narrare la
quotidianità, attribuire un senso un percorso all’esigenza di condivisione degli
individui, al loro bisogno di entrare in contatto e relazione.
Il giornalismo non è pura informazione, ma attingimento dall’essenza
multiforme della realtà prima e messa in forma delle informazioni poi, ovvero
una vera e propria produzione culturale intesa come “l’ambito della vita in cui
gli esseri umani costruiscono significati mediante pratiche di rappresentazione
simbolica”
8
. Ogni informazione rappresenta un nuovo elemento che va a
popolare un mondo già ricco di rappresentazioni sociali preesistenti, di
sedimenti culturali radicati, che in tal modo prende significato e diventa
conoscenza. Il giornalismo va considerato, pertanto, come una negoziazione fra
i vari membri della società: le fonti, i mediatori del campo della comunicazione,
il pubblico ricevente. In questo modo si definisce un nuovo ambiente cognitivo,
una nuova agorà sociale dove “gli individui possono incontrarsi e riconoscersi,
costruire nuove tipizzazioni, individuare nuovi sensi comuni, arricchire i
6
Ibid., p. 179, in Sorrentino
7
Goffman, E., Modelli di interazione sociale, Il Mulino, Bologna, 1971, p. 321
8
Tomlison, J., Sentirsi a casa nel mondo, La cultura come bene globale, tra. Ita. Feltrinelli,
Milano, 2001, p. 31
IV
pregiudizi grazie ai quali interpretare, e dunque poter conoscere, un mondo che
diventa sempre più complesso”
9
. L’instaurazione di un contatto sociale
permanente, di “un incontro […] che comporta uno scambio di parole o altri
rituali di identificazione e” di “reciproca partecipazione”
10
.
Seguendo queste linee, i giornali possono essere concepiti come un nuovo
spazio aperto dove le azioni e i comportamenti umani emergono e interagiscono
in tutta la loro diversità dando vita a nuovi ambienti cognitivi. La funzione
socializzante del giornale si evidenzia nell’allargamento degli orizzonti
esperienzali, nell’accrescimento dell’inventario culturale che esso produce.
Attraverso la carta stampata conosciamo il maggior numero delle cose che
accadono nel mondo, i vari gruppi sociali disseminati nel pianeta interagiscono,
chiedono, si conoscono e riconoscono.
La grande varietà di notizie presenti nelle attuali società moderne, non permette
più di impostare le proprie decisioni sul controllo diretto di poche conoscenze
personali
11
. Occorre quindi affidare e riporre fiducia a esperti dotati di un ampio
bagaglio tecnico e specializzato in un ambito ben definito di questa complessità.
Il giornalismo, al pari di altre attività, fa parte di quelli che sono stati definiti
sistemi esperti, ovvero “sistemi di realizzazione tecnica o di competenza
professionale che organizzano ampie aree negli ambienti materiali e sociali nei
quali viviamo”
12
.
Il sapere da possedere diviene ormai sempre più ampio e la lettura del giornale
diviene allora un gesto di delega nell’organizzazione della conoscenza a chi, i
cronisti in questo caso, si sono costruiti una specifica expertise nel campo
specifico della catalogazione della modernità. Il giornalismo si prodiga in
un’operazione di messa in ordine, nella creazione di un’agenda di una realtà
9
Hannerz, U., La complessità culturale, trad. ita. Il Mulino, Bologna, 1998
10
Goffman, E., Relazioni in pubblico, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 130
11
Lippmann a tal proposito ha scritto: “[…]in qualsiasi società che non sia totalmente assorbita
nei suoi interessi né tanto piccola, che tutti siano in grado di sapere tutto su ciò che vi accade, le
idee si riferiscono a fatti che sono fuori dal campo visivo dell’individuo, e che per di più sono
difficili da comprendere […]”.. Lippmann, W., L’Opinione Pubblica (1922), Roma, Donzelli,
2000, pp. 40-41
12
Giddens, A.,Le conseguenze della modernità, trad. ita. Il Mulino, 1994, p. 37
V
sempre più affollata, presentando “al pubblico una lista di ciò intorno a cui
avere un’opinione e discutere”
13
.
