INTRODUZIONE
Ho intrapreso questa ricerca quasi per caso, ma appena ho iniziato ad approfondire questa vicenda per
lo più oscura ed “affossata”, fin da subito ne sono rimasta colpita.
Non mi spiegavo come una storia così esemplare, così forte, fosse pressoché sconosciuta al “grande
pubblico”. Anch’io non ne ero a conoscenza e me ne sono vergognata un po’: forse anche per questo ho
preso molto a cuore questa vicenda.
Non capivo perché migliaia di soldati italiani furono fatti prigionieri dai loro ex-alleati. Totalmente
all’oscuro dell’imminente armistizio italiano con gli anglo-americani, non poterono opporsi
efficacemente ai piani criminali nazisti per catturarli e deportarli in Germania. Sono rimasta stupita
perché circa 650-700.000 militari italiani furono imprigionati in Germania, ed obbligati a lavorare per il
Reich senza alcuna tutela internazionale (con uno status giuridico ad hoc), dopo aver rifiutato di
collaborare con le forze naziste e fasciste. Sconvolta perché lo Stato italiano, abbandonata Roma ed
ormai forte dell’appoggio Alleato, non fece niente per loro, nemmeno opera assistenziale. Soprattutto
però, sono rimasta impressionata dalla fermezza e dalla compattezza dimostrata dai militari internati,
che più volte rifiutarono la collaborazione con il nazismo e la Repubblica Sociale di Mussolini. Per
questo rifiuto, sopravvissero sfruttati per circa venti mesi in condizioni pietose ed al limite della
sopravvivenza (chiaramente mirate al loro annientamento), non tutelati e male assistiti, traditi dal loro
stesso Paese, ma essi scelsero di non tradirlo a loro volta per salvarsi da una morte quasi sempre troppo
vicina.
Infatti se quei poveri 650.000-700.000 uomini e ragazzi avessero scelto di passare dalla parte dei
tedeschi, quale resistenza partigiana ci sarebbe stata in Italia, ad esempio? Se tutti quelle persone
fossero entrate nelle file della Wehrmacht, anche nel caso in cui la Germania non avesse vinto, molto
probabilmente avrebbero differito notevolmente la fine del conflitto.
In più, durante la prigionia, il loro rifiuto ha un immenso valore sotto il profilo morale, civico ed in
ultima istanza politico. Infatti se le scelte inizialmente furono dettate da un forte senso di rigetto verso
la guerra, dalla diffidenza verso i tedeschi, col tempo si rafforzò in loro, soprattutto negli ufficiali più
istruiti, un forte senso civile, patriottico e politico. Moltissimi di loro erano nati e cresciuti inquadrati dal
fascismo, ed era difficile liberarsi da tutti i retaggi della sua propaganda. Eppure svilupparono un senso
di Patria avulso da questo, una determinazione a resistere che sorgeva dalla volontà di difendere le
famiglie italiane, il proprio paese, le proprie tradizioni. Questo nuovo indirizzo patriottico in diversi casi
si trasformò nel dopoguerra in un forte impegno politico e sociale; alcuni ex Imi divennero senatori
(Paolo Desana, Alessandro Natta), intellettuali (Giovannino Guareschi, Giuseppe Lazzati) ed artisti.
Nella nostra Italia abbiamo non pochi esempi di grande eroismo paragonabili a questo, ma raramente si
hanno situazioni ugualmente oggetto di oblio. Nessun riconoscimento è mai stato assegnato
ufficialmente (se non per alcuni la croce al merito) sia ai sopravvissuti, sia ai caduti. “Traditi, disprezzati
e dimenticati”, come uno storico tedesco li definirà nei suoi libri. Focalizzando il discorso in direzione
della mia ricerca, addirittura molti parenti non hanno mai saputo dove si trovassero i loro cari caduti
per la Patria, mentre negli anni 1957-58 il Ministero aveva provveduto a spostare molti dei loro resti in
cimiteri militari d’onore costruiti apposta in Germania! E non solo, una legge ne vietava anche il
rimpatrio!
