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Introduzione
Con il libro XII della Metafisica di Aristotele, il libro Lambda, si
affronta uno dei punti cruciali del testo aristotelico, in quanto presenta
quello che è considerato il “problema per eccellenza“ della sua
interpretazione: l’esistenza e la funzione della sostanza sovrasensibile.
In questo libro Aristotele dimostra che si deve ammettere l’esistenza di
una sostanza sovra-empirica e spiega quale essa sia.
Per lungo tempo la critica ha affrontato e discusso la
collocazione cronologica di questo libro; oggi il problema è passato in
secondo piano, concordando tutti sul fatto che comunque, qualunque
sia l’epoca di composizione, questo libro è fondamentale per la
comprensione del pensiero aristotelico.
Giovanni Reale sostiene che il genio metafisico dello Stagirita si
riveli nell’aver compreso e affermato che «il movimento dei cieli, in
quanto movimento, non è autosufficiente e ha bisogno di un principio
primo e ulteriore che lo spieghi. »
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Il mio lavoro verte sull’individuazione e la spiegazione delle
caratteristiche del primo principio e su come esso effettivamente possa
dare movimento al primo cielo, e conseguentemente a tutti i cieli
successivi; quest’ultimo è un punto cruciale che ha visto succedersi
diverse interpretazioni, che possono dividersi in quella tradizionale ed
una più recente ed alternativa. Prima di delineare le caratteristiche e la
funzione del primo motore, Aristotele si sofferma su alcuni filosofi
presocratici come Empedocle e Anassagora o gli atomisti Leucippo e
Democrito i quali sembrano aver ammesso e riconosciuto un’attività
eterna, ma non la spiegano correttamente: infatti sia Leucippo, con
l’eterno movimento degli atomi nel vuoto, che Platone, ammettono
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Aristotele, Metafisica, testo greco a fronte, a c. di G. Reale, Bompiani, Milano, 2000 ,
p.728
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l’eternità del movimento, ma non spiegano né perché esso sia né quale
sia, né dicono la ragione per cui esso sia in questo o in quel modo:
« oi|on Leuvkippo" kai; Plavtwn:ajei; ga;r ei\naiv fasi kivnhsin.
ajlla; dia; tiv kai; tivna ouj levgousin oujdƒ wJdi; oujde; th;n aijtivan »
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Nulla per Aristotele si muove a caso: deve per forza esserci una
causa. Aristotele dunque riconosce come “eterno” il movimento dei
cieli, il quale però non è assoluto perché tutto ciò che è in movimento
implica una potenzialità che si attua. Ciò che è in potenza, però, non è
detto che passi all’atto, in quanto non implica necessità di attuazione.
Il movimento dei cieli dunque per Aristotele non può considerarsi
sempre realizzabile, poiché non implica la necessità dell’attuarsi, in
quanto non ne possiamo avere la garanzia. E’ necessario allora un
principio primo che sia causa di tale movimento e la cui sostanza sia
atto puro.
Se è necessario che tale principio sia atto puro, deve essere
anche scevro di materia, in quanto ciò che è materiale è sempre legato
alla potenzialità di essere e di attuarsi come di non farlo. La natura di
tale sostanza è quella propria di un’Intelligenza perfetta, è vita ottima ed
eterna, sommo bene e somma bellezza, essa è perfettamente compiuta
e realizzata.
Questa intelligenza è anche un'auto-intelligenza, è dunque
un'intelligenza che pensa sé stessa, è pensiero di pensiero: è pensiero
che coincide con l’oggetto del pensiero stesso. Aristotele definisce in
questo modo il primo motore per più ragioni: se pensasse a qualcosa di
superiore, non sarebbe il primo motore, perderebbe il suo massimo
grado di eccellenza. Se pensasse a qualcosa di mutevole rivolgerebbe
il suo pensiero a un qualcosa che non rimane costante e che
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Aristotele, Metafisica , L1071 b 34-35, op. cit. pp.558-560
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muterebbe verso il peggio, ma viste le sue caratteristiche questo è
impossibile.
Se pensasse invece a qualcosa di molteplice, non sarebbe più
atto puro ma si confonderebbe con la potenza, dunque perderebbe le
sue caratteristiche e la sua incorruttibilità, essendo costretto a passare,
potenzialmente, da una cosa all’altra. Esso è sostanza priva di tutte
quelle determinazioni categoriali proprie della sostanza che è sinolo di
materia e forma, e quindi in quanto tale è senza parti né grandezza,
indivisibile, inalterabile, impassibile.
A questo punto, definite e comprese le caratteristiche del motore,
Aristotele arriva a porsi il problema di come questo principio primo, pure
essendo “immobile”, possa provocare movimento.
Da qui il dibattito, ancora oggi acceso, tra l’interpretazione
tradizionale, che riconosce esclusivamente la causa finale del motore, e
un’interpretazione alternativa che ne riconosce la causa efficiente.