La costante enfatizzazione di certi temi, aspetti e problemi, forma una cornice
interpretativa, uno schema di conoscenze che si applica, più o meno
consapevolmente, per dare un senso a ciò che osserviamo. Si viene così a creare
una situazione in cui “ […] la presenza di fette e pacchetti di realtà che i
soggetti non esperiscono direttamente né definiscono interattivamente a livello
di vita quotidiana, ma che vivono esclusivamente in funzione di o attraverso la
mediazione simbolica […]
14
” del giornale, costituiscono il reale al di fuori del
nostro margine di conoscenza diretta
15
.
Si pone, in questo caso, dato che l'effetto di cui si parla riguarda l'insieme
strutturato di conoscenze assorbite dalla stampa, il problema dei diversi fattori
che nella produzione di informazione determinano le "distorsioni involontarie"
nelle rappresentazioni diffuse dal giornale. Esse avvengono nella misura in cui
il destinatario non è in grado di controllare l'accuratezza della rappresentazione
della realtà sociale, sulla base di qualche standard al di fuori del medium e
l'immagine che egli si viene formando mediante questa rappresentazione finisce
per essere distorta, stereotipata o manipolata. All’interno della considerazione
del ruolo di agenda del giornale, bisogna porre dunque il problema di una
continuità a livello cognitivo, tra le distorsioni che si originano nelle fasi
produttive dell'informazione e i criteri di rilevanza, di organizzazione delle
conoscenze, che i fruitori di tale informazione assorbono e fanno propri.
13
Shaw, D., Agenda setting and mass comunication theory, Gazette International journal for mass
comunication studies, vol. XXV, n. 2, 1979, p.96
14
Grossi, G., Livelli di mediazione simbolica nell’informazione di massa,in Livolsi M. (a cura di),
Sociologia dei processi culturali, Angeli, Milano, 1983, p. 225
15
L’ipotesi dell’agenda setting sostiene che in conseguenza dell'azione dei giornali, della
televisione e degli altri mezzi di informazione, il pubblico è consapevole o ignora, dà attenzione
oppure trascura, enfatizza o neglige, elementi specifici degli scenari pubblici. La gente, secondo
la teoria dell’agenda setting, tende a includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i
media includono o escludono dal proprio contenuto. Il pubblico inoltre tende ad assegnare a ciò
che esso include, un'importanza che riflette da vicino l'enfasi attribuita dai mass media agli
eventi, ai problemi, alle persone.
VI
Allo stesso modo in cui le routines produttive e i criteri di rilevanza nella loro
applicazione costante formano il quadro istituzionale e professionale entro cui è
percepita dai giornalisti la notiziabilità degli eventi, così la costante
enfatizzazione di certi temi, aspetti e problemi, forma una cornice interpretativa,
uno schema di conoscenze, un frame, che si applica (più o meno
consapevolmente) per dare senso a ciò che osserviamo.
La complessità, la varietà di mondi frequentati e dei ruoli ad essi collegabili,
sono imputabili ai diversi ambiti che ogni individuo quotidianamente si trova ad
affrontare: quello lavorativo, l’affettivo, del tempo libero. Lo status di cittadino
conferisce il diritto ad essere partecipe nella magmatica sfera decisionale
pubblica ma per compiere questo percorso di consapevolezza e decisione si
rendono necessarie le informazioni atte a sviluppare conoscenza, a rendere
funzionale un meccanismo di autonoma motilità in questi mondi, rendere
adeguata l’interpretazione di nuovi ruoli. Informarsi anche su ciò che sfugge
alla propria vista, in una sorta di prevaricazione spazio-temporale
dell’avvenimento, consente che si realizzino esperienze sociali pur non
trovandosi sul luogo degli accadimenti. Il giornale, che da sempre “ha aspirato
alla forma […] mosaica o partecipazionale, […] non implica un punto di vista
distaccato, ma una partecipazione al processo”.
16
Il lettore amplia i propri
orizzonti cognitivi e si avvale di nuovi mezzi per vivere nella realtà.
Se da un lato ci si rende partecipi di un rituale collettivo, dall’altro la parola
stampata elimina il senso emozionale tipicamente comune e consente una forte
spinta al pensiero individualista, un’esperienza soggettiva in cui ognuno può
pretendere di aver ragione dal suo punto di vista. Il confronto e la possibilità di
comparazione di pensieri e culture sradica l’individuo da una cultura
staticamente monolitica conducendolo ad una ripetuta riflessività. Egli si
interroga, si mette in discussione, nessuna regola è più precetto, si passa dalla
tradizione alla rielaborazione. L’individuo dell’epoca dei giornali è sempre
meno suddito e sempre più attore di se stesso, sempre pronto a tracciare il
proprio percorso di scelte.
