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INTRODUZIONE
DIE WELT IST FORT, ICH MUSS DICH TRAGEN
Robert Antelme fu scrittore-testimone della detenzione nei campi di concentramento
nazisti. Ce ne ha lasciato un incancellabile ricordo nel suo libro L’espèce humaine.
L’espèce humaine, la cui ultima edizione - pubblicata in italiano da Einaudi - risale al
1997, risulta ormai introvabile: farò quindi riferimento all’edizione francese edita da
Gallimard nel 1957 e ristampata nel 2009 per la “Collection Tel”. Ho provveduto io
stessa alla traduzione sia de L’espèce humaine che delle altre citazioni in inglese e in
francese presenti nella tesi.
Intento di questo breve studio è l’approfondimento di tre temi per come essi si sviluppano
all’interno della realtà concentrazionaria descritta da Antelme.
Il primo e principale riguarda il rapporto con l’altro, sia esso il compagno di sventura o il
nazista, entrambi membri - quale incongruenza! - di quella specie umana che dà il titolo
al libro.
Il secondo aspetto che vorrei analizzare è il problema di come si manifesta la differenza
di identità tra il prigioniero e l’SS; infine il linguaggio nazista, la LTI, per dirla con
Klemperer
1
, le particolari caratteristiche che esso assunse all’interno del campo e
l’impiego e gli obiettivi che Antelme si propone quando fa uso della lingua tedesca.
Infine uno sguardo all’attualità italiana: troviamo ancora, oggi, a distanza di mezzo
secolo dalla tragedia nazista, modalità comunicative nei confronti degli altri-subalterni
nelle quali sia percepibile l’eco della LTI?
L’espèce humaine è un testo-testimonianza di alto valore letterario.
Come ha scritto Edgar Morin
(…) c’est une œuvre dont la pure simplicité procède d’un sentiment profond de la complexité
humaine. J’avais dit aussi que c’est un chef-d’œuvre de littérature débarrassé de toute littérature.
Effectivement, comme l’aurais dit Pascal, la vraie littérature se moque de la littérature.
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E’ anche un testo involontariamente filosofico, se vogliamo intendere la filosofia, con
Aristotele, domanda senza fine causata dalla meraviglia
3
.
Sì, l’opera di Antelme suscita una spaventosa meraviglia e fornisce spunto a infinite
domande.
1
Victor Klemperer, LTI La lingua del Terzo Reich, taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze [1947], 2008
2
Martin Crowley, Ro b e r t An te l m e , L ’ h u m a n it é ir r é d u c tib le, Editions Lignes, Parigi 2004, p. 13
(… ) è u n ’ o p e ra la cu i p u ra se m p lic ità d e ri v a d a u n p ro f o n d o se n tim e n t o della complessità umana. Avevo
anche detto che è un capolavoro della letteratura che si è sbarazzato da ogni letteratura. Effettivamente,
come avrebbe detto Pascal, la vera letteratura se ne infischia della letteratura.
3
Vedi Aristotele, Metafisica, 982b-983a
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Ma non era questo l’intento di Antelme. Egli non voleva essere filosofo: voleva farsi
ascoltare e, prima ancora, riuscire a dire. Sapeva però che, per raggiungere questo
risultato, doveva diventare narratore: la qualità di testimone non poteva bastare a
rappresentare la verità.
Il suo corpo martoriato era prova evidente del campo di concentramento, ma da esso si
voleva distogliere lo sguardo; le sue parole sicuramente vere, ma tuttavia inudibili: esse
volevano rappresentare una realtà inimmaginabile. Ecco, perciò, la narrazione come
scelta necessaria.
Il y a deux ans, durant les premiers jours qui ont suivi notre retour, nous avons été, tous je pense,
en proie à un véritable délire. Nous voulions parler, être entendus enfin. On nous dit que notre
apparence physique étai assez éloquente à elle seule. Mais nous revenions juste, nous ramenions
avec nous notre mémoire, notre expérience toute vivante et nous éprouvions un désir frénétique de
la dire telle quelle. Et des les premiers jours cependant, il nous paraissait impossible de combler
la distance que nous découvrions entre le langage dont nous disposions et cette expérience que,
pour la plupart, nous étions encore en train de poursuivre dans notre corps. Comment nous
résigner à ne pas tenter d’expliquer comment nous en étions venu là ? Nous y étions encore. Et
cependant c’était impossible. À peine commencions-nous à raconter, que nous suffoquions. À
nous-mêmes, ce que nous avions à dire commençait alors à nous paraître inimaginable.
Cette disproportion entre l’expérience que nous avions vécue et le récit qu’il était possible d’en
faire ne fit que se confirmer par la suite. Nous avions donc bien affaire à l’une de ces réalités qui
font dire qu’elles dépassent l’imagination. Il était clair désormais que c’était seulement par le
choix, c’est-à-dire encore par l’imagination que nous pouvions essayer d’en dire quelque chose.
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La realtà vissuta da Antelme è inimmaginabile: ma quale grado di verità possiede ciò che
non si può neppure immaginare? Quanti anni occorrono perché questa inimmaginabile
ombra di realtà rischi di ricadere nell’inesistente? Inimmaginabile è un lessema che
scherma concetti pericolosi, come vedremo.
