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INTRODUZIONE
Il tema della gestione della diversità sta acquista ndo sempre maggiore importanza in un
momento come questo in cui i fattori economici, com e l’internalizzazione delle aziende e la
globalizzazione dei mercati, da un lato, e importan ti eventi sociali, come le migrazioni e la
femminilizzazione del mercato del lavoro, dall’altr o, hanno prodotto una forza lavoro diversa
per genere, cultura, religione, spingendo le organi zzazioni ad affrontare le problematiche le-
gate alla diversità.
Il tema dell’ uguaglianza è da tempo efficacemente cristallizzato nella dottrina delle Pari Op-
portunità, mentre il concetto di diversità irrompe nelle organizzazioni nordamericane solo
negli anni ’80, nel momento in cui l’ Hudson Instit ute pubblica dei dati sulla composizione
etnica della forza lavoro U.S.A. degli anni 2000. I dati spingono le maggiori organizzazioni ad
una totale revisione delle proprie politiche di ges tione delle risorse umane ormai totalmente
obsolete nei confronti di una forza-lavoro sempre p iù eterogenea, sia culturalmente che et-
nicamente.
Primi a sentire l’esigenza di gestire le diversità, non solo nelle organizzazioni ma anche nella
società, sono gli Stati Uniti. Recentemente, però, il problema della gestione della diversità ha
cominciato a farsi sentire anche in Europa. Risulta importante quindi essere in grado di valu-
tare quali siano gli aspetti principali della diver sità, in quale modo essa impatti sulla perfor-
mance delle aziende e come possa essere gestita per ottenere i migliori risultati possibili.
Il Diversity Management focalizza l’attenzione mana geriale sui contributi specifici e sulle esi-
genze soggettive di ciascun dipendente, smettendo d i considerare le risorse umane come un
insieme indifferenziato di individui.
Numerosi sono i fenomeni che hanno portato a profon di cambiamenti nelle modalità di or-
ganizzazione e di funzionamento delle aziende: l'au mento della competizione, la corsa all'in-
novazione tecnologica, l'intensificazione dei proce ssi di fusione e di integrazione, la progres-
siva caduta dei tradizionali confini geografici e d i settore, la diversificazione delle esigenze e
dei bisogni della clientela, il passaggio dalle log iche di prodotto a quelle di servizio, sono solo
alcuni dei fattori che hanno portato le organizzazi oni ad intraprendere processi di cambia-
mento. Processi che, naturalmente, possono essere d i natura differente ma che guidano il
cambiamento verso un'organizzazione centrata sull'i ndividuo, sulla persona come fattore
chiave per il suo successo competitivo.
Se dunque il capitale umano costituisce il valore s pecifico e irripetibile di ciascuna impresa,
ne consegue la necessità di una sua corretta gestio ne, attraverso la valorizzazione del poten-
ziale e delle attitudini detenute dalle persone, fa cendo leva sulla loro motivazione.'Putting
people first' , sintetizza questa strategia orienta ta all’ implementazione di un set di politiche
e di meccanismi di gestione in grado di far emerger e e tutelare il patrimonio posseduto dalle
persone.
L'efficace gestione delle risorse umane diventa dif atti un punto fondamentale per la creazio-
ne di un reale e duraturo vantaggio competitivo del sistema organizzativo: in questo senso,
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diventa oggi cruciale per le imprese, limitare da u n lato il turn-over a livello fisiologico so-
prattutto per alcune fasce critiche di lavoratori a l fine di consolidare l'apprendimento orga-
nizzativo; dall'altro, identificare nuove modalità per sostenere le motivazioni dei propri col-
laboratori e raccoglierne l'impegno e il consenso v erso i valori e le strategie aziendali. Il Di-
versity Management ripropone la sfida della central ità dell’individuo nella gestione delle ri-
sorse umane, fornendo strumenti per declinare opera tivamente il principio secondo cui le
persone rappresentano il più importante patrimonio di un’impresa. Questo approccio sotto-
linea la stretta connessione esistente tra la perfo mance aziendale e la gestione del personale
in un’ottica di valorizzazione delle differenze.