16
Mc Luhan M., Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano, 1995, p.225
VII
Il percorso di soggettivazione, se da una parte implica autonomia, dall’altra
comporta l’esigenza di costruire significati condivisi, di creare nuovo senso
comune, di ritrovare appartenenze. Il senso comune è un insieme di istruzioni
che consente di aderire a specifici comportamenti sulla base di valori e precetti
morali che sono alla base di una determinata comunità di appartenenza
17
.
Il senso comune è definito nella comunità, quindi dalle relazioni affini
attraverso cui gli individui definiscono le regole e i modi del loro stare insieme,
un senso condiviso attraverso cui esercitare reciproco controllo sociale delle
proprie azioni. Il senso comune ricopre allora una funzione di interpretazione
del mondo, attraverso quei pre-giudizi che ogni individuo trova nel proprio
contesto sociale: attraverso, cioè, l’insieme di significati che forniscono la pre-
comprensione del mondo, da cui poi si dipana ogni intendimento.
Il senso comune richiama quindi, la necessità di orientare la nostra azione
attraverso la possibilità di interpretare la realtà sulla base di tipizzazioni
18
,
ovvero una serie di pratiche sociali che incanalino le azioni degli individui
rendendole intersoggettivamente riconoscibili. I tipi rappresentano e
classificano la realtà, ed è necessario che queste tipizzazioni siano riconosciute
anche dagli altri: la loro funzione è quella di preservare la mia mente dal caos,
delle percezioni, ma, più di questo, è di permettere l’interazione sociale
19
.
Il senso comune serve a routinizzare le conoscenze, a consentire condivisioni di
significato agevoli; ma anche, e forse soprattutto, a permettere a ciascuno dl
riconoscersi come membro di un gruppo. Il giornalismo svolge proprio una
funzione costruzione di nuove tipizzazioni che permettano all’individuo, anche
laddove l’incessante flusso del cambiamento proprio della modernizzazione
renda obsoleti gli strumenti cognitivi della tradizione, di mantenere un senso
d’appartenenza, di sentirsi di nuovo a casa. Il giornalismo svolge pertanto una
funzione fondamentale nel consentire all’individuo il processo interpretativo e
di ricezione attiva in cui piuttosto che subire passivamente le informazioni le
interpreta, le traduce, le interiorizza. Esso rende ricorrenti gli avvenimenti,
17
Gadamer, H.G., Verità e metodo, Bompiani, Milano, 1983
18
Schutz, A., Scritti sociologici, trad. it. Utet, Torino, 1978
19
Jedlowski, P., Il sapere dell’esperienza, il Saggiatore, Milano, 1994, p. 37
VIII
sottolinea la regolarità dell’agire umano, traccia la sua prevedibilità, al fine di
contenere e controllare l’ansia derivata dal non poter conoscere e governare tutti
gli elementi necessari per compiere azioni dotate di senso.
20
La televisione, con la sua diffusione capillare ed ubiquitaria, ha introdotto un
mutamento radicale ed irreversibile nel funzionamento dei media perché
sormonta la legge secondo la quale un soggetto ricevente possa autonomamente
selezionare il flusso informativo che lo raggiunge.
Questo assunto, ha per lungo tempo supportato il dogma secondo il quale da un
lato, l’autonomia discrezionale del ricevente fosse completa, dall’altro, che la
pervicacia dei media blanda. Nel pensar questo, si è però tralasciato che “ più
un mezzo (...) rende difficile la percezione selettiva, maggiore sarà il suo effetto,
in entrambe le direzioni: esso rafforza quando supporta gli atteggiamenti
preesistenti; modifica quando li contraddice (...”)
21
.
In questa situazione, il processo di formazione dell’opinione pubblica è
principalmente l’interazione tra il monitoraggio che l’individuo compie
sull’ambiente sociale circostante e gli atteggiamenti ed i comportamenti
dell’individuo stesso. Invece di dare per scontata la coesione nei gruppi sociali e
quindi il consenso tra i loro membri, occorre evidenziare come tale coesione è
di fatto il risultato di un continuo lavoro sociale, di costanti processi di
allineamento.
