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INTRODUZIONE
E’ ormai sotto gli occhi di tutti il fatto che le condizioni attuali della biosfera terrestre versino in uno
stato allarmante: agenti inquinanti e pratiche distruttive hanno raggiunto ogni angolo del pianeta
ormai da parecchi decenni, con il sostegno di politiche scriteriate che non accennano ad alcun cambio
di rotta. La complessità del problema è aggravata sia dal fatto che lo sfruttamento delle risorse naturali
non sembra per nulla prossimo alla fine, sia dal fatto che l’azione umana ha provocato processi ormai
irreversibili negli equilibri della biosfera; pertanto, anche se tutte le devastazioni provocate ad aria,
acqua e suolo potessero essere rimosse immediatamente, l’effetto dei cambiamenti climatici
perdurerebbe, con conseguenze gravissime in termini di riduzione della biodiversità delle specie
vegetali e animali. È chiaro che una tale compromissione dei sistemi naturali avrebbe certamente un
gravissimo impatto anche sulla vita umana.
Nonostante la gravità della situazione, l’allarme ha raggiunto l’attenzione mediatica a livello
mondiale solo da poco tempo. È iniziata infatti realmente solo negli anni ’60 la campagna di
sensibilizzazione riguardo la cosiddetta “questione ambientale”.
Malgrado i tentativi delle associazioni ambientaliste e l’impegno di molte persone, è palese
che le attuali misure adottate al fine di arginare l’impoverimento della terra siano ancora, se non
inadeguate, quantomeno insufficienti, viste le dimensioni che la catastrofe ha raggiunto. Proprio a
partire da questa consapevolezza sono sorti interrogativi etici che mai prima d’ora l’uomo si era
trovato ad affrontare. Il coinvolgimento planetario in simili problemi, e soprattutto la previsione che
le loro conseguenze perdureranno nel tempo, mettendo a rischio la possibilità stessa dell’esistenza su
questa terra, rappresenta per l’umanità una situazione di pericolo che non ha eguali nella storia: Ciò
significa che «l’irrompere di dimensioni lontane, future, globali nelle nostre decisioni quotidiane,
pratico-terrene, costituisce un novum etico, di cui la tecnica ci ha fatto carico»
1
ma che dobbiamo in
qualche modo affrontare. Per questo «siamo [...] chiamati, ora, a un tipo completamente nuovo di
dovere, a qualcosa che prima in verità non esisteva – ad assumere la responsabilità per le generazioni
future e la condizione della natura sulla terra»
2
.
A fronte di questa necessità, tuttavia, non è detto che l’umanità possegga la volontà, le capacità
o le forze sufficienti per rispondere adeguatamente al compito «erculeo» che le si presenta. Oltre a
ciò, la soluzione del problema etico su come tale impresa si possa fronteggiare non è immediata, anzi
presenta non poche asperità, a partire del fatto che per un’azione efficace occorre individuare
1
H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica, Torino, Einaudi, 1997, cit., pp. 30-31.
2
H. Jonas, Sull’orlo dell’abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura. Torino, Einaudi, 2000, cit., p. 7.
4
quantomeno di comune accordo le cause autentiche del fenomeno. Crediamo inoltre che un’azione
pratica in materia ambientale non possa ammettere sprechi di tempo ed energie in direzioni sbagliate,
e per questo richieda necessariamente di essere sostenuta da un sostrato teorico adeguato.
Prima di poter sviluppare una teoria etica dell’ambiente occorre però fare un passo indietro
per comprendere lo stato attuale del rapporto che intercorre tra umanità e natura; tratteremo questo
punto nel primo capitolo, nel corso del quale considereremo anche le proposte della corrente
postumanista, rifacendoci in particolare a Roberto Marchesini, etologo e teorico di tale corrente, per
una nuova proposta di relazione tra umanità e natura. L’interesse per le sue riflessioni sorge
dall’acutezza con cui affronta nei suoi scritti i modelli paradigmatici storicamente attribuiti all’uomo;
teoria dell’incompletezza, antropocentrismo, paradigma della purezza, sono temi da lui confutati a
partire da studi scientifici aggiornati, di cui faremo uso nel corso della trattazione.