Ciò premesso, questo lavoro si propone di individua re gli elementi fondamentali del concet-
to di Diversity Management, come approccio orientat o a valorizzare, traendone profitto, la
crescente diversificazione delle risorse umane all’ interno delle organizzazione. Obiettivo del-
lo studio è quello di capire se alla vasta letterat ura presente sul Diversity Management, cor-
risponde un’ altrettanto vasta applicazione e imple mentazione di politiche rivolte alla diver-
sità, da parte delle organizzazioni.
In tal senso nei primi capitoli di questa ricerca s i tenta innanzitutto una ricognizione della let-
teratura sul diversity management, partendo dal con testo in cui questo approccio viene a
crearsi: le Risorse Umane. Si descrive l’evoluzione delle Risorse Umane, e si seguono le tappe
che hanno portato alla nascita del Diversity Manage ment. Si evidenziando i contributi più
importanti, e si descrive Il Framework Process mode llo di base, di carattere descrittivo che
evidenzia i passaggi chiave che le diverse aziende, nonostante le forti disparità nella proget-
tazione e nell’implementazione dei programmi, hanno tutte attraversato. Il modello è pro-
posto da Barabino, Jacobs e Maggio. Vengono, nel ca pitolo a seguire, descritti quattro mo-
delli forniti da autori, organizzazioni no profit, società di consulenza ed istituti di ricerca, i
quali mirano ad implementare politiche di Diversity Management all’interno delle organizza-
zioni. In fine si cerca di analizzare quali sono le aree comuni di questi approcci.
Nell’ultimo capitolo si prenderanno in considerazio ne gli strumenti citati in questi modelli,
per capire quali di questi sono utilizzati dalle az iende analizzate (Riscossa, De Cecco, Filanto,
Natuzzi, OM-MH Carrelli Elevatori) e quali invece n on lo sono.
Partendo dal presupposto, che Il concetto di Divers ità in azienda, acquista significato nel
momento in cui le azienda avviano programmi rivolti all’implementazione della stessa, appa-
re evidente che il contributo operativo e tangibile viene dato dalle aziende che hanno già av-
viato tali programmi. Per questo motivo vengono cit ati sette casi di aziende, estere ed italia-
ne, che si sono impegnate con progetti rivolti ad i ntegrare la diversità.
La questione del Diversity Management, rimanda all’ eterogeneità dei team all’interno delle
organizzazioni. Nel capitolo a seguire si espongono i maggiori contributi che la letteratura
fornisce sulla cultura organizzativa Analizzando i contributi teorici rintracciabili nella lettera-
tura riguardo all’eterogeneità all’interno dei grup pi di lavoro, si cerca di individuare se gruppi
con una composizione interna eterogenea sono o meno più strategici in termini di perfor-
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mance, rispetto a quelli omogenei. Seguono le motiv azioni, e punti di vista di diversi autori,
che portano a considerare l’eterogeneità dei team c ome un vero e proprio vantaggio compe-
titivo, in termini di performance.
Segue il capitolo dedicato alla metodologia utilizz ata per analizzare le realtà aziendali: Ri-
scossa, De Cecco, Filanto, Natuzzi, Om-MH Carrelli Elevatori di Bari. L’analisi e finalizzata a
capire se le realtà sono sensibili al tema della di versità, e quali sono gli strumenti utilizzati a
favore della stessa.
La scelta di analizzare queste realtà aziendali, ch e si sono identificate come realtà collocate
nel sud - est Italiano, parte dal presupposto che i n realtà collocate al nord (Lombardia, Pie-
monte, Veneto ma anche Emilia Romagna), seppur in r itardo rispetto al contesto Europeo, si
sono già avviate Politiche di Diversity Management, nelle grandi organizzazioni ma anche
nelle piccole e medie imprese (PMI). Ci si chiede s e i presupposti affinché, tali politiche di Di-
versity Management, siano presenti anche nel contes to esaminato, e come le aziende si sia-
no orientate per implementarle.
