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vengono prodotte da centinaia di anni seguendo le stesse ricette; una storia che ha molti punti in
comune con quella del vetro delle bottiglie, da sempre ottenuto grazie alla fusione di silice e
altre sabbie 2. La birra è una bevanda di facile reperimento e rientra in quella categoria di
prodotti definiti commodities, ovvero a scarso coinvolgimento emotivo e razionale3 sui quali non
ci si ferma a riflettere più di tanto prima di effettuare l’acquisto, forse erroneamente convinti che
tutte le birre siano uguali e che differiscano tra loro solo per la bottiglia o per l’etichetta. Lungi
dal sostenere questa ipotesi ci siamo proposti di analizzare appunto le bottiglie di birra, e le
relative etichette, oggetto di impiego comune e forse anche per questo motivo sottovalutati, per
assodare come esse siano il primo veicolo per una distinzione portatrice di significati e valori
più profondi, spostando così i limiti dell’interpretazione ben oltre i confini segnati da un
contenitore di vetro e dal bordo cartaceo di una targhetta adesiva.
Un intero capitolo è dedicato a Beck’s. Questo è semplicemente dovuto al fatto che, a discapito
del suo essere un marchio relativamente giovane nel panorama tedesco che vanta birre di
abbazia commercializzate da secoli, è riuscita ad affermarsi come la birra tedesca più conosciuta
nonché a costruire attorno a sé una storia ampiamente documentata; in secondo luogo è di
particolare interesse il ruolo svolto dalla bottiglia di Beck’s negli spot delle due ultime
campagne pubblicitarie, specie in quella 2004 con la quale si addentra audacemente in un
provocatorio universo giovanile che la elegge a bevanda simbolo. La scelta delle quattro
francesi è dovuta al fatto che, avendo le birre prodotte in questa nazione l’abitudine di tacciarsi
come “birre speciali”, sorge spontanea la curiosità di andare a vedere come il concetto di
specialità viene veicolato dalle relative bottiglie e come questo sia abilmente supportato da
ambiguità linguistiche e visive. Il contributo richiesto alle bottiglie della birra italiana è
d’obbligo, invece, in quanto sono presenti nel mercato a noi più vicino e soprattutto perché il
marchio preso in esame mostra nei propri annunci la funzione rituale del bere birra in cui la
2
La leggenda vuole che il vetro sia stato “scoperto” grazie ad un fulmine che si abbatté su di una spiaggia; le alte
temperature sviluppatesi fecero sì che la sabbia si fondesse fino a formare un solido pezzo di un materiale
semitrasparente di cui l’uomo primitivo intuì le potenzialità. Altre versioni della storia vedono un falò creato
artificialmente in luogo del fulmine.
3
Per una trattazione esaustiva in merito grado di coinvolgimento di certe categorie merceologiche e sulla
realizzazione delle mappe percettive vedi Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie, a cura di M. Lombardi (2000)
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bottiglia è il principale strumento e perché ha adottato soluzioni tanto innovative quanto legate
alla tradizione.
Avremo modo di vedere nel dettaglio tutte le caratteristiche degli oggetti che abbiamo deciso di
indagare svelando nel contempo l’efficacia del contributo datoci dagli strumenti semiotici.
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2) Cos’è il Packaging
2.1. Le funzioni del packaging
La prima traduzione che possiamo dare del termine packaging potrebbe semplicemente essere
confezione o contenitore, rifacendoci così ad una mera interpretazione della funzione principale
di questa tipologia di oggetti. Secondo una nota frase, ripresa anche da Ferraresi, la confezione
di un determinato prodotto può essere definita come “nel prodotto tutto quanto non è il prodotto
stesso”4.
In realtà il packaging è molto di più. Esso è sì un oggetto che deve curare e proteggere il suo
contenuto ma allo stesso tempo lo deve anche mostrare quindi assolve altresì ad una funzione
comunicativa. Di fatto fino a pochi decenni fa la confezione di un prodotto non era altro che un
incartamento anonimo e grossolano preparato dal negoziante al fine di raccogliere la merce
sfusa; al massimo poteva consistere in una bottiglia che il cliente portava a far riempire al
negozio qualora il prodotto fosse stato interamente consumato. Praticamente il packaging inteso
come lo intendiamo oggi non esisteva e il prodotto era percepito anche in assenza di esso.
