vastità del tema, della normativa che nel
tempo è stata predisposta dal nostro
legislatore.
Incominciando dalla definizione di
federalismo fiscale, v'è da dire che la stessa
espressione suscita forti ambiguità, in quanto,
mentre negli Stati Uniti le istituzioni si dicono
federali quando sono alle dipendenze del
Governo centrale, in Italia tale espressione è
stata assunta a simbolo del localismo della
tassazione. È possibile, infatti, avere tributi
locali introdotti dagli stessi enti locali, come
anche tributi gestiti dagli enti locali, ma
introdotti con leggi statali, che fissano margini
di scelta per gli enti locali in ordine alle
aliquote, alle detrazioni e simili. Tuttavia, i
principali tributi locali attualmente in vigore
in Italia, sono introdotti con leggi statali.
Per gli enti territoriali minori, ed in
particolare per le Regioni, l'autonomia
finanziaria costituisce la necessaria premessa
per lo svolgimento di quell'autonomo potere
di indirizzo politico e politico-amministrativo
nel quale consiste l'autonomia locale garantita
dalle norme costituzionali. Infatti, non è
concepibile alcuno sviluppo dell'autonomia
politica dell'ente locale senza una sufficiente
predisposizione di mezzi e di libertà di spesa.
Dopo aver dato una definizione del
federalismo fiscale, verranno analizzate le
riforme che nel corso degli anni novanta sono
state approntate, come detto dal legislatore; è
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proprio in questi anni, infatti che il tema è
venuto maggiormente alla luce.
Un progetto innovativo per l’attuazione
di un nuovo ordinamento della finanza locale
ha avuto inizio con la legge n. 142/90, che ha
segnato un passaggio importante nell’ambito
della finanza locale. Il ruolo di “autonomie”,
riconosciuto in linea di principio agli enti
locali secondo l'impianto della legge n. 142/90,
doveva essere sostanziato all’individuazione
delle risorse necessarie per la sua piena
attuazione: individuazione, che prende corpo
nel Capo XIV della legge, intitolato “Finanza e
contabilità”. In seguito, con la legge n.
421/1992, il Parlamento ha delegato il
Governo a porre in essere “la
razionalizzazione e la revisione delle
discipline in materia di sanità, di pubblico
impiego, di previdenza e di finanza
territoriale”. Con la legge delega n. 133 del 13
maggio 1999, recante “Disposizioni in materia
di perequazione, razionalizzazione e
federalismo fiscale”, ed attuata dal Governo
mediante il d.lgs. n. 56 del 2000, è iniziata
un'ulteriore fase dell'evoluzione legislativa del
finanziamento delle autonomie regionali.
Questa riforma si poneva nell’ottica della
razionalizzazione della finanza regionale ed
introduceva un nuovo modello di
finanziamento regionale mediante un sistema
di compartecipazioni e di addizionali ai tributi
erariali e, questione di particolare importanza,
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un nuovo modello di perequazione.
La scelta del legislatore degli anni '90 ha
posto in primo piano alcuni elementi di
fondamentale importanza, in quanto essi si
riflettono sull’espressione concreta di valori,
princìpi e diritti costituzionali: da un lato,
l’affermazione del principio di autonomia
decisionale in capo al soggetto di Governo
regionale e, dall’altro, il contemperamento del
principio di solidarietà, dalla cui effettiva
realizzazione dipende, per esempio, un
principio fondamentale della persona, qual è
la tutela del diritto fondamentale alla salute da
parte dello Stato.
In breve, ciò che va posto in rilievo è la
tendenza, impressa dalla riforma degli anni
'90, a territorializzare le risorse finanziarie, con la
conseguente riduzione delle risorse statali
disponibili a realizzare in modo effettivo il
principio di solidarietà. Poiché il garante della
solidarietà territoriale rimane lo Stato e la via
più caratteristica per concretizzarla è quella
della spesa pubblica nelle Regioni che, per il
loro minore livello di sviluppo e la loro minore
capacità di generare reddito, ne hanno
maggiore necessità. Una spesa pubblica che, in
prospettiva, tende a ridursi alle entrate
tributarie proprie di ciascuna Regione, che, in
ultima analisi, potrebbe impedire allo Stato,
garante della solidarietà, di disporre dei fondi
necessari per concretizzarla.
