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Dimenticati di stato? Gli IMI e i Fremdarbeiter comaschi attualmente sepolti in Germania, Austria e Polonia

La tesi di laurea tratta di un elenco di 139 caduti comaschi della seconda guerra mondiale (tra IMI, militari italiani internati, Fremdarbeiter, lavoratori in Germania e deportati civili e politici) che dopo l'annuncio dell'armistizio italiano dell'8 settembre 1943 (proclama Badoglio) vennero detenuti e sfruttati nei campi di concentramento e detenzione nazisti in Germania, Austria e Polonia.
Il lavoro parte da una ricerca effettuata da uno studioso veneto che ha raccolto i dati di più di 16.000 dispersi di tutta Italia, pubblicando questi dati su un sito, siccome molte delle famiglie non vennero mai a conoscenza del luogo di sepoltura del loro caro.

Per quanto riguarda i nominativi della provincia di appartenenza della scrivente, ho proceduto dapprima ad una lunga ricerca d'archivio (all'Archivio di Stato di Como) riguardo l'esattezza e l'approfondimento dei singoli 139 nominativi; in seguito ho proseguito contattando alcuni dei parenti ed impegnandomi a diffondere la storia di queste persone a livello locale, con articoli di giornale e TV.

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INTRODUZIONE Ho intrapreso questa ricerca quasi per caso, ma appena ho iniziato ad approfondire questa vicenda per lo più oscura ed “affossata”, fin da subito ne sono rimasta colpita. Non mi spiegavo come una storia così esemplare, così forte, fosse pressoché sconosciuta al “grande pubblico”. Anch’io non ne ero a conoscenza e me ne sono vergognata un po’: forse anche per questo ho preso molto a cuore questa vicenda. Non capivo perché migliaia di soldati italiani furono fatti prigionieri dai loro ex-alleati. Totalmente all’oscuro dell’imminente armistizio italiano con gli anglo-americani, non poterono opporsi efficacemente ai piani criminali nazisti per catturarli e deportarli in Germania. Sono rimasta stupita perché circa 650-700.000 militari italiani furono imprigionati in Germania, ed obbligati a lavorare per il Reich senza alcuna tutela internazionale (con uno status giuridico ad hoc), dopo aver rifiutato di collaborare con le forze naziste e fasciste. Sconvolta perché lo Stato italiano, abbandonata Roma ed ormai forte dell’appoggio Alleato, non fece niente per loro, nemmeno opera assistenziale. Soprattutto però, sono rimasta impressionata dalla fermezza e dalla compattezza dimostrata dai militari internati, che più volte rifiutarono la collaborazione con il nazismo e la Repubblica Sociale di Mussolini. Per questo rifiuto, sopravvissero sfruttati per circa venti mesi in condizioni pietose ed al limite della sopravvivenza (chiaramente mirate al loro annientamento), non tutelati e male assistiti, traditi dal loro stesso Paese, ma essi scelsero di non tradirlo a loro volta per salvarsi da una morte quasi sempre troppo vicina. Infatti se quei poveri 650.000-700.000 uomini e ragazzi avessero scelto di passare dalla parte dei tedeschi, quale resistenza partigiana ci sarebbe stata in Italia, ad esempio? Se tutti quelle persone fossero entrate nelle file della Wehrmacht, anche nel caso in cui la Germania non avesse vinto, molto probabilmente avrebbero differito notevolmente la fine del conflitto. In più, durante la prigionia, il loro rifiuto ha un immenso valore sotto il profilo morale, civico ed in ultima istanza politico. Infatti se le scelte inizialmente furono dettate da un forte senso di rigetto verso la guerra, dalla diffidenza verso i tedeschi, col tempo si rafforzò in loro, soprattutto negli ufficiali più istruiti, un forte senso civile, patriottico e politico. Moltissimi di loro erano nati e cresciuti inquadrati dal fascismo, ed era difficile liberarsi da tutti i retaggi della sua propaganda. Eppure svilupparono un senso di Patria avulso da questo, una determinazione a resistere che sorgeva dalla volontà di difendere le famiglie italiane, il proprio paese, le proprie tradizioni. Questo nuovo indirizzo patriottico in diversi casi si trasformò nel dopoguerra in un forte impegno politico e sociale; alcuni ex Imi divennero senatori (Paolo Desana, Alessandro Natta), intellettuali (Giovannino Guareschi, Giuseppe Lazzati) ed artisti. Nella nostra Italia abbiamo non pochi esempi di grande eroismo paragonabili a questo, ma raramente si hanno situazioni ugualmente oggetto di oblio. Nessun riconoscimento è mai stato assegnato ufficialmente (se non per alcuni la croce al merito) sia ai sopravvissuti, sia ai caduti. “Traditi, disprezzati e dimenticati”, come uno storico tedesco li definirà nei suoi libri. Focalizzando il discorso in direzione della mia ricerca, addirittura molti parenti non hanno mai saputo dove si trovassero i loro cari caduti per la Patria, mentre negli anni 1957-58 il Ministero aveva provveduto a spostare molti dei loro resti in cimiteri militari d’onore costruiti apposta in Germania! E non solo, una legge ne vietava anche il rimpatrio!

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