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Abstract
L’evoluzione che sta subendo il mondo della comunicazione di marketing fa leva su due
fattori ben precisi: Internet, che come canale pubblicitario sta costantemente integrando i
media tradizionali, e la sempre maggiore consapevolezza del consumatore nei confronti dei
messaggi pubblicitari, molti dei quali ritenuti ormai invasivi e pedanti.
In questo ambiente sotto certi aspetti ostile, dove la lotta per ottenere la fiducia del
consumatore è all’ordine del giorno, le imprese possono utilizzare uno strumento a loro
vantaggio: il branded content.
La gestione di questo strumento non è semplice. Non è facile da comprendere, è
complesso da integrare nelle dinamiche aziendali, e come se non bastasse la sua riuscita è
il frutto di sforzi economici ma soprattutto culturali. Tuttavia, se correttamente impostato,
può fare la differenza.
Ci riferiamo al branded content come quella pratica che consente ad un’azienda di
creare e distribuire contenuti di qualità, utili, appassionanti e coinvolgenti, allo scopo di
creare una solida relazione con i suoi pubblici, dove il guadagno derivante dalla vendita è
solo l’atto finale di un lungo e sincero processo di fidelizzazione.
Con lo scopo di comprendere le piene potenzialità di questo strumento, questa tesi
affronta le dinamiche teoriche e pratiche dell’odierno mercato digitale, la reale filosofia
che sta alla base della distribuzione dei contenuti aziendali, e ciò che occorre sapere per la
loro implementazione concreta all’interno della strategia aziendale.
Con l’aiuto di interviste a personaggi autorevoli e ricerche su fonti di settore, questo
elaborato indagherà sulle reali difficoltà legate all’adozione di questo strumento, e
analizzerà più di un caso studio di successo per arrivare a comprendere come le aziende
possono diventare definitivamente alleate dei loro consumatori.
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Introduzione
È indubbio che il mondo del marketing stia cambiando. Il digitale sta prendendo sempre
più piede, e il consumatore, a causa del continuo bombardamento mediatico che subisce, è
diventato sempre più selettivo e discriminatorio nei confronti della pubblicità. Il
consumatore di oggi è attirato dalle informazioni. Meglio ancora se le informazioni sono
emozionanti, in grado di fare breccia nella sua mente. E indubbiamente un messaggio
pubblicitario che sia utile ed emozionante è meglio ricordato e assimilato, avvalorando il
brand che ne è portavoce.
La parola che può riassumere quello che stiamo dicendo è branded content. Ovvero
quella pratica che consente a un’azienda di creare e distribuire contenuti di qualità, utili,
appassionanti e coinvolgenti, allo scopo di creare una solida relazione con i suoi
consumatori, dove il guadagno derivante dalla vendita è solo l’atto finale di un lungo e
sincero processo di fidelizzazione.
Per fare un veloce esempio, la filosofia che sta dietro al branded content si oppone a
quella propria dei popup, i fastidiosi banner pubblicitari che molte aziende inseriscono in
internet. Quando ci imbattiamo in essi, la prima cosa che cerchiamo in fretta e furia è la X,
sinonimo di “chiuditi, vattene via!”, per poi digitarla con il cursore e tirare così un gran
sospiro di sollievo. Chiederemo in seguito soccorso al buon Salvatore Aranzulla e ai suoi
tutorial su come eliminare tali fonti di disturbo (a proposito, se interessati
http://www.aranzulla.it/come-bloccare-popup-31764.html).
È veramente questo che un’azienda vuole? Essere riconosciuta come fastidiosa e da
evitare a tutti i costi? Direi proprio di no. Ed è da queste prime esperienze personali che
deriva la mia curiosità di capire, con tutte le difficoltà di oggi, come un’azienda può
instaurare una relazione con i consumatori e diventare loro “amica”. Questo è, senza tanti
giri di parole, l’obiettivo di questa tesi, e le risposte che ho trovato risiedono proprio nel
branded content e nel branded entertainment.
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Per raggiungere questo traguardo ho consultato il materiale delle lezioni svolte durante
questi due anni di laurea magistrale, ho letto numerosi testi che approfondiscono questa
materia, cercato autorevoli fonti in rete e analizzato alcuni tra i più interessanti casi studio,
italiani e internazionali.
Ho inoltre intervistato Paolo Bonsignore, direttore marketing di Illy Caffè (tra le
migliori aziende italiane che operano in ambito bc) e co-autore del libro Branded Content,
la nuova frontiera della comunicazione d’impresa, per avere un punto di vista esperto e
legato alla concreta gestione di una grande realtà aziendale. Ritroveremo puntualmente le
parole di Bonsignore lungo la tesi, che avvaloreranno il lavoro come testimonianza diretta
di quello che sarà spiegato.