Per concludere la prima parte del lavoro,
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verrà analizzato e commentato, attraverso il
contributo della dottrina, l'art. 119 della
Costituzione, il quale è stato oggetto di
riforma nel 2001, date le incerte disposizioni in
esso contenute.
Infatti, la disciplina della finanza locale,
seppur concepita come materia di autonomia,
come faceva l'art. 119 Cost., vecchio testo, con
la sua quasi solenne determinazione di
apertura, rappresentava una ferita, per come
elaborata in passato, nei confronti
dell'autonomia della Regione, così come di
quella delle Province e dei Comuni.
La seconda parte del presente lavoro
avrà come oggetto il federalismo fiscale prima
della riforma dell'art. 119 Cost., ed in
particolare, verranno analizzate più
compiutamente le riforme degli anni novanta,
la legge delega n. 133 del 1999, il d.lgs. n.
56/2000, recante “Disposizioni in tema di
federalismo fiscale”, e per concludere, le
motivazioni essenziali dello stesso federalismo
fiscale.
Nella terza ed ultima parte, verrà
analizzata la più recente normativa alla luce
della riforma dell'art. 119 della Costituzione.
In particolare, verranno prese
sommariamente in esame le varie proposte sul
tema in esame, sviluppatesi all'interno, non
solo del mondo politico-istituzionale (come la
proposta del Governo Prodi o quella della
Regione Lombardia), ma anche all'interno di
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alcune delle più importanti istituzioni di
formazione e consulenza (come la proposta
Svimez ed Astrid).
In conclusione, oggetto del presente
lavoro sarà il disegno di legge delega
Calderoli, dal nome del Ministro proponente.
Tale d.d.l., il n. 1117/2008 si struttura su
alcuni punti fondamentali: delinea, prima di
tutto, una serie di princìpi e criteri direttivi di
carattere generale, diretti a informare lo
sviluppo dell'intero sistema di federalismo
fiscale. Si tratta, per la maggior parte, di
princìpi di coordinamento e di soluzioni in
tema di perequazione che hanno ottenuto
un'ampia e Comune condivisione all'interno
degli studi e delle elaborazioni dottrinali, già
richiamate in precedenza. Nel d.d.l. si prevede
un adeguato livello di flessibilità fiscale nello
sviluppo del disegno complessivo attraverso la
previsione di un paniere di tributi propri e
compartecipazioni, la cui composizione è
rappresentata in misura rilevante da tributi
manovrabili, in un contesto dove viene
tuttavia ribadita l'esigenza della
semplificazione, della riduzione degli
adempimenti a carico dei contribuenti,
l'efficienza nell'amministrazione dei tributi, la
razionalità e coerenza dei singoli tributi e del
sistema nel suo complesso.
In tal modo si garantisce, in modo
ordinato, sia la responsabilizzazione
finanziaria delle Regioni e degli enti locali sia
11
la possibilità di sviluppare, a livello regionale
e locale, politiche economiche anche attraverso
la leva fiscale, dirette a permettere la piena
valorizzazione, ad esempio anche attraverso
speciali esenzioni, deduzioni e agevolazioni,
delle risorse presenti sui territori. Si tratta di
un'ottica di applicazione della sussidiarietà
fiscale che permette ai territori di incentivare
le loro vocazioni e i loro punti di forza,
offrendo una possibilità di intervento mirata,
che non sarebbe allo stesso modo possibile con
misure adottate in modo uniforme sul
territorio nazionale dal livello centrale.
Autonomia e responsabilità sono quindi,
nell'ottica del disegno di legge Calderoli,
virtuosamente congiunte, valorizzando la
possibilità di razionalizzazione della spesa e il
controllo democratico degli elettori locali.
Come segnalato da attenta dottrina, c'è molto
bisogno di ciò, altrimenti il federalismo come
quello voluto dalla riforma costituzionale del
2001, che ha decentrato forti competenze
legislative, se permane uno schema di finanza
derivata, rischia di lasciare il Paese a metà del
guado, nella peggiore delle situazioni possibili
dove lo Stato non si ridimensiona e Regioni ed
enti locali non si responsabilizzano. A questa
situazione di stallo, quindi, il federalismo
fiscale sembra essere l'antidoto adatto.