Ne deriva una concezione “integrativa” di opinione pubblica nella quale
l’accento è posto sulla pressione a conformarsi, sulla componente della natura
sociale dell’individuo che lo spinge ad evitare l’isolamento. Ciascuno è
coinvolto, che lo voglia o no, nel processo di formazione dell’opinione
pubblica, dato che ognuno è minacciato dall’isolamento sociale se va contro le
regole ed i processi di integrazione.
20
Bovone, L., Creare comunicazione. I nuovi intermediari di cultura a Milano, Franco Angeli,
Milano, 1996
21
Neumann, N., La spirale del silenzio, Roma, Meltemi, 2002, p.139,
IX
L’opinione pubblica è quindi l’opinione dominante che costringe alla
conformità di atteggiamento e comportamento nella misura in cui minaccia di
isolamento l’individuo che dissente o di perdita del sostegno popolare ogni
cittadino.
In questo sistema collettivo di orientamento dell’azione, il percepire come si
distribuisce l’opinione pubblica è una parte importante del processo di
formazione dell’opinione pubblica stessa, in una dinamica a spirale nella quale i
media svolgono un ruolo specifico.
Questo fattore di allineamento talvolta viene trascurato o sottovalutato: è
probabile che dovendo decidere dove situarsi a proposito di un problema di
rilevanza pubblica, molti individui non mettano a fuoco tanto la propria
opinione quanto piuttosto decidano a proposito delle proprie lealtà sociali. Non
scelgano, cioè, dove “posizionarsi” ma con chi stare. Un punto d’attenzione
importante è quindi il modo con il quale le persone trattano l’informazione alla
luce della loro percezione sui rapporti di gruppo.
Soprattutto in circostanze di conflitto o di tensione tra posizioni contrastanti su
issues definite, l’individuo può scoprire di essere d’accordo con il punto di vista
prevalente, o che sta guadagnando posizione, e ciò accentua la fiducia in se
stesso e gli facilita l’espressione delle proprie opinioni senza alcun pericolo di
isolamento, nelle sue interazioni. Oppure può accorgersi che le sue opinioni
stanno perdendo terreno; più questo appare evidente, più diventerà insicuro di se
stesso e meno sarà disposto ad esprimere i propri punti di vista. Più le persone
percepiscono tali tendenze e vi adattano le proprie opinioni, più una corrente
appare guadagnare terreno e l’altra perderlo. Così, la tendenza, degli uni a
parlare più forte e degli altri a zittirsi, avvia un processo a spirale che
progressivamente stabilisce un punto di vista come quello che riesce a
dominare.
Nel generarsi di un processo di spirale del silenzio si viene a credere ciò che si
pensa che gli altri credano: il ruolo dei media in tale dinamica riguarda un
effetto di amplificazione legato alla visibilità delle diverse tendenze di opinione
X
a confronto sulla scena sociale. La spirale del silenzio indica, cioè, uno
spostamento di opinione nato dal fatto che un gruppo appare più forte di quanto
non sia in realtà, mentre coloro che hanno l’opinione diversa appaiono più
deboli di quanto non siano effettivamente.
Il ruolo dei media nel processo di spirale del silenzio è peculiare: i casi non
infrequenti nella cronaca, di “improvvisa scoperta” di orientamenti collettivi
“imprevisti” non sono legati alla persuasione o conversione generate dai media
ma al fatto, invece, di rompere una spirale del silenzio. Le opinioni condivise
dalla maggior parte delle persone ma percepite come minoritarie, vengono,
improvvisamente riconosciute nel loro essere diffuse nella maggioranza.
Improvvisamente emergono e vengono espresse.
In questo tipo di dinamica il giornalismo possiede la “capacità” di accelerare il
mutamento sociale rappresentandolo. Lo rende possibile, o meglio, contribuisce
a renderlo possibile per il fatto di costruire le condizioni mediante le quali il
mutamento stesso diventa visibile, diventa un punto di riferimento
pubblicamente noto, una meta socialmente legittima.
Il giornalismo non si limita a rappresentare le tendenze dell’opinione pubblica
ma vi da concretamente forma e sviluppo. Si può dire che la stampa crei
l’opinione pubblica in quanto gli spostamenti di tendenze non avvengono
autonomamente dalla sua azione ma sono invece strettamente legati ad essa.