La tesi è strutturata nel modo seguente.
Nel primo capitolo introdurremo il tema del branded content, in un percorso che partirà
dall’etimologia stessa del termine. Parleremo dunque di brand e contenuti. Proseguendo, ci
inoltreremo nell’universo del marketing, di come si è evoluto nel tempo e come si presenta
in questo momento, puntando il focus sull’epilogo del push marketing, sulla figura del
prosumer e sullo scenario futuro, fatto di relazione collaborativa e dialogo orizzontale.
Lungo il capitolo definiremo il branded content nel dettaglio, scoprendo la leva
fondamentale dello storytelling per arrivare al suo scopo, in altre parole sedurre
l’audience. Per comprendere al meglio questo strumento indagheremo nel passato,
scoprendo che è molto più antico di quanto si possa pensare. Studieremo in questo senso le
aziende pioniere del branded content, tra cui John Deere e Michelin. Prenderemo in causa
il Cluetrain Manifesto, indagando come oggi i mercati siano conversazioni, e come trarre
profitto da queste nozioni per portare vantaggi alle aziende (mettendo per inciso però
quanto il tempo non sia amico). L’ultima sezione del capitolo sarà riservata alla
trasformazione dell’impresa in media company, ovvero organizzazione che parte come
elargitrice di beni/servizi e che diventa realtà che distribuisce idee e informazioni, e alle
difficoltà comportate da questo cambiamento, soprattutto culturali.
Il secondo capitolo indaga dove oggi s’incontrano maggiormente le persone e i brand,
ovvero il Web 2.0, ambiente dove la comunicazione può essere definita relazione e
partecipazione, e al quale le aziende si devono adeguare figurandosi come uno dei nodi che
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compongono la rete. Le imprese si affacceranno dunque alle comunità virtuali, i già citati
prosumer, i social media, gli open content e i wiki, in un mondo dove il consumatore ha
più voce in capitolo perché l’unione fa la forza. Analizzeremo meglio la componente dello
storytelling, leva fondamentale utile per avvalorare e consolidare il rapporto esistente tra
brand e persone che si è evoluta negli anni, ma che poggia sugli archetipi della letteratura
classica. Prenderemo poi in considerazione la viralità, in altre parole il passaparola positivo
nel digitale (traducibile in condivisioni o likes) che porta al miglioramento della brand
reputation e che genera sentiment positivo. Ripercorreremo la storia dei fenomeni virali,
anch’essi risalenti a epoche lontane da internet, studiando i fenomeni dei memi e dei video
virali, i portabandiera della categoria. Infine, uno spaccato sull’accostamento tra brand
stessi e viralità, ovvero la teoria del viral dna di Mirko Pallera. In conclusione
analizzeremo il caso The Beauty Inside di Intel, un bellissimo esempio che racchiude
perfettamente tutto ciò di cui abbiamo parlato.
Il terzo capitolo è più pratico: illustrerà i passi necessari per la strutturazione di una
strategia di branded content marketing. Con ordine, vedremo nella prima fase come
vengono scelti gli obiettivi dei progetti, scelto il target group e ottimizzate le risorse da
destinare per questo strumento. Nella seconda fase capiremo come un’azienda sceglie le
sue aree tematiche, ovvero gli argomenti di cui parlerà nei progetti. Studieremo il processo
con cui un’azienda progetterà la voce del suo brand e infine analizzeremo gli strumenti
concreti da utilizzare da usare per la creazione dei contenuti che daranno vita alle idee. La
terza fase prenderà in esame la distribuzione dei contenuti. Parleremo di paid, owned ed
earned media, dei maggiori canali di distribuzione online a disposizione delle aziende e
dell’importanza della distribuzione organizzata, grazie alla creazione di un piano
editoriale. Nella quarta fase, infine, vedremo come viene misurata l’efficacia di una
campagna online di branded content - metriche di consumo, metriche di condivisione,
metriche di vendita e così via - per comprendere come un’azienda può ritenersi o meno
soddisfatta dall’esito degli sforzi fatti.
Il quarto ed ultimo capitolo è riservato al branded entertainment, una pratica
pubblicitaria derivante dal branded content ma che si sposta su binari prettamente ludici,
anello di congiunzione tra brand e intrattenimento. Nel capitolo studieremo come nella
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storia si è evoluto il binomio spettacolo-impresa, con l’analisi della pratica del product
placement, ossia l’inserimento delle marche all’interno dei media (l’indiretto antenato del
branded entertainment). Studieremo in seguito la teoria che sta dietro il branded
entertainment, comprendendo tutto ciò che ruota attorno a questo strumento, le sue
caratteristiche, le tipologie di progetto e come un’azienda si interfaccia con le realtà
specializzate, il tutto illustrato da casi studio che ne esemplificano le prassi. L’ultima parte
si soffermerà infine sull’attenta analisi di un progetto di Illy Caffè: A Small Section of the
World, il miglior caso di branded entertainment italiano del 2014 secondo l’Osservatorio
Branded Entertainment.