La prima interpretazione si basa sull’analisi letterale del testo
aristotelico nel punto in cui si dice che il motore muove così come
muovono l’oggetto dell’amore e del desiderio, per attrazione. Il motore è
di per sé immobile e causa finale rispetto a tutto ciò che lo circonda.
Tra i più importanti sostenitori David Ross
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, il quale resta
profondamente convinto che il primo motore muova in quanto causa
finale, o meglio, esso è causa efficiente unicamente perché è causa
finale. Tuttavia egli è causa finale non nel senso, sostiene Ross, che
non è mai, ma nel senso di essere qualcosa che «sempre ha da
essere» .
Egli è un essere dalla vita eterna la cui influenza si diffonde
attraverso l’universo in modo tale che tutto ciò che accade dipende da
lui. Egli muove direttamente il primo cielo, cioè causa direttamente la
rotazione quotidiana delle stelle fisse intorno alla terra. Muove in quanto
ispira amore e desiderio; sembra così implicito che il primo cielo abbia
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W. D. Ross, Aristotle’s Metaphysics, Oxford Classical Texts, 1953
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un’anima. Questo movimento, successivamente trasferito alle parti più
interne dell’universo, e quindi a quello del sole, della luna e degli altri
pianeti, è dovuto alle “intelligenze”. Anche queste per Ross muovono
come fini cioè muovono grazie al loro essere desiderate e amate.
Come possono l’amore e il desiderio produrre movimenti fisici?
La teoria è che ciascuna di queste sfere desideri una vita almeno simile
a quella del suo principio motore. La vita del principio che le muove è
continua, non soggetta a cambiamento, sempre in atto, spirituale.
Le sfere non posso aspirare a raggiungere tale perfezione, ma fanno
del loro meglio eseguendo il movimento fisico perfettamente continuo,
ovvero quello circolare. Carlo Natali difende la tesi tradizionale
rifacendosi ad uno dei maggiori commentatori di Aristotele dell’
antichità, Alessandro di Afrodisia,
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e ponendo attenzione anche al
Grande commento alla Metafisica di Averroè,.
Alessandro di Afrodisia, che scrisse intorno al 200 d.C., cerca di
conciliare la dottrina di Aristotele, del quale egli vuole essere interprete
fedele, con le esigenze religiose dell'epoca in cui vive, caratterizzata da
un diffuso misticismo e quindi fortemente interessata al tema della
provvidenza divina. Nelle Questioni Il motore di Aristotele, come
sostenuto da Alessandro, muoverebbe il cielo solo come causa finale,
più precisamente come oggetto di imitazione da parte del cielo.
Tuttavia, come si può far conciliare una causalità puramente
finalistica con la provvidenza divina, sia pure limitata ai fenomeni celesti
e alla natura? Nella sua dottrina della provvidenza Alessandro
attribuisce al dio di Aristotele, se non un interesse cosciente e
deliberato per il mondo, almeno un intervento attivo, sembra dunque
entrare in contraddizione col concetto platonizzante di imitazione del
motore da parte del cielo
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Alessandro di Afrodisia. Questioni sulla provvidenza, a cura di S. Fazzo, BUR,
Rizzoli, Milano, 1999
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Natali, analizzando la posizione e le possibili contraddizioni di
Alessandro, cerca di dimostrare come il motore non debba essere però
inteso platonicamente come paradigma da imitare ma,
aristotelicamente, come oggetto d’amore e quindi come causa finale:
Esso in quanto oggetto del desiderio suscita il movimento di chi lo
desidera
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. Un movimento, dunque, causato dall’oggettiva natura
desiderabile della sostanza che, in quando tale, provocherebbe il
desiderio da parte di tutta la natura di adeguarsi naturalmente a tale
stato di somma felicità, di sommo bene e di vita ottima ed eterna, stato
che agli uomini è concesso solo in parte e per breve tempo vista la
natura finita del loro essere.
Un rifiuto, quello di Natali, di intendere il motore come
“paradigma”, modello di imitazione platonico. Tale modello infatti di suo
non riproduce niente, è inerte e ha bisogno di un agente che sia in
grado di compiere tale copia, di una mediazione che la susciti .Quindi
un modello può essere riprodotto in una copia, ma , se non dispone
degli agenti necessari, può anche non esserlo. In Aristotele invece la
causa è il motivo per cui una cosa è come è e non è un'altra.
David Sedley si sofferma sul concetto di teleologia aristotelica
mettendola a paragone, e non potendo prescindere da un confronto,
con la teleologia platonica. Aristotele è convinto che il diretto intervento
del motore nel mondo sia una sorta di “svilimento”della sua eterna
attività contemplativa che, poi, è il pensiero di se stesso: («se questo
deve essere un contemplatore infatti, non può essere un
amministratore» )
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.
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C. Natali, Causa motrice e causa finale nel libro Lambda della Metafisica di
Aristotele, in «Méthexis» 10 (1997)
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D. Sedley Creationism and Its Critics in Antiquity University of California. Press,
Berkeley-Los Angeles-London, 2007.Ed. italiana a cura di F. Verde, Carocci, Roma,
2011, p.170