Attraverso l’invio di una griglia di osservazione a i Direttori delle Risorse Umane delle aziende
esaminate, si è cercato di capire se i presupposti di cui si parlava, siano presenti. Uno di que-
sti è dato dall’eterogeneità all’interno della forz a lavoro presente nelle aziende.
L’osservazione dei dati sviluppati attraverso la co mpilazione della griglia di osservazione, ha
permesso di capire quale sia la situazione attuale nel contesto indicato, quali strumenti ven-
gono usati nei confronti dei dipendenti ed il livel lo di preparazioni circa la tematica del Diver-
sity Management.
Il capitolo finale è dedicato alle conclusioni, qui si tracciano le linee riassuntive dei risultati
ottenuti dall’esplorazione delle realtà aziendali s u citate.
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1. HUMAN RESOURCES E KNOWLEDGE MANAGEMENT
In questo capitolo si analizzano gli approcci allo Human Resources Management, cercando di
definire il contesto culturale entro cui si svilupp a il diversity management.
E’ la conoscenza degli individui che fanno parte de lle organizzazioni, il nuovo totem invocato
dagli analisti per imporre un generale rinnovamento delle leve di gestione e sviluppo del per-
sonale.
Il popolo delle organizzazioni, è composto da perso ne, sempre meno catalogabili, assai meno
riconoscibili di prima, diverse tra di loro e che i mpongono un generale ripensamento delle
strategie.
La mission di questo capitolo è allora descrivere:
• le sfide che lo human resource management si trova ad affrontare in questi anni;
• illustrare più chiaramente possibile il contesto or ganizzativo entro cui si sviluppa
l’approccio del Diversity Management.
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1.1 Evoluzione nelle organizzazioni.
A. Maslow: “ Se l’unico arnese della tua cassetta è un
martello, molte cose cominceranno ad apparire simil i a chiodi ”
L’ambito delle risorse umane è il contesto all’inte rno del quale nasce la gestione della diver-
sità. Nell’attuale contesto tecnologico e produttiv o,si è compreso che le risorse in grado di
determinare il successo delle organizzazioni e assi curare il raggiungimento degli obiettivi di
miglioramento non sono quelle di tipo materiale, be nsì le risorse umane, le quali hanno il
potere di operare la differenza e potenziare la com petitività.
L’information technology e il superamento del model lo dell’ economia di scala tramite la
flessibilità strategico-gestionale hanno radicalmen te mutato l’orizzonte, le imprese perdono
sempre di più una propria riconoscibile identità, o bbligate come sono ad una costante de-
strutturazione dei propri luoghi e tempi produttivi . Si diffondono allora fenomeni di terziariz-
zazione delle attività ritenute non centrali e si f ormano progressivamente sempre più unità
produttive inscindibilmente legate ad altre, in pia tte ragnatele dalla problematica interpre-
tazione. Eppure mai come in questo periodo storico, contraddistinto dalla pervasività della
tecnologia e dalla continua ricerca dell’innovazion e, diventa essenziale la fase ideativa più
che quella produttiva nel ciclo di vita di un impre sa.
In tale panorama, è il capitale umano ad esser nece ssariamente sempre più centrale, le per-
sone sono e diventeranno sempre più la risorsa più importante dell’impresa, perché unici
soggetti, fino a prova contraria, in grado di conos cere nel senso più completo del termine. Ed
è proprio questa unicità di conoscenze, di esperien ze e di emozioni che dovrebbe essere va-
lorizzata adottando gli strumenti che di volta in v olta la tecnologia ed il buon senso rendono
disponibili. Il capitale intellettuale, insieme a q uello finanziario, concorre alla formazione del
valore d’impresa, rappresenta le risorse intangibil i dell’organizzazione e costituisce la fonte
fondamentale della differenza tra il valore di merc ato della struttura ed il suo mero valore
contabile.
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Il capitale intellettuale è costituito da tre eleme nti fondamentali:
• Il capitale organizzativo
• Il capitale relazionale
• Il capitale umano, il quale comprende le competenze , la capacità propositiva e di re-
lazione, i valori interiorizzati e praticati dal pe rsonale.