Il packaging ha visto nel corso degli anni il passaggio dall’anonimato all’identità, un’identità
chiaramente riconoscibile dai consumatori a causa dell’abnorme sviluppo della grande
distribuzione della conseguente moltiplicazione dei punti vendita, ove la merce è ammassata
sugli scaffali (più o meno ordinatamente) formando dei veri e propri muri, la cui osservazione al
fine di estrarre i “mattoni” più consoni spetta al consumatore: infatti, con l’avvento dei
supermercati e dei centri commerciali, la piccola bottega di paese ha visto relegata la sua
funzione a mero punto di rifornimento per i clienti più affezionati e legati alla tradizione, i quali
ancora si affidano nelle mani dell’esercente affinché incarti i prodotti o pure consegni loro i le
confezioni desiderate prendendole dallo scaffale dietro le sue spalle. Mentre, dunque, viene
meno la necessità di una guida che riconosca i prodotti per il consumatore, deve crescere il
livello di competenza linguistica che permetta agli utenti di attuare di propria iniziativa il
riconoscimento e l’acquisto della merce desiderata. Gli esercizi in cui non è ammessa la formula
4
Le Pack, BSN Imballage (1987)
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del selfservice sono ravvisabili a piccoli negozi di gastronomia – tutt’al più nei punti vendita
della grande distribuzione viene ad emergere la figura del promoter, “strumento” che guida i
potenziali clienti nel nebuloso mondo dei prodotti e delle loro variegate confezioni – pub,
birrerie e ristoranti in cui i prodotti vengono porti al consumatore. La capacità di riconoscere
univocamente una confezione, identificativa di una particolare marca, d’altra parte, però, vede
alcuni ostacoli di fronte a sé. Infatti molte imprese rendendosi conto di come si siano consolidati
certi marchi e come essi siano entrati a far parte del patrimonio comune delle conoscenze dei
consumatori, hanno ben pensato di richiamare sulle proprie confezioni caratteri tipografici e
schemi di colori, identici a quelli dei grandi marchi, spesso puntando a usare delle assonanze
con i nomi di questi.
Evidentemente si punta ad avere successo con un prodotto che viene scambiato per un altro a
causa della somiglianza tra packaging che non puntando su caratteristiche intrinseche del
prodotto che possono essere pure simili. È ormai appurato che le peculiarità di molti prodotti
sono fin troppo affini a causa della delegazione della quasi totalità delle fasi di produzione a
ditte semisconosciute le quali consegnano i beni finiti, privi solamente del marchio, che poi
viene apposto dall’impresa che ha commissionato il lavoro (in ambiti, tipo quello
dell’elettronica, si parla di prodotti OEM – original manufacturer equipment – destinati ad altri
produttori che se ne servono per confezionare ulteriori beni) privi di una confezione vera e
propria e di un marchio apposto su di essi). Abbiamo quindi dei prodotti (quasi) uguali dal punto
di vista chimico – fisico (gli alimenti sono realizzati con stessi ingredienti e hanno gusto,
consistenza, aspetto molto simili) che sono sì fungibili, ma il potere di un packaging
riconoscibile e riconosciuto, grazie al marchio che reca, fanno sì che vengano percepite più
differenze di quante ne siano effettivamente presenti. L’immagine pubblicitaria si proietta
direttamente sulla superficie esterna del packaging in quanto è necessario un alto grado di
coerenza visiva, di corrispondenza di tratti distintivi riconoscibili, tra ciò che viene mostrato e
ciò che poi i consumatori vedono e acquistano nei punti vendita. In alcuni casi abbiamo che
l’immagine esistente del packaging entra nell’annuncio pubblicitario e altri casi in cui è
l’immagine creata ad hoc per la pubblicità a divenire parte integrante dell’estetica della
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confezione. In entrambi i casi vi si riscontra la necessità di instaurare una continuità fra una
strategia creativa pubblicitaria e forme e colori di un oggetto costruito; spesso viene considerato
più che sufficiente un esplicito richiamo ai colori sociali presenti nel pack in altri oggetti
raffigurati negli annunci (es. il blu di Barilla o il “green friend” di Carlsberg). Ci sono tuttavia
casi in cui né il prodotto né tanto meno la rispettiva confezione vengono mostrati nei
commercial: solitamente si tratta di prodotti dei quali si preferisce mostrane gli effetti e per i
quali si spera di suscitare la curiosità dei potenziali consumatori invitandoli a ricercare la forma
che tali prodotti assumono e come vengono presentati dalla confezione sugli scaffali dei punti
vendita.
Oggigiorno l’aspetto comunicativo sta decisamente avendo il sopravvento e la confezione
diventa un oggetto di interesse tanto quanto il prodotto vero e proprio che è al suo interno. Il
packaging è il punto di contatto tra il consumatore e il prodotto nonché il primo mezzo a
disposizione dell’impresa per comunicare sé stessa e il proprio marchio. Ancora meglio: il
packaging si configura per il marketing come il primo filtro comunicativo attraverso il quale si
attivano i processi di percezione del prodotto da parte dell’utilizzatore5. Il packaging funziona
dunque da soglia semiotica6 che mette in comunicazione il consumatore con il prodotto: al
contempo racconta un altro oggetto (il prodotto) per un soggetto (il consumatore)7.