Dopo questo primo capitolo, quindi, risulterà imprescindibile, al fine di sviluppare una
proposta etica credibile, tentare di individuare le possibili cause primarie della crisi ecologica, con
l’aiuto dei contributi filosofici principali avanzati sino a questo momento. Per fare ciò tenteremo di
definire in che termini si possa delineare attualmente il concetto di «crisi ecologica»; dovremmo
considerarla come una situazione emergenziale legata alla perdita di molti ecosistemi, all’estinzione
delle specie, quindi come un problema contingente e solo «ambientale»? O piuttosto come la fase
culminante di un processo più ampio? A partire da questi ed altri interrogativi, cercheremo di
comprendere il significato del momento critico che il mondo sta attraversando, oltre alle sue
implicazioni principali. Sempre nel secondo capitolo affronteremo in modo particolare le cause della
crisi ecologica per come sono state individuate dai filosofi, con riferimento particolare a Murray
Bookchin e ai sostenitori dell’ecologia profonda. Saranno sempre mantenuti come punti di
riferimento principali del testo i pensieri di Hans Jonas e John Passmore.
Questa analisi ci condurrà ad affrontare l’ultimo problema, ovvero la considerazione del
paradigma antropocentrico e dei problemi ad esso connessi, soprattutto in relazione alla costituzione
di un’etica ecologica che possa tener conto della situazione culturale attuale. Passeremo attraverso il
contributo di Jonas, per analizzare nello specifico se la sua proposta sulla responsabilità sia attuabile
o meno, nonché quello di Peter Singer, per considerare le convinzioni che guidano attualmente il
movimento di Liberazione Animale da lui iniziato.
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1. UMANITÀ E NATURA.
1.1 L’ INTRECCIO DI PASSATO E FUTURO NELLA COSTITUZIONE DEL RAPPORTO CON
L’AMBIENTE
Georges Canguilhem si è domandato nel suo articolo La quéstion de l’écologie: la technique ou la
vie come l’uomo abbia potuto dimenticare di essere abitante di questo pianeta al punto da far
degenerare la sua presenza in una vera e propria devastazione della terra. Una delle possibili ragioni
che hanno portato a questa situazione è spesso individuata nella diffusione del capitalismo
3
, o ancora
del progresso tecnico; come sottolinea il filosofo francese, tuttavia, ciò non implica necessariamente
che un ritorno ad un mondo precapitalista e primitivo possa risolvere il problema. Il mito del recupero
di un rapporto incorrotto con la natura, di una ideale armonia dell’uomo con essa – oltre ad essere un
mito – non è una possibilità da tenere in considerazione.
Come scrisse anche Lynn White nel suo celebre articolo The historical roots of our ecologic
crisis
4
, l’intervento dell’uomo sulla terra è stato da sempre invasivo, manipolatorio, dinamico; le rive
del Nilo hanno portato per millenni i segni delle modifiche dell’uomo piuttosto che della natura, e la
diga di Assuan è solo lo stadio più moderno di questo processo
5
. Infatti «ogni forma di vita modifica
il proprio contesto
6
», e tale comportamento può essere ascritto a qualsiasi epoca della storia umana
come anche a quella di ogni altra specie vivente. L’introduzione di conigli nelle campagne inglesi
avvenne intorno al 1176 a scopo alimentare, ad esempio
7
, servendo un favore alla popolazione locale,
anche se la loro successiva proliferazione ha poi causato danni ingenti alle coltivazioni degli stessi
contadini. Al contrario, la diffusione spontanea dei coralli nei fondali marini ha favorito la creazione
di un ambiente idoneo alla vita per migliaia di altre specie
8
.