Intervenendo nel 1786 sulla Berlinische Monatschrift in difesa della libertà di
pensiero, sempre più minacciata in Germania dopo la morte di Federico II di
Prussia, Kant faceva notare a coloro che credevano che anche qualora fossimo
privati della libertà di parlare o di scrivere nessuno avrebbe mai potuto togliere
quella di pensare, che se non pensassimo, per così dire, in comunione con altri,
ai quali comunichiamo i nostri pensieri, ricevendone i loro, la libertà di pensiero
di cui crederemmo di beneficiare ancora sarebbe soltanto un’illusione
22
.
22
Morresi, E., Etica della notizia. Fondazione e critica della morale giornalistica, Casagrande,
Bellinzona, 2003
XI
Kant è soltanto una delle tante voci della cultura filosofica moderna, certamente
più autorevole di altre, che può aiutarci a capire perché una civiltà non può
prosperare disporre di una agorà nella quale le opinioni si confrontano
liberamente ed i cittadini dialogano tra di loro, si accordano e dissentono.
Uno degli elementi costitutivi del contenuto normativo della modernità è infatti
l’esistenza di una sfera pubblica nella quale ciò che è pubblico lo è in
opposizione non soltanto a ciò che è privato ma anche a ciò che è segreto: è la
sfera di ciò che è conoscibile, fruibile e controllabile da tutti. La stampa ha
introdotto con le sue tipizzazioni, o schemi generali di classificazione della
realtà, i confini della sfera pubblica moderna, svolgendo allo stesso tempo il
ruolo di suo “cane da guardia”.
E’ nello sviluppo del concetto stesso di sfera pubblica, rinvenibile già nella polis
aristotelica e a “quella pluralità di cittadini che era Stato nella misura in cui si
costituiva come collettività in vista di un bene comune”
23
, che si può leggere la
ricchezza dell’espressione di società civile, intesa come insieme di “tutte le
strutture associative che non sono associazioni dello stato né rientrano nel
circuito delle attività economiche”
24
. La sfera pubblica, è stata “concepita in un
primo momento come la sfera dei privati riuniti come pubblico”. Costoro, in
prevalenza borghesi con forti interessi privati ma di rilevanza pubblica,
“rivendicavano subito contro lo stesso potere pubblico la regolamentazione
della sfera pubblica da parte dell’autorità […] Peculiare e storicamente senza
precedenti è il tramite di questo confronto politico: la pubblica argomentazione
razionale”
25
.
Una sfera pubblica borghese, quindi, in cui si sviluppa “una coscienza politica
che, in opposizione al potere assoluto, rivendica e articola il concetto di leggi
generali e astratte ed infine impara ad affermare se stessa, in quanto opinione
pubblica, come unica fonte legittima di queste leggi”
26
. La perdita
dell’elitarismo sociale, la diffusione della stampa, corrodono i ristretti confini di
23
Grandi R., La comunicazione pubblica, Carocci, 2002, p.21
24
Privitera, W., 2001, Sfera pubblica e democratizzazione, Laterza, Roma-Bari, 2001, p.86
25
Habermas, J., Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Bari, 1971, p.41
26
Ibid., p.71
XII
questo circolo per pochi iniziati e vi introducono all’interno un numero assai
maggiore di pubblici.
La sfera pubblica non si rinchiude più nei circoli letterari . Essa si riversa in una
piazza dove lo scambio delle idee segue percorsi di sviluppo e affermazione in
cui i differenti attori e le diverse parti sociali coesistono e si influenzano
reciprocamente. La grande varietà di materiale stampato che circola fin dal
Cinquecento è il primo vero segno di sfera pubblica. Le possibili origini
vengono rintracciate già nella Firenze degli inizi del Quattrocento, quando gli
scritti della cancelleria di governo incidevano sulla vita civile tanto da indurre
uno dei principali nemici di Firenze, il duca Milano, ad affermare di temere
questi testi più di uno squadrone cavalleria
27
.