Ci veniamo quindi a trovare di fronte a dei prodotti che vengono scelti sia perché possiedono
determinate qualità sia perché i packaging a supporto di queste qualità riescono veicolare le
stesse in modo efficace e a comunicare aspetti meno tangibili dei prodotti in questione. Il
comportamento del consumatore moderno si palesa non solo attraverso l’impiego di alcuni
prodotti piuttosto che altri, ma anche attraverso una attività di consumo di segni e simboli8 dei
quali si serve per generare nuovi significati e/o valori; quindi l’atto dell’acquisto e consumo non
può più essere visto come un atto finale, l’ultimo passo della catena del valore, bensì come un
punto dal quale ricominciare e in funzione del quale programmare nuovi percorsi comunicativi.
Una confezione deve rispondere dunque ad una serie di esigenze comunicative e funzionali.
5
Pastore - Vernuccio, (2003)
6
Ferraresi, [1999:18]
7
Ferraresi, [1999:19]
8
Baudrillard, (1972) in Ferraresi, (1999)
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Le prime possono essere viste come dei bisogni di comunicare identità e valori da parte delle
imprese ma allo stesso tempo rispondono anche al desiderio dei consumatori di essere
adeguatamente informati: al designer spetta il compito di dare visibilità alle informazioni e
all’identità della marca curando l’estetica della confezione.
Le seconde riguardano le due proprietà fondamentali di ogni packaging visto con l’occhio del
designer: organizzare uno spazio interno e disporre lo spazio esterno. Quando parliamo di
disposizione dello spazio esterno ci riferiamo alla capacità di un oggetto, di relazionarsi con
altre occorrenze di oggetti (della stessa tipologia o meno) e con altri soggetti dando in un certo
qual modo la forma allo spazio che lo circonda nel magazzino, sugli scaffali o in una dispensa.
Per organizzazione dello spazio interno intendiamo, invece, la capacità della confezione di
accogliere al proprio interno il prodotto dandone la forma (nel caso di un liquido che si modella
sulla superficie interna del recipiente seguendone la foggia), compattandolo più o meno
intensamente (gomme da masticare, cereali, pasta) o organizzandolo in spazi interni più piccoli e
assegnando dei posti (cioccolatini). Mentre alcuni prodotti possono essere trasportati anche in
assenza della propria confezione, per i prodotti liquidi o dotati di un basso livello di viscosità, il
packaging si rivela più che essenziale in quanto ne permette il trasporto e la conservazione delle
caratteristiche proprie impedendone l’alterazione9, nonché conferisce la forma al contenuto.
Se identifichiamo il principale esempio di packaging per liquidi nella bottiglia in vetro, vediamo
che ci troviamo di fronte a un’altra peculiarità non indifferente, ovvero quella che consiste nel
mostrare (grazie alla trasparenza) la quantità effettivamente presente, la consistenza e il colore
(nel caso di una trasparenza totale) del contenuto.
2.2. La bottiglia: packaging primario
Prima di definire la categoria a cui appartiene la bottiglia è bene parlare di tutte e tre le macro
categorie in cui le confezioni possono essere suddivise: il packaging primario, il packaging
9
In realtà ogni confezione, sia essa per liquidi o per solidi, per alimenti o non alimenti, è studiata affinché non
avvengano alterazioni chimiche o fisiche nel prodotto e perché esso possa essere trasportato. La differenza sta che
nel caso di un liquido non c’è alcun modo di trasportarlo o di fruirlo se non attraverso altri contenitori. Un biscotto
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secondario e il packaging terziario. Esse non stanno ognuna per proprio conto ma sono l’una
funzionale all’altra.
Il packaging terziario è costituito da grandi imballaggi destinati al trasporto di molte unità di
prodotto e concepiti affinché queste non si danneggino durante la manipolazione. Un facile
esempio si riscontra nei pallet10 ma nella stessa categoria rientrano pure le borse per la spesa in
plastica o nella versione “pregiata” in carta semirigida.