La dinamicità degli ecosistemi è quindi un fatto, che essa dipenda dall’azione umana o ne
prescinda. L’idea fondamentale qui riguarda la consapevolezza ecologica che, da un alto, ogni essere
vivente «rappresenta una risorsa o un danno per l’intera comunità a seconda del suo impatto
9
», e
dall’altro, che l’elemento discriminante tra queste due possibilità non è necessariamente dato dalla
3
G. Canghilhem, La question de l’écologie, cfr p. 184.
4
L. White, The historical roots of our ecologic crisis, Science, New Series, V ol. 155, No. 3767 (Mar. 10, 1967), pp.
1203-1207.
5
Ivi, p. 1203.
6
Cit., Ibid.
7
Ibid.
8
Ibid.
9
P. Pagano, Ambientalismo propostivo, in M. Andreozzi, (a cura di), Etiche dell’ambiente. Voci e prospettive, LED
Edizioni Universitarie, 2012, p.98.
6
tecnica moderna, rea piuttosto di aver amplificato e reso più palese un modo di vita che già su scala
infinitamente minore stava lentamente degradando o comunque modificando l’ambiente.
In altre parole, non dobbiamo essere indotti a credere che un ritorno al passato possa
necessariamente comportare la riconquista di un rapporto equilibrato o idilliaco con la natura, o
addirittura che questo sia una possibilità realizzabile. Innanzitutto occorre definire in quali termini
vada inteso il concetto di «rapporto armonioso»: «un rapporto armonioso con la natura [infatti] non
deve essere scambiato con un rapporto di tipo romantico-trasfigurante o mistico-irrazionale»
10
.
L’insegnamento fondamentale offerto dall’ecologia, di cui le considerazioni filosofiche
ambientali stanno progressivamente facendo tesoro, è dato dalla consapevolezza che l’uomo è parte
integrante delle catene alimentari e delle reti relazionali che lo uniscono al resto dei viventi e
dell’ambiente al pari di qualsiasi altro animale
11
, naturalmente con le sue peculiarità razionali e la sua
particolare complessità organica; a partire dalla reciproca interdipendenza che lega gli esseri, quindi,
deriva la coscienza di non poter sopravvivere senza intaccare in qualche misura l’ambiente o le vite
intorno a noi. Da qui sorgono svariate questioni etiche, tra cui il problema morale dell’uccisione di
esseri viventi (dai batteri nel nostro corpo, agli insetti nocivi nei campi, ai bovini negli allevamenti…),
della modificazione dei paesaggi naturali a scopi produttivi, del riconoscimento di diritti agli esseri
non-umani, per citare solo qualche esempio. In altri termini, l’uomo si è dovuto da sempre confrontare
con il dato di fatto che la sua sopravvivenza richiede in qualche modo il sacrificio di altre forme di
vita o l’utilizzo di certe risorse naturali. Le etiche utilitariste, ponendo in primo piano l’attenzione al
valore del benessere, di per sé già molto ambiguo, sollevano la questione della sofferenza animale
focalizzando l’attenzione su quella dei singoli individui, avanzando quindi il problema di come sia
possibile mantenere una dieta onnivora se ogni altra forma di vita diventa intoccabile.
L’etica moderatamente antropocentrica di John Passmore affronta la questione in questo modo
nel saggio La nostra responsabilità per la natura
12
:
L’uomo per sopravvivere deve comportarsi da predatore, o nei confronti degli animali, o delle piante.
E per creare la civiltà deve andare oltre: addomesticare gli animali e coltivare le piante, perciò
comportarsi da padrone almeno su un segmento limitato di natura. Dato che l’uomo necessariamente
deve comportarsi così, è senza senso sostenere che non si dovrebbe fare nulla tale da disturbare gli
equilibri ecologici esistenti, e che non si debba da nessun punto di vista cercare di dominarli. […] La
10
D. Birnbacher, Siamo responsabili nei confronti della natura? In S. Dellavalle, (a cura di), L’urgenza ecologica, p.
311.
11
M. Andreozzi, Etiche dell’ambiente, p.98.
12
J. Passmore, La nostra responsabilità per la natura, Milano, Feltrinelli, 1986.