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L'ultimo degli esistenzialisti - Ingmar Bergman e le filosofie del dubbio

Il presente lavoro mira a fornire un approfondimento dell'opera di Ingmar Bergman e dei contesti filosofici, biografici e storico-culturali in cui prende forma, ponendo altresì l'accento sugli sviluppi del modernismo letterario svedese e sul pensiero del finlandese Eino Kaila. Il testo propone un'analisi comparativa degli autori conterranei e non a Bergman – tra cui Søren Kierkegaard, Stig Dagerman, Pär Lagerkvist, August Strindberg e Albert Camus - che gli hanno permesso di impostare la sue future ricerche filosofiche sul silenzio di Dio, sul dubbio e sull'angoscia (ångest) come strumenti della conoscenza, sul concetto centrale di utplånande (l'essere annichilito dallo scorrere del tempo) e sulla dialettica problematica tra l'agnosticismo puro e la nostalgia fideistica. Giusta rilevanza sarà data alla produzione sia drammaturgica che letteraria di Bergman la quale ha rappresentato l'iniziale output creativo con cui il futuro regista – non abbandonando la scrittura per il teatro – darà espressione al clima angoscioso degli anni Quaranta. I risvolti e le risoluzioni dell'iniziale pessimismo che Bergman erediterà dal suo clima culturale saranno incarnati sul valore attribuito alla libertà dell'agire come fine supremo a cui l'uomo tende, in questo riallacciandosi alla filosofia di Immanuel Kant. Il fecondo rapporto con Kaila, eminente personalità dell'empirismo logico, è stato più volte sottolineato da Bergman il quale dichiarò, nella prefazione al volume Quattro film, che da un punto di vista filosofico vi è stato un libro che ebbe un'enorme influenza su di lui: la psicologia della personalità di Eino Kaila. La tesi centrale di questo testo, che l'uomo vive strettamente a contatto con i suoi bisogni, negativi e positivi, ebbe su di lui un effetto sconvolgente e costruì su questa base. Il lavoro presenterà in che modo alcuni snodi concettuali sorti dal pensiero di Kaila - rientrante anch'esso nelle cosiddette filosofie del doiazein (δοιάζειν) - siano confluiti nell'operato di Bergman e come al tempo stesso siano stati rielaborati personalmente dal regista svedese. Successivamente una parte sarà dedicata all'analisi del secondo film della trilogia del silenzio di Dio, Nattvardsgästerna, in cui tutti i temi cari a Bergman prenderanno corpo nei loro risvolti più problematici e drammatici. Come chiosa finale, in appendice,il lavoro si conclude con una disamina dettagliata di Ormskinnet, il saggio che il regista scrisse in occasione della celebrazione del premio Erasmus, conferitogli nel 1965 in ex aequo con Chaplin. Contenuto in Artiklar, essäer, föredrag, una silloge antologica curata dalla Norstedts, Ormskinnet - tradotto in italiano "la pelle di serpente" - indaga le cause della fame artistica, del ruolo che all'artista è concesso di coprire in un'epoca in cui l'impulso vitale della creazione, il suo orizzonte di senso, pare essersi estinto sotto lo spesso strato di nichilismo estetico delle avanguardie ( in cui le arti iniziano a influenzarsi e a generarsi a vicenda) e dove l'Arte si è emancipata dalla fede: il taglio del cordone ombelicale. Ciò che più conta per Bergman, riprendendo una massima del drammaturgo americano Eugene O'Neill, è il rapporto dell'uomo con Dio. Tutto il testo è privo di importanza.

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5 INTRODUZIONE Ingmar Bergman ha segnato uno spartiacque nella storia del cinema d’arte europeo; oltre ad aver elaborato un inedito linguaggio cinematografico – di cui i close-up dei volti lo hanno contraddistinto – egli ha saputo sfruttare le risorse del montaggio e dei dialoghi al fine di elaborare concetti filosofici. L’opera del maestro svedese ha testimoniato la transizione epocale che in ambito del pensiero speculativo ha comportato un passaggio dalle filosofie della certezza alle filosofie del dubbio. La perdita di un Archè fondativo, sancito definitivamente dallo scarto anti-epistemico del Post-Hegelismo, determinò la messa in campo di una serie di atteggiamenti, da parte degli artisti del secondo dopoguerra, volti a negare il valore degli Eterni e mostrando lo struggimento e la dissoluzione dell’individuo umano. I concetti Bergmaniani sono diretta espressione di questa perdita di senso che ha colpito l’Europa a partire dai primi decenni del ventesimo secolo. Se Husserl ha parlato di una crisi delle scienze europee, Bergman tratta della crisi delle creature umane in sé nel momento in cui una possibile morte di un Dio lascia l’uomo solo di fronte a se stesso e al mondo 1 . Questa messa in discussione degli antichi valori del passato ha condotto Bergman a confrontarsi direttamente con le principali tematiche che hanno visto impegnati sia gli esistenzialisti francesi che quelli tedeschi a lui contemporanei, sia romanzieri che filosofi del passato in cui è già possibile ravvisare i prodromi della “crisi”. La morte, la suprema solitudine, è il tratto distintivo e immediato della crisi. La morte non è più solo un punto di passaggio verso i Noema 2 platonici, accessibili solo dopo il congedo dal proprio corpo. Essa è anche disfacimento dell’anima; è anzitutto fine autoindotta, annichilimento dell’essere. Il ritrovamento di tale evidenza – riscoperta di un’intuizione atavica – è dirompente e incontenibile per l’uomo moderno, costretto a osservare il volto della morte nella sua più cruda tangibilità. Egli è sempre stato vittima della cecità; all’insaputa di ciò che lo circondava, l’uomo innalzò lo sguardo al cielo osservando il sole, contrassegno ed emblema del Vero e del Giusto; dopodiché, all’alba della crisi, una coltre maligna oscurò la realtà delle idee, protettrice dell’eternità, costringendo l’umanità tutta a considerare nuovamente quello che aveva preferito ignorare. Non si parla più di una società nella crisi dei valori, bensì dell’individuo, delle sue angosce e dell’impossibilità a riconoscersi come elemento facente parte di una storia razionale e coerente. È l’individuo a essere messo sotto analisi dallo psicanalista, sono le nevrosi a definire la 1 A. Fusco, Ingmar bergman, proposta di lettura in chiave psicologica, Teseo Editore, Frosinone, “s.d”, p. 6. 2 Noema (νόημα) come pensiero di verità o come noùmenon hèn eìnai, qualcosa di pensato come uno, ovverosia le Idee.

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ingmar bergman
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