Gli imballaggi secondari sono quelli a più stretto contatto con le confezioni vere e proprie che
contengono il prodotto. Di solito sono studiati al fine di garantire la massima coerenza, dal
punto di vista grafico, con i singoli packaging in essi contenuti, attraverso la trasparenza come
avviene per le bottiglie d’acqua tenute assieme a gruppi di sei da un foglio di cellophane o nylon
o, attraverso la riproduzione della veste grafica delle unità contenute (nel caso ad esempio
dell’imballo in cartone che tiene assieme lattine o bottiglie di birra). In alcuni casi questo tipo di
packaging può essere disfatto dal consumatore per prendere una sola confezione (es. : l’acqua
minerale) mentre in altri casi non è possibile e, anzi, come nel caso dei pack da tre bottiglie di
birra sarebbe sconveniente sia dal punto di vista pratico, in quanto renderebbe meno agevole il
trasporto dei singoli contenitori (infatti se non vincolati tra loro grazie al cartone sarebbero liberi
di rotolare e impattare tra di loro), sia, con buone probabilità, dal punto di vista economico in
quanto sempre più spesso il costo di ogni singolo pezzo è minore se se ne acquista un numero
superiore a uno. Un’altra funzione a cui assolve il packaging secondario è quella di dare
ulteriori informazioni sul prodotto senza appesantire graficamente le confezioni racchiuse e
senza creare un sovraffollamento di testi scritti con un carattere tipografico di dimensione troppo
piccola e tale, quindi, da renderli illeggibili e quasi inutili, vanificandone così l’ipotetica
funzione informativa. Solitamente è negli imballi secondari che troviamo le diciture che
riguardano eventuali promozioni, concorsi e quant’altro e i relativi regolamenti.
Giungiamo dunque a delineare il packaging primario che abbiamo già ampiamente descritto nel
primo paragrafo. La bottiglia con tutti i suoi elementi costitutivi si inserisce a pieno titolo nella
ad esempio non alcun bisogno di un altro contenitore in cui transitare per raggiungere un altro luogo ma può esservi
portato “a mano”.
10
I pallet sono delle piattaforme in legno progettate per essere trasportate da un carrello elevatore su cui viene posta
una gran numero di confezioni unitarie vincolate grazie a del cellophane.
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categoria delle confezioni primarie in quanto è a diretto contatto con il prodotto tanto che lo
potremmo definire anche come packaging immediato. Essa può costituire una singola unità di
vendita per il consumatore, ma come visto qualche riga più sopra, non è sempre così. La
bottiglia. oltre ad assolvere alla sua funzione di contenimento, cura ed esposizione del prodotto,
può essere considerata pure uno strumento per la fruizione diretta del suo contenuto (il bere
direttamente dalla bottiglia), oppure come un mezzo che serve a portare il liquido all’interno in
un ennesimo contenitore,un bicchiere ad esempio, studiato per il consumo del prodotto in modo
più o meno adeguato. La bottiglia è studiata per essere manipolata ed è dunque necessario che,
nel caso di bottiglie per alimenti, esse non permettano l’ingresso di agenti capaci di alterare le
proprietà organolettiche del prodotto, e deve pure avere della caratteristiche che ne permettano
una agevole apertura, eventualmente con gli strumenti appropriati come cavatappi o
cavaturaccioli. Questi ultimi due diventano quindi degli oggetti a corredo della possibilità di
consumare il prodotto racchiuso nella bottiglia. Una caratteristica posseduta da alcune tipologie
di bottiglie dotate di tappi che ne consentono la richiusura è di fare di questa categoria di
packaging degli oggetti utilizzabili più volte, nonostante sia ormai una prassi il cosiddetto
“vuoto a perdere” che si avvicina al “usa e getta” affibbiato ad altri tipi di confezioni11.
I packaging si possono ulteriormente suddividere nel modo che segue12:
- Packaging-icona. In questa categoria rientrano le confezioni in cui gli elementi grammaticali
sono costruiti e relazionati in modo tale da rendere elevata la corrispondenza o la somiglianza
tra superficie comunicativa e contenuto (referente). Quest’ultimo è il protagonista della
comunicazione cosicché il packaging tende a divenire trasparente, effettivamente o
virtualmente, con l’imitazione fedele della realtà denotata. Detta riproduzione si realizza, ad
esempio, ponendo particolare enfasi sulla raffigurazione, il più possibile realistica, del contenuto
accostata al nome della marca e/o del prodotto. In buona in molti casi ritroviamo i packaging
secondari corrispondere a questa descrizione anche se rappresentano una icona del packaging
11
Avremo di approfondire in seguito la dimensione ecologica delle bottiglie e tutto quando è connesso al mondo
del riciclo.
12
Le tre definizioni che seguono sono state tratte dal contributo intitolato Il ruolo del packaging tra marketing e
consumo redatto da Alberto Pastore e Maria Vernuccio in occasione del congresso internazionale “Le tendenze del
marketing” tenutosi il 28 e 29 novembre 2003 presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.