Tante associazioni si sono occupate di diffondere e far conoscere questa storia, ma nessuna è riuscita a
diffondere fino all’opinione pubblica la storia degli IMI, i militari internati italiani.
Nell’ultimo decennio però, un ricercatore di Verona, Roberto Zamboni, cercando suo zio morto dopo la
deportazione in Germania, si è scontrato con questa agghiacciante realtà: dopo aver lottato per
ottenere una legge che consentisse il rimpatrio dei resti di tutti i caduti, è riuscito a far rientrare in Italia
la salma di suo zio, che non aveva mai conosciuto.
Eppure non si fermò, perché prese a cuore la triste sorte degli IMI, tanto da lavorare da ormai più di
dieci anni per stilare elenchi dei militari, lavoratori e deportati morti in Germania per informare le
famiglie del loro luogo di sepoltura, da molte di queste cercato invano. Dopodiché ha provveduto e sta
provvedendo tuttora a pubblicare questi elenchi sul suo sito (www.robertozamboni.com), per estrarre
la memoria del loro sacrificio dall’oblio in cui sono stati gettati. Per vergogna, per negligenza, non è mio
compito giudicare.
Roberto Zamboni li definisce “Dimenticati di Stato”: nella mia ricerca ho incontrato altre persone
coinvolte e che si impegnano per diffondere questa triste storia e mantenere viva la memoria di tanti
militari che hanno volontariamente deciso di sacrificarsi per la loro Patria. E non solo degli IMI, ma
anche dei lavoratori che si recarono in Germania per condizioni di lavoro ed un salario migliori rispetto
a quanto poteva offrire la disastrata economia fascista e dei deportati civili e politici, quasi sempre
ingiustamente condotti nei lager nazisti. E tutti quanti sfruttati coattamente nelle industrie del Reich in
condizioni di denutrizione estreme e sotto il rischio costante di bombardamenti.
Ed anche io, nel mio piccolo, ho voluto dare il mio contributo per far conoscere questa storia e le
singole vicende di tutti i 139 caduti comaschi, siano IMI, lavoratori o deportati, ricostruite attraverso i
documenti dell’Archivio di Stato di Como, indagini personali e la raccolta di testimonianze.
L’intenzione è di rendere noto il grande esempio morale, civile e patriottico che il sacrificio di tutte
queste persone ci ha offerto.
pagina 1
8 SETTEMBRE 1943
L’INTE R NAMENT O
Treviso, 09/09/1943
Carissimi genitori,
Io sto bene così spero sia di voi. Non mi pare ancora vera la notizia di ieri sera
dell’armistizio e non potete immaginare il sollievo che ha portato qui in caserma.
Speriamo che non intervengano altri avvenimenti a turbare la pace che è più che necessaria
per l’Italia. La data dell’8 settembre ha un certo significato per noi cattolici e speriamo
che la Madonna con questa data abbia voluto porre termine definitivamente al nostro
castigo. I perturbatori del mondo stanno per essere sconfitti. Per noi questa può
chiamarsi la guerra della liberazione. E l’Italia sarà ricompensata del sacrificio che ha
fatto.
Saluti affettuosi,
Gino
pagina 2
Purtroppo il soldato autore di questa lettera non poteva sapere cosa sarebbe successo
poco tempo dopo averla scritta. Egli aspettava fiducioso il rientro a casa per riappropriarsi di
una vita che a soli venti anni gli era stata sottratta da una guerra da cui era totalmente
estraneo (definendo fascisti e nazisti come “i perturbatori del mondo”). Non poteva sapere che
entro poche ore sarebbe avvenuta la cattura e l’internamento delle armate italiane, non solo a
Treviso dove si trovava, ma anche in tutta Italia, Francia meridionale, Grecia ed isole. Infine
non sapeva che andava incontro alla morte, che avrebbe incontrato nel lager di Bad Sulza
soltanto l’anno seguente.