Antelme affida dunque alla scrittura quello che la voce non basta a dire. Infatti:
Les histoires que les types racontent sont toutes vraies. Mais il faut beaucoup d’artifice pour faire
passer une parcelle de vérité, et, dans ces histoires, il n’y a pas cet artifice qui a raison de la
nécessaire incrédulité.
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4
Robert Antelme, L’ e s p è c e h u m a ine , Gallimard, Parigi 2009, p. 9
Due anni fa, nei primi giorni che hanno seguito il nostro ritorno, siamo stati, tutti, penso, in preda a un
vero e proprio delirio. Volevamo parlare, essere una buona volta ascoltati. Ci dicevano che il nostro
aspett o fi s ico e ra d i p e r s é a b b astan za eloq u e n te. Ma n o i l’ av e v amo s campa ta , n o i rip o rta v amo a cas a la
n o s tra me m o ria, la n o s tra es p e rie n za v i v i s s i m a e p ro v av a m o u n d e s id e rio f re n e tico d i d irl a cos ì co m ’ e ra . E tuttavia, fin dai primi giorni, ci sembrò impossibile poter colmare la distanza che scoprivamo tra il
lingu aggio d i cu i d is p o n e v a m o e q u e ll’e s p e rie n za ch e , p e r la m aggior p ar te, s ta v a an cora co n tin u an d o d e n tro d i n o i. Co m e r as s e gn ar ci a n o n t e n ta re d i s p ie gare co m ’ e ra v a m o g iunti fino a quel punto, immersi
come ancora lo si era? E tuttavia era impossibile. Non appena iniziavamo a raccontare ci sentivamo
soffocare. Persino a noi stessi quello che dovevamo dire cominciava a sembrare inimmaginabile. La
d is p ro p o rzio n e t ra l’ e s p e r ienza che avevamo vissuto e il racconto che se ne poteva fare non fece che
essere in seguito confermata. Avevamo dunque a che fare con una di quelle realtà di cui si dice che
s o rp ass an o l’ i m m agin az ion e . E ra o rm ai ch iaro ch e solta n to a tt ra v e rs o la s ce lta , c ioè per mezzo
d e ll’im m agin az ion e , a v r e m m o p o tu to t e n ta re d i d irn e q u al ch e co s a.
5
Ivi p. 317-318
Le storie che gli uomini raccontano sono tutte vere. Ma è necessario molto artificio per far passare una
particella di verità , e in q u e lle s to rie n o n c’ è a rt ificio sufficiente per v in ce r e l’ in e v ita b ile in cre d u lità .
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In virtù di quanto sopra spero mi si perdonerà se, a volte, definirò “romanzo” questo
testo che nulla ha di romanzesco: il mio è solo un modo di rendere omaggio all’artificio
di cui parla Antelme stesso.
Attraverso l’abilità della narrazione l’inferno di Gandersheim e di Dachau prendono vita.
Un inferno in cui l’horreur n’y est pas gigantesque. Il n’y avait à Gandersheim ni
chambre à gaz, ni crématoire.
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E’ curioso notare come tanti sopravvissuti, toccati profondamente dalla fortuna
dell’essere rimasti in vita, sminuiscano il dolore della propria esperienza.
Levi, rispetto a se stesso, afferma la superiorità del testimone integrale
7
, colui che
avrebbe dovuto testimoniare ma che non ha potuto farlo, il sommerso, dunque; Améry ci
informa che la tortura che gli fu inflitta n’était certainement pas la torture dans sa forme
la plus atroce
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e Antelme trova motivo di consolazione nel fatto che a Gandersheim non
vi fossero forni crematori.
Ma L’espèce humaine smentisce le parole del suo autore: l’orrore della condizione di chi
è costretto a lottare forsennatamente per restare fino alla fine, semplicemente, nient’altro
che uomo, arriva con violenza fino a noi lettori.
Come ci insegna Umberto Eco
Leggendo romanzi sfuggiamo all’angoscia che ci coglie quando cerchiamo di dire qualcosa di
vero sul mondo reale.
Questa è la funzione terapeutica della narrativa e la ragione per cui gli uomini, dagli inizi
dell’umanità, raccontano storie. Che è poi la funzione dei miti: dar forma al disordine
dell’esperienza.
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Scrivendo il romanzo della sua vita, Antelme ha dato forma alla sua propria esperienza
rendendola immaginabile e dunque condivisibile, e dunque politica.
Al lettore il compito di portare il pesantissimo mondo disvelato da Antelme, quel mondo
che non c’è più e che tuttavia ogni giorno rinasce laddove qualcuno nega a qualcun-Altro
l’appartenenza alla Specie Umana.
Die Welt ist fort, ich muss dich tragen
10
6
Ivi, p. 11
(… ) l’ o rro re n o n è gigantesco. A G an d e rs h e im n o n c’ e ra n o n é ca m e ra a gas né crematorios.