La Riforma rimane comunque il primo grande conflitto ideologico combattuto
attraverso una composita varietà di materiali stampati. Da allora la stampa
svolge una specifica funzione di scardinamento del monopolio di informazioni
ed essa stessa sarà decisiva, nella sua forma quotidiana, nel trasformare la sfera
pubblica da temporanea a permanente, in quanto la sua distribuzione a intervalli
regolari consentirà ai cittadini-lettori di avere aggiornamenti costanti sulle
vicende politiche.
La stampa in particolare, e i media in generale, hanno arricchito il nostro
patrimonio simbolico attraverso la moltiplicazione dei punti di vista
rappresentabili e rappresentati, favorendo l’articolazione della capacità
riflessiva del sistema sociale. Non a caso, si sente spesso parlare della nostra
come della società dell’informazione, un mondo in cui “la capacità sociale di
produrre rappresentazioni di sé diventa costitutiva dell’azione sociale”
28
.
Ma, se da un lato i media hanno condotto ad un atto liberatorio dal monopolio
informativo, essi hanno creato dall’altro nuove gerarchie normative, definite
non dai poteri esistenti ma dall’ “allargamento degli ambiti e delle forme di
27
Burke, P., Cultura della politica e politica della cultura. Riflessioni sulla sfera pubblica
nell’Europa dell’età moderna, in il Mulino, 50 2001, pp. 987-998
28
Melucci, A., Parole chiave. Per un nuovo lessico delle scienze sociali, Carocci, Roma, 2001,
p.127
XIII
discorso. […] I media sono un nuovo e diverso spazio sociale organizzato”
29
.
Essi concedono l’opportunità di creare e interpretare significati a un numero più
ampio di soggetti sociali, allargando in questo modo la società civile, punto di
discussione dei problemi condivisi nello spazio pubblico.
Il giornalismo è un’organizzazione sociale di cui è necessario conoscere codici e
logiche per potervi accedere, e per riuscire a sostenervi le proprie
argomentazioni, a rappresentare i propri interessi e le proprie posizioni.
Si può affermare che dalla nascita della stampa a caratteri mobili di Gutenberg
ai giorni nostri ci si trovi davanti alla ricorrente necessità di attrezzare in modo
sempre più ricco e particolareggiato questo spazio sociale, al fine di acquisire
informazioni e costruzioni di senso che si incardinino in strutture di significati
utili ad agire
30
.
All’interno del sistema dei media il giornalismo diventa la principale istituzione
attraverso cui la sfera pubblica moderna si misura con l’ambivalente esigenza,
da parte di ogni soggetto, di perseguire la propria affermazione individuale ma,
contemporaneamente, di avere degli ambiti di condivisione che gli consentano
di gestire la complessità.
Il giornalismo serve come una mappa cognitiva e normativa che permette di
orientarsi nella complessità e di contenere le dimensioni dell’incertezza. Una
mappa utile per ristabilire un senso comune, un sentire condiviso che orienti
l’azione e le scelte degli individui. “Attraverso il giornalismo ogni individuo
rappresenta una sua realtà e, per mezzo di tali rappresentazioni, ricostruisce e
ridefinisce la propria presenza in essa”
31
.
Per questo il ruolo di mediatore assunto dal cronista diviene sempre più
importante. La realtà si amplifica e assume sempre maggiori sfaccettature,
nuovi media si presentano, a volte ingovernabili, ad allargare l’orizzonte
dell’opinione pubblica e a proporre una maggiore consapevolezza, necessità di
completezza informativa, esigenza qualitativa di chi riceve il messaggio.
29
Sorrentino C., Il giornalismo, che cos’è come funziona, Carocci, Roma, 2002, p.35,
30
Cfr. Eisenstein, E.L., La rivoluzione invertita. La stampa come fattore di mutamento, trad. ita.
Il Mulino, Bologna, 1986
31
Sorrentiino C., ibid, p. 40
XIV
Ma «come si diventa giornalista?». Cosa dona ufficialità a questo ruolo così
importante della modernità?
E’ questa la domanda imbarazzante che chi scrive sui giornali si sente rivolgere
infinite volte dai ragazzi che vogliono diventarlo e non conoscono la strada per
entrare in quel mondo, rimasto separato malgrado i rivolgimenti e le
trasformazioni dell’ultimo decennio, e per fare quel mestiere che continua a
esercitare fascino e attrazione.