Cercare di capire i motivi per cui a questi 140 comaschi toccò questa sorte, meriterebbe
una lunga e spinosa (ma doverosa) esposizione riguardo la storia e le ideologie di due tra i
maggiori totalitarismi
1
del Novecento. Sarebbe utile anche un inquadramento su tutta la storia
della seconda guerra mondiale per tentare di comprendere come gli eventi abbiano portato in
poco meno di 3 anni (dall’entrata ufficiale italiana nel conflitto, il 10 giugno 1940) dall’alleanza
militare del 22 maggio 1939 del Patto d’Acciaio (seppur l’Italia fosse in posizione molto
subordinata rispetto alla Germania nazista), al settembre 1943 con l’internamento dei soldati
italiani con una denominazione ad hoc (IMI) che non permetteva la tutela a livello
internazionale (l’assistenza della Croce Rossa, invio di generi alimentari, etc.), quindi con meno
diritti dei normali prigionieri nemici. Allo stesso modo, i tanti lavoratori italiani che si erano
trasferiti a lavorare in Germania prima della guerra con lo stesso trattamento economico dei
tedeschi in virtù dell’alleanza nazi-fascista, verso la fine della guerra erano sovra-sfruttati come
manodopera gratuita (l’invio di soldi a casa era ormai impossibile), pur spesso nello stesso
luogo di lavoro di prima e sotto il rischio costante di bombardamenti.
La causa congiunturale di questo totale rovesciamento fu l’8 settembre 1943, ovvero il
giorno della proclamazione (di Eisenhower prima e di Badoglio poi) dell’armistizio italiano con
gli Alleati anglo-americani.
Esporre dettagliatamente le cause e gli avvenimenti che portarono al disastro italiano dell’8
settembre è un compito che va oltre l’argomento di questa tesi; dunque, presentando le
circostanze dell’8 settembre, affronterò l’argomento sinteticamente e marcatamente solo nei
punti più pertinenti la vicenda dei militari internati.
Successivamente, seguirò la sorte degli internati militari italiani durante il disarmo e la
cattura, quando inizia la loro vera Resistenza, che parte dalla deportazione in aerea nazista
2
.
Contestualmente all’inizio del loro sfruttamento nelle industrie del Reich, riprenderò la sorte
dei lavoratori già presenti in Germania prima dell’8 settembre, che verso la fine del conflitto
tendono a confondersi coi militari (privati di ogni grado nel ‘44), coi deportati civili e politici e
nuovi lavoratori mandati a forza in Germania dopo la costituzione della Repubblica Sociale.
Queste sono tutte categorie che ho ritrovato nell’elenco di Zamboni, ricostruendo, partendo
dai soli nomi e dati anagrafici, le storie e le varie vicende dei singoli.
Nonostante i grossolani errori del governo Badoglio, non si può dimenticare che l’8
settembre è stato il prezzo per la guerra voluta, condotta e persa da Mussolini.
La caduta del regime fascista il 25 luglio 1943, su cui non mi soffermo, era una svolta decisiva
per il futuro dell’Italia, ma purtroppo non significava anche l’automatica uscita dalla guerra,
come tutto il popolo italiano e i militari speravano.
1
Anche se non c‟è accordo globale su tutti i regimi considerati convenzionalmente totalitarismi (per il fascismo), in
quanto non c‟è unanimità di pensiero per i maggiori studiosi (R. Aron, C. Friedrich, Z. Brzezinski) che se ne sono
occupati
2
Nello specifico della ricerca di Zamboni, Germania Austria e Polonia
pagina 3
In questo senso, come sottolinea Giorgio Rochat efficacemente
3
, l’8 settembre è stato il prezzo
che l’Italia ha dovuto pagare per uscire dal conflitto: la rottura dell’alleanza con la Germania e
la resa senza condizioni agli anglo-americani.