L’obiettivo fondamentale delle direzioni risorse um ane è la gestione del personale. Per ge-
stione del personale s’intendono un insieme di proc essi finalizzati alla trasformazione con-
sensuale dei comportamenti all’interno delle strutt ure di riferimento, per renderli coerenti
con obiettivi del sistema organizzativo e del benes sere delle persone, in funzione delle con-
dizioni delle organizzazioni, del contesto in cui o perano, dei loro fattori di successo e delle
richieste e necessità delle donne e degli uomini ch e animano le organizzazioni stesse .
Dagli anni ‘90 in poi si verifica nell’ambito dello Human Resources Management, un graduale
ripensamento delle politiche di gestione e sviluppo del personale. La valorizzazione del capi-
tale umano non era infatti mai stata l’ obiettivo p rimario per le imprese orientate ai risultati,
ed occorreva invece ripensare a come si diffondono le competenze coerentemente con
quanto richiesto dal nuovo paradigma del Knowledge Management.
Secondo questo approccio la conoscenza non va consi derata unicamente come il possesso di
dati ed informazioni quantificabili, è infatti molt o più cruciale in sede di miglioramento quali-
tativo dell’organizzazione, considerare anche una d imensione cognitiva più soggettiva, fatta
di schemi mentali, emozioni, sensazioni, permeata i nsomma dalla nostra immagine della vi-
ta. Knowledge Management significa allora “identifi care gestire e valorizzare cosa
l’organizzazione sa o potrebbe sapere, abilità ed e sperienze delle persone, archivi e docu-
menti delle biblioteche relazione con clienti e for nitori e altri materiali archiviati in database
elettronici”. Questo fondamentale processo di inter azione tra conoscenza tacita, quella più
personale e nascosta e conoscenza esplicita, il sap ere codificato nelle procedure standard, è
stata efficacemente descritta da Nonaka e Takeuchi
1
come una spirale in grado di trasfor-
mare un’azienda in una vera e propria learning orga nization in grado di combinare incessan-
temente know-how individuale ed interorganizzativo.
Ikujiro Nonaka è forse l’ unico studioso che, in vi rtù di un semplice modello esplicativo, ha
attribuito piena valenza manageriale alla gestione della conoscenza e ha contribuito decisa-
1
Nonaka, I. & Takeuchi, The Knowledge creating compa ny, Milano, Guerini, 1997
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mente al passaggio del tema della conoscenza dalla fase di ricerca accademica a quella di
concreta diffusione nelle prassi manageriali. L’aut ore ha elaborato un modello della gestione
della conoscenza in azienda poi utilizzato da molti altri studiosi. Le ipotesi base riprese anche
da altre teorie sono:
- le conoscenze in azienda sono distribuite tra gli individui e in buona parte esistono so-
lo in forma tacita;
- devono essere integrate per consentire la gestion e e tale integrazione richiede una
forma di diffusione delle conoscenze individuali tr a soggetti diversi;
- l’integrazione e la diffusione contribuiscono in modo determinante alla creazione di
nuova conoscenza originata dalla ricombinazione con oscitiva che sorge a seguito
delle interazioni soggettive;
- il contesto sociale fornito dal lavoro comune è u n presupposto determinante per
l’esplicazione del ciclo.
Su tali ipotesi elabora una teoria: ogni processo d i sviluppo di prodotti e quindi ogni innova-
zione deliberata dal management richiede prima di t utto la creazione e successivamente la
gestione delle conoscenze alla base dei comportamen ti desiderati; poi tale gestione porta a
considerare la conoscenza tacita e l’esplicita come due fasi dello stesso ciclo di sviluppo. In-
fatti Nonaka descrive il ciclo di creazione della c onoscenza composto da quattro fasi:
1. socialization (da implicita a implicita): la conoscenza tacita vi ene trasmessa in modo in-
formale, attraverso l’osservazione diretta, la cond ivisione di esperienze e lo sfruttamento di
meccanismi operativi di gestione del personale, dag li operatori che le hanno sviluppate ad
altri in grado di manipolarle, quindi dotati di com petenze tecniche e comunicative necessarie
per esplicitarle, mantenendo però la forma tacita. Con la diffusione si evitano così i rischi in
cui incorrerebbero le conoscenze confinate nella me nte degli operatori, quali il rischio di
perdita all’uscita del soggetto dall’azienda e quel lo di mancata attivazione se il possessore
non condivide gli orientamenti gestionali dell’azio ne da intraprendere.