7
Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 2003, p. 64
8
Jean Améry, Par-delà le crime et le châtiment, Actes Sud, Arles 2010, p. 61
Non era certamente la tortura nella sua forma più atroce.
9
Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, RCS Libri, Milano 1994/2007 p. 107
10
Donatella Di Cesare, Ermeneutica della finitezza, Guerini Studio, Milano 2008 p. 124
Da Paul Celan, r o s s e , lu h e n d e lb u n , raccolta Atemwende, [1967]
Il mon d o n o n c’ è p iù , io d e b b o p o rta rti.
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CAPITOLO I
UNA SCARNA BIOGRAFIA
11
Non sono molte le notizie biografiche su Robert Antelme, almeno in italiano. Sappiamo
che nacque in Corsica nel 1917, che nel 1929 si installò a Bayonne e che a partire dal
1936 visse a Parigi. Frequentando la facoltà di diritto incontrò Marguerite Duras che
divenne sua moglie nel 1939. Famoso resta l’indirizzo della coppia, il numero 5 di Rue
Saint-Benoît, luogo di incontro per i più importanti intellettuali dell’epoca.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Antelme e la Duras entrarono nella
resistenza, insieme con altri intellettuali tra cui Dionys Mascolo. Facevano parte del
MNPGD (Movimento Nazionale dei Prigionieri di Guerra e Deportati) diretto da François
Mitterrand, alias Morland.
Nel giugno 1944 Antelme fu arrestato da un tedesco appartenente alla Gestapo che viveva
a Parigi sotto il nome di Charles Deval. La Duras ne parla come “Rabier” nel racconto Il
signor X, detto qui Pierre Rabier
12
. Imprigionato a Fresnes, Antelme fu poi trasferito a
Buchenwald e da lì al campo di lavoro di Gandersheim. Verso la fine della guerra i
prigionieri superstiti verranno trasferiti a marce forzate verso Dachau.
Quando il campo venne finalmente liberato dalle forze alleate, tra i prigionieri scoppiò il
tifo e il campo stesso dovette essere posto in quarantena.
Mitterrand, visitando il campo, fu riconosciuto da Antelme che ebbe la forza di
chiamarlo. Le sue condizioni erano tali da farlo ritenere prossimo alla morte, e nello
spazio dei morti era già stato gettato. Grazie all’intervento dello stesso Mitterrand venne
fatto evadere nei giorni successivi da Dyonis Mascolo e Georges Beauchamp
13
.
Nel 1946 Antelme divorziò dalla Duras e diventò membro del Partito Comunista.
Nel 1947 appare per “La Cité Universelle”, casa editrice fondata da Antelme, Duras e
Mascolo, il romanzo L’espèce humaine che narra l’esperienza dell’autore: il soggiorno a
Buchenwald, nei pressi di Weimar, poi a Gandersheim, sottocampo di lavoro di
Buchenwald, la marcia della morte verso Dachau – prima a piedi poi rinchiusi per dodici
giorni in un vagone ferroviario - e infine la liberazione.
Al pari di Klemperer riguardo al linguaggio del Terzo Reich, anche Antelme è un attento
osservatore della realtà fattuale del campo. La descrive minuziosamente e con acutezza
11
Per la biografia di Antelme vedi in particolare www.fabriquedesens.net/robert-antelme-signataire-du e
http://www.bacfrancais.com/bac_francais/biographie-antelme.php
12
Marguerite Duras, Il signor X, detto qui Pierre Rabier, dalla raccolta Il Dolore, Feltrinelli, Milano 2006
13
Jean Lacoutre, E xt ra it d e “ Mitterrand, une h is to ir e d e Fr a n ç a is ” , Seuil, 1998 cfr.
http://www.mitterrand.org/spip/arti
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incomparabile studia i rapporti che si instaurano tra gli uomini - siano essi compagni o
torturatori - entro quello spazio di follia che fu il campo di concentramento nazista.
Nel 1950 venne espulso dal PCF insieme con la stessa Duras, Dionys Mascolo ed Edgar
Morin.
Dal 1951 esercitò la professione di critico radiofonico e in seguito televisivo; lavorò
anche, per Gallimard, all’Enciclopedia della Pléiade diretta da Raymond Queneau. Si
impegnò ancora in politica, in particolare fondando il comitato d’azione contro la guerra
in Africa del Nord nel 1955. Collaborò alla rivista 14 Juillet di Mascolo e Jean Schuster
al fine di protestare contro la presa di potere di De Gaulle nel 1958. Alla stessa rivista
collaborò anche Maurice Blanchot, colui che scrisse le pagine forse più pregnanti
sull’opera di Antelme. Fu anche tra i firmatari del cosiddetto “Manifesto dei 121” che,
nel 1960, riunì 121 intellettuali, tra cui ancora Blanchot, per rivendicare il diritto alla
disobbedienza durante la guerra in Algeria
14
. Continuò a combattere per i propri ideali
fino alla morte, avvenuta a Parigi nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 1990 all’ospedale
Des Invalides.
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Maurice Blanchot, Nostra compagna clandestina, Scritti politici (1958-1993), Cronopio, Napoli , 2004