Per finire, nelle conclusioni riserverò spazio alle mie considerazioni personali, cosa ho
imparato da questa esperienza e quali idee ho maturato rispetto a quando ho iniziato questa
tesi.
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1 Branded content: emergere dalla confusione
1.1 L’origami dei contenuti di marca
In questa tesi affronteremo l’argomento del branded content, sezione di quel grande
universo chiamato marketing che presenta dei limiti ancora molto sfocati e misteriosi, ma
allo stesso tempo affascinanti e coinvolgenti. Il mio lavoro si porrà come scopo il cercare
di capire (e carpire) il più possibile da questa nuova metodologia d’interazione tra azienda
e clienti.
Cosa mi ha spinto ad approfondire questa tematica? La risposta è presto detta: come
vedremo in seguito, si tratta della nuova frontiera della comunicazione, nella quale il
cliente è al centro degli interessi dell’azienda, e dove la relazione si armonizza alla
perfezione con la comunicazione.
Come studente di comunicazione quindi, ho subito avvertito dentro di me quella
motivazione a scoprire come le aziende pionieristiche del branded content (Redbull o Coca
Cola per citare le più famose) possano, in buona parte grazie ad esso, aver avuto o
mantenere il grado di successo che viene loro conosciuto. Quali leve hanno mosso
all’interno del consumatore? Quale forza scatenante hanno instillato nelle persone per
diventare dei brand così popolari, al limite del mito? Cosa può provocare nei confronti
degli utenti un simile engagement? Si tratterà di un percorso chiarificatore lungo e
affascinante, dove le varie tappe apriranno inizialmente dei piccoli spiragli per poi
spalancare delle vere e proprie porte, per permettere il mio ingresso alla conoscenza di
questo mondo.
Per iniziare al meglio questo percorso quindi, prendendo in prestito la formula del
famoso gioco da tavola Monopoli, non posso che partire dal “VIA”, che in questo caso è
rappresentato proprio dalla denominazione in sé di “branded content”. Analizziamo
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dunque queste due parole, per poi delinearvi attorno i dovuti concetti e le mie personali
riflessioni.
Branded content. Due semplici parole che possono però aprire un vero e proprio cosmo
legato all’ambito della comunicazione d’impresa, del marketing e dell’intrattenimento. È
sicuramente un nome evocativo, che esprime mistero e fascino.
Possiamo visualizzare nella mente il branded content come un elegante modello
origami. La parola giapponese origami è stata adottata dalla lingua italiana senza una
traduzione, e letteralmente significa piegare la carta. Storicamente si tratta di un'antica
tecnica per realizzare figure di ogni tipo piegando uno o più fogli e usando soltanto le
proprie mani. Nell’antica tradizione giapponese, l'origami era parte integrante nei riti civili
e religiosi, dove preziose carte fabbricate a mano erano piegate seguendo vari modelli,
come farfalle, gru o segni augurali. Il segreto della costruzione veniva gelosamente
tramandato di generazione in generazione.
In anni recenti vi è stata un’evoluzione dell'origami che, da tecnica rituale, si è
trasformata in arte creativa. Forme nuove, figure complesse ai limiti dell'inverosimile,
ricerca di elementi differenti da quelli della tradizione giapponese e invenzione di modelli
originali. Origami è attualmente tutto questo.
Premettendo che con questo paragone non vogliamo elevare il branded content a forma
d’arte, per chi non ha dimestichezza con la tecnica origami, quel piccolo capolavoro che è
il risultato di molte pieghe effettuate su di un semplice foglio bianco può effettivamente
apparire come una minuta opera d’arte, mistica e misteriosa (allo stesso modo, storie,
fascino e racconti sono alla base del branded content). È il frutto del lavoro di esperti e
appassionati, che con un semplice foglio di carta (parallelamente, il branded content
richiede molte meno risorse economiche della comunicazione tradizionale, il cosiddetto
push marketing) danno vita a qualcosa di meraviglioso.
Al fine di imparare e capire esattamente com’è stato costruito un modello origami, e per
vedere in che modo e quante volte il foglio è stato piegato, bisogna aprirlo e individuare le
cosiddette “linee tratteggiate”. Allo stesso modo, per decifrare bene il fenomeno del
branded content dobbiamo “smontare” questa definizione, analizzandola a fondo.