2. articulation (da implicita a esplicita): questi soggetti sono po i chiamati a esplicitare le co-
noscenze trasmesse, trasponendole in un codice form ale. E’ l’esteriorizzazione: l’espressione
della conoscenza tacita attraverso concetti esplici ti, assumendo forma di metafora, analogia,
concetto, ipotesi o modello. Ne fanno parte sia la codificazione delle conoscenze prima ap-
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prese in forma tacita sia la valutazione di precede nti progetti per estrapolarne le soluzioni
rilevatesi migliori.
Tale modalità costituisce più delle altre la chiave alla creazione di conoscenza perché crea
concetti nuovi e espliciti a partire dalla conoscen za tacita, attraverso la traduzione di perce-
zioni e modelli mentali, credenze ed esperienze, in forma comunicabile e trasmissibile grazie
ad un linguaggio articolato.
3. combination (da esplicita a esplicita): le conoscenze così espl icitate vanno ulteriormente
elaborate e diffuse su larga scala. Si diffondono c osì, entro gruppi di ricerca, delle conoscen-
ze già esplicitate dagli originari possessori. Cons iste nella riconfigurazione delle conoscenze
esistenti attraverso lo smistamento, l’aggiunta, la combinazione e la categorizzazione di co-
noscenze esplicite. Il management intermedio svolge un ruolo importante nella creazione di
nuovi concetti dalla diffusione di informazioni e c onoscenze codificate. L’impiego creativo
delle reti informatiche di comunicazione e dei data base su larga scala facilita questa modali-
tà di conversione di conoscenza. Anche il top manag ement ha il suo ruolo combinando e in-
tegrando in concetti generali (vision d’impresa) co ncetti di medio rango (concetti di prodot-
to), integrazione che fa assumere un nuovo signific ato ai grandi concetti .
4. internalization (da esplicita a implicita): occorre un’ulteriore in ternazionalizzazione delle
conoscenze elaborate, affinché gli operatori chiama ti ad applicarle possano tradurre concre-
tamente le nuove capacità. Quando vengono interiori zzate nelle basi di conoscenza tacita
dell’individuo in forma di modelli mentali condivis i o di know how tecnico, le esperienze ma-
turate attraverso la socializzazione, l’esteriorizz azione e la combinazione divengono beni uti-
li. La presenza di una documentazione aiuta gli ind ividui a interiorizzare la loro esperienza e
ad arricchire così la loro conoscenza tacita, inolt re facilita la trasmissione della conoscenza
esplicita ad altri soggetti aiutandoli a vivere le esperienze altrui in forma diretta (ri-
esperienza reale delle esperienze altrui o apprendi mento dall’esperienza). Possono quindi
derivarne nuovi apprendimenti fondati sull’esperien za in grado di rialimentare il circuito
suddetto .