Il disegno di legge delega fissa, quindi, il
quadro istituzionale dei rapporti finanziari tra
i vari livelli di Governo, stabilendo in
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particolare l'avvio di un percorso graduale,
caratterizzato da una fase transitoria, volta a
restituire razionalità alla distribuzione delle
risorse, rendendola coerente con il costo
standard delle prestazioni erogate. Per mettere
a frutto le potenzialità positive del
federalismo, viene infatti disposto il graduale
superamento, per tutti i livelli istituzionali, del
criterio della spesa storica, che va a sostanziale
vantaggio degli enti meno efficienti e favorisce
la deresponsabilizzazione.
Con il nuovo disegno di legge sul
federalismo fiscale, un ruolo importante è
assegnato ad un organo di coordinamento, la
Conferenza per il coordinamento della finanza
pubblica, composta da rappresentanti tecnici e
politici di tutti i livelli istituzionali, la quale è
chiamata non solo ad elaborare tutti gli
elementi conoscitivi utili alla predisposizione
dei decreti legislativi, ma anche a monitorare
costantemente il corretto utilizzo del fondo
perequativo secondo princìpi di efficienza ed
efficacia. Da questo punto di vista, si introduce
una forma di monitoraggio multilaterale che
può far leva sul contrasto di interessi fra le
Regioni che finanziano il fondo perequativo e
le Regioni che ricevono i contributi
perequativi, in quanto le prime hanno
interesse, se non ad alimentare i trasferimenti
perequativi, perlomeno a sollecitare un
impiego produttivo dei fondi da parte delle
Regioni riceventi.
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Una seconda parte del disegno di legge
delega Calderoli riguarda l'assetto della
finanza delle Province e dei Comuni, ed in
particolare il ruolo di coordinamento svolto
dallo Stato e dalle Regioni, alle quali, secondo
la Costituzione, è affidata in materia una
competenza legislativa concorrente. La scelta
operata è quella di configurare un assetto della
finanza comunale dove viene attribuito un
ruolo determinante alle Regioni nel delineare
schemi concreti di coordinamento della
finanza dei Comuni, nel rispetto, per quanto
riguarda la perequazione, dei criteri generali
fissati nel disegno di legge delega, che
costruiscono quindi una opportuna garanzia
per gli enti locali.
Puntando l'attenzione alle fonti di
finanziamento degli enti locali, vi è da rilevare
che nel d.d.l. n. 1117 si prevede che sia lo Stato
ad individuare i tributi propri dei Comuni e
delle Province; definire i presupposti, soggetti
passivi e basi imponibili; stabilirne le aliquote
di riferimento valide per tutto il territorio
nazionale.
Secondo la proposta del Ministro
Calderoli, alle Regioni, nell'ambito dei loro
poteri legislativi in materia tributaria, in ogni
caso è riconosciuta la potestà di istituire nuovi
tributi comunali e Provinciali nel proprio
territorio, specificando gli ambiti di autonomia
riconosciuti agli enti locali, sempre senza
insistere su basi imponibili già coperte
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dall'imposizione statale. In tal modo il
finanziamento per gli enti locali delle funzioni
fondamentali e dei livelli essenziali delle
prestazioni da esse implicate, avviene in base
alla capacità fiscale e al costo standard ed è
assicurato dai tributi propri, dalle
compartecipazioni al gettito di tributi erariali
regionali e dal fondo perequativo. Gli enti
locali, comunque, dispongono in ogni caso del
potere di modificare le aliquote dei tributi loro
attribuiti dalle leggi, nonché di introdurre
agevolazioni, entro i limiti fissati dalle stesse
leggi. Agli enti locali, inoltre, è riconosciuta,
nel rispetto delle normative di settore, una
piena autonomia nella fissazione delle tariffe
per prestazioni o servizi offerti anche su
richiesta di singoli cittadini.
In conclusione di lavoro, verrà aperta
una breve finestra sul dibattito che ha investito
il mondo politico e l'opinione pubblica italiana
sul nuovo disegno di legge delega, stante,
come detto in precedenza il rilievo
fondamentale di tale materia.
V'è da dire, comunque, che molti segnali
sembrano confermare che la definizione della
normativa legislativa di attuazione dell'art. 119
della Costituzione, da lungo tempo attesa al
fine di dare pieno ed effettivo significato al
decentramento degli assetti pubblici delineato
con la riforma del 2001, sia oramai avviata ad
una fase decisiva. Lo stesso clima politico ed
istituzionale sembra favorevole al
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