Questo lavoro cerca di dare una risposta il più possibile esaustiva a questo
quesito. Per farlo, lo scritto segue uno schema preciso di ricerca:
Quando il giornalismo viene inteso come prestazione intellettuale e si avvia
quindi verso il riconoscimento di vera e propria professione? Il primo capitolo
cerca di delineare il lungo cammino, storico e giuridico, che ha portato al
riconoscimento di quella dei giornalisti come vera e propria categoria
professionale. La nascita del sindacato dei giornalisti agli inizi del ‘900 fa da
preludio, in qualità di presa di coscienza della categoria circa il ruolo del
proprio status, al lungo cammino, durato più di mezzo secolo, che ha portato
alla costituzione dell’Ordine dei giornalisti, il riconoscimento giuridico della
professione. Successivamente, vengono anzitutto raccolte le voci di numerosi
professionisti dell’informazione: l’intento è quello di avere cognizione, per
mezzo dell’esperienza di qualificati giornalisti, circa il loro iter di accesso alla
professione: l’intreccio di relazioni amicali, politiche, familiari per entrare in
redazione; il lavoro di bottega, fianco a fianco ai redattori più esperti, per
assorbire i principi del mestiere. Ne esce il riquadro di una professione ancora
prettamente artigianale.
Il secondo capitolo si apre con un quesito: il giornalismo può considerarsi una
professione? Risponde cioè a quell’insieme di regole precise, codificabili,
trasmissibili, proprie di tutte le altre professioni liberali? Può la definizione di
professione in senso stretto adattarsi ai giornalisti italiani? Certamente sì, ma è
altrettanto vero che molte delle componenti indicate nella definizione appaiono
nel giornalismo italiano estremamente lacunose, deboli, evanescenti. Non c’è
dubbio che in Italia il livello dell’istituzionalizzazione formale della professione
giornalistica sia piuttosto alto, addirittura superiore a quello che è dato trovare
XV
in gran parte degli altri paesi. Tale istituzionalizzazione ruota essenzialmente,
ma non esclusivamente, attorno all’Ordine dei giornalisti creato nel 1963. Ma
problema della mancanza di norme professionali accettate e istituzionalizzate
dalla categoria riporta alle origini del giornalismo italiano, di formazione
letteraria e politica insieme. La mancanza di un mercato editoriale puro ha
prodotto un’anarchia antimeritocratica all’interno della professione: se da un
lato l’istituzionalizzazione per mezzo dell’Ordine appare la conferma di una
manovra di stato, che sottolinea la dipendenza politica dei cronisti, dall’altro ha
infarcito la categoria di professionisti solo sulla carta, ovvero di lavoratori senza
delle qualifiche valide in campo accademico. Le scuole di giornalismo, prima su
tutte l’Ifg di Milano, hanno costituito, a partire dalla crisi economica della
stampa degli anni ’60, una valida realtà formativa. Le scuole hanno risposto alla
necessità degli editori e dei lettori, del mercato inteso nella sua accezione di
domanda e offerta, di fornire un professionista in grado di plasmare un prodotto
qualitativamente elevato, che fosse preparato ad affrontare le sfide della
modernità e della tecnologia. Non a caso le scuole di giornalismo vengono
indicate da più parti come vere e proprie “fabbriche di occupati”.
Gli anni ’80 hanno determinato la trasformazione, dopo l’impaludamento degli
anni precedenti, del mondo editoriale in un vero e proprio sistema economico
sottoposto alle regole del mercato. Non più testate comprate e vendute sullo
scacchiere della politica, bensì la nascita di un regime concorrenziale sottoposto
all’impietoso, necessario, tornaconto di bilancio. Complici da un lato gli aiuti di
Stato, dall’altro il diluvio pubblicitario, il panorama dei media italiani esplode in
una pletora di declinazioni: non solo la carta stampata, le nuove tecnologie
determinano tutta una serie di giornalismi, quello della tv, della radio, di
internet, e lo stesso concetto di professionista dell’informazione assume diverse
sfaccettature.
Il mondo accademico ne prende coscienza e, seppur con notevole ritardo,
l’Università di Siena istituisce i primi corsi in Scienze della Comunicazione atti
a formare il comunicatore, una figura professionale in grado di destreggiarsi nel
nuovo e complesso assetto delle comunicazioni di massa in Italia. Anche i
giornalisti, dal canto loro, cominciano oggi a comprendere la necessità di