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Fig.1 Circuito della conoscenza
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Ognuna di queste fasi crea nuova conoscenza; tuttav ia nel caso della combinazione pura
l’assenza di coinvolgimento e di valutazioni person ali sulla conoscenza (rimanendo
nell’ambito della conoscenza esplicita) potrebbe pr odurre un’interpretazione superficiale
della conoscenza esistente, mentre con la socializz azione pura si crea conoscenza ch poi po-
trebbe essere anche difficile condividere con altri , risultando di scarsa applicazione in campi
diversi dal contesto in cui fu creata. Le quattro m odalità costituiscono quindi processi tra lo-
ro complementari ed interdipendenti. La modalità di socializzazione inizia con la creazione di
un team che faciliti lo scambio di esperienze e pun ti di vista tra i membri. L’esteriorizzazione
è poi innescata da cicli successivi di dialoghi, da riflessioni collettive in cui l’utilizzo di metafo -
re o analogie idonee aiuta i membri del team ad esp licitare conoscenze tacite, nascoste, al-
trimenti difficili da comunicare. Così una volta ch e un gruppo ha espresso un concetto esso
viene combinato con i dati e la conoscenza al di fu ori del gruppo, in modo da articolarlo in
termini specifici più concreti e condivisibili. Que sta modalità combinatoria è agevolata da
spunti quali il collegamento dei membri del gruppo con altri reparti dell’organizzazione che
consente la messa in rete di nuove conoscenze ecc. Alla fine di questo processo per prove e
errori la conoscenza sarà acquisita o cristallizzat a in prodotti, servizi o sistemi di gestione in-
novativi. Tale sperimentazione incentiva l’interior izzazione tramite il learning by doing ovve-
ro “l’apprendimento attraverso l’esperienza”.
La creazione di conoscenza consiste in una serie di processi dinamici attraverso tutte e quat-
tro le modalità di conversioni viste. La conoscenza implicita individuale è alla base della co-
noscenza organizzativa, che deve mobilitare la prim a amplificandola nell’organizzazione
tramite queste modalità e cristallizzandola a livel li superiori a quelli individuali. E’ la cosid-
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Nonaka, I. e Takeuchi, ibidem
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detta “spirale della conoscenza”: la creazione di c onoscenza è un processo a spirale crescen-
te, che ha inizio a livello individuale, passa poi a un livello collettivo, di gruppo, e quindi a
quello organizzativo, fino a volte a quello interor ganizzativo. L’interazione tra conoscenza ta-
cita e esplicita è sempre maggiore man mano che si procede lungo la dimensione ontologica,
cioè dal livello individuale proseguendo poi coinvo lgendo comunità sempre più ampie di in-
terazione, attraversando i confini di dipartimento, di divisione e dell’organizzazione stessa .
Per questo, conoscenza tacita e esplicita non posso no essere considerate entità assoluta-
mente separate, essendo piuttosto dimensioni mutuam ente complementari che interagi-
scono tra loro in un continuo interscambio nelle at tività creative degli esseri umani. Tale
modello dinamico si basa sul presupposto per cui la conoscenza umana si crea e si diffonde
attraverso l’interazione sociale tra conoscenza tac ita e esplicita. E’ un processo sociale di
conversione della conoscenza, di natura interattiva e con sviluppo a spirale, che avviene tra
individui e esula dai confini interiori della singo la persona .
Questo complesso ciclo consente di evidenziare alcu ni aspetti fondamentali:
- tra conoscenze esplicite e tacite vi è un continu o interscambio;
- tale interscambio è finalizzato a trasformare app rendimenti individuali in organizzativi;
- il suo svolgimento non è automatico, ma richiede il consapevole concorso di diversi
meccanismi operativi relativi alla gestione del per sonale, alla rotazione delle mansioni,
al sistema informativo.
La trasmissione della conoscenza e l’apprendimento vengono favoriti dalla spirale suddetta,
che conduce a un aumento della conoscenza di import anza significativa per l’azienda. Quindi
tale processo può essere interpretato secondo due d imensioni dipendenti: la circolarità tra
conoscenza tacita e esplicita (dimensione epistemol ogica) e il passaggio di conoscenza tra
diversi livelli organizzativi, a partire da quello del singolo individuo, passando poi a quello del
gruppo, all’organizzazione e per finire a quello in terorganizzativo (dimensione ontologica). In
quest’ultimo caso il Knowlodged Management ha l’obi ettivo di favorire le condizioni per uno
sviluppo della spirale del processo di creazione di conoscenza organizzativa.
Nel modello di Nonaka e Takeuchi l’esplicitazione è strumentale alla diffusione della cono-
scenza in azienda ma nella realtà la diffusione dip ende anche da altri fattori riconducibili ai
soggetti: la ricettività ovvero l’interesse del sin golo verso le conoscenze esplicitate, che di-
pende dalla conoscenza già esplicitata (maggiore è la conoscenza in un certo settore e più il