Anche analizzando da vicino le colpe del governo Badoglio, cui accennerò tra poco, ci si
rende conto della situazione gravemente compromessa ereditata al 25 luglio. Resta comunque
il fatto che avrebbe sicuramente potuto uscirne meglio, evitando il totale disastro dell’8
settembre.
Le sue cifre sono eloquenti: se si ipotizzano circa 2.000.000 di militari italiani attivi all’8
settembre
4
, in 800.000 si stimano i disarmati, e in 650.000 i prigionieri deportati
5
, oltre ad un
numero imprecisato di caduti.
Le trattative armistiziali nei 45 giorni del governo Badoglio
Come accennato, la situazione al 25 luglio era davvero complessa e difficile: da una parte
lo sbarco e la presenza degli Alleati in Sicilia (già dal 10 luglio) e dall’altra la minaccia delle
truppe tedesche fatte calare in Italia da Hitler dopo l’arresto di Mussolini (e che il nuovo
governo non aveva osteggiato, se non favorito per paura di sbarchi alleati sulla penisola). In
più, i bombardamenti crescenti (vista la vicinanza degli anglo-americani), l’esercito italiano
demotivato, mal equipaggiato e comandato ancor peggio, un paese provato da venti anni di
regime fascista ed una guerra in corso da gestire.
Il sentimento popolare alla caduta del fascismo era di ottimismo e di euforia, perché si
sentiva vicina la fine della guerra (un umore simile a quello che nel ’40 ne aveva accolto
l’inizio
6
): questo sentimento aveva anche più peso per i militari, disillusi e stanchi di una guerra
di cui non si erano mai sentiti partecipi e tantomeno motivati ad esserlo (se non all’inizio grazie
alla propaganda fascista) e a cui partecipavano senza direttive
7
e attrezzature adeguate
8
. Ne
approfitto per sottolineare quanto questo contesto rende ancora più significativa in seguito la
scelta degli IMI di rimanere fedeli all’Italia e di resistere.
3
Nel saggio introduttivo all‟opera di Avagliano, Palmieri, Gli internati militari italiani, Torino, Eiunaudi, 2009
4
C‟è molto disaccordo su questa cifra, che si complica ulteriormente se si tiene conto approssimativamente anche
delle perdite fra morti, feriti ed ospedalizzati: io ho usato la cifra di Gerhard Schreiber, Gli internati militari italiani
internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943-1945, ma nel 2005, per citarne uno, Giorgio Rochat ne
stimava a grandi linee 3 milioni e mezzo. L‟unica certezza, al di là delle ipotesi, risiede nei dati, i quali enumerano
oltre 5 milioni di mobilitati durante il secondo conflitto mondiale.
5
Eviterò quanto più possibile definizioni quantitative degli IMI poiché non sono mai unanimi. è possibile delineare
con certezza solo un numero approssimativo, che oscilla indicativamente dai 650.000 di Avagliano e Palmieri, Gli
Internati Militari Italiani ai 720.000 individuati dall‟archivio IMI di Sommaruga insieme al centro di
documentazione Schiavi di Hitler.
6
Una vivace testimonianza di questo entusiasmo popolare, che sfiorava la commozione, all‟entrata in guerra è
contenuta in Mazzantini Carlo, L’ultimo repubblichino: sessant’anni sono passati, Venezia, Marsilio, 2005
7
Per esempio, diversi ufficiali erano stati reclutati come “volontari per legge” (automaticamente come ufficiali
superiori!) tra gli studenti universitari dopo l‟abolizione nel ‟41 dell‟esenzione dal servizio per motivo di studio: per
il gran numero di nuovi ufficiali dopo questo annullamento, non si è nemmeno provveduto ad una formazione
adeguata viste le necessità della guerra (crf. Giorgio Rochat, Prefazione, in Avagliano, Palmieri, op. cit.)
8
Tagliasacchi Claudio, Prigionieri dimenticati: internati militari italiani nei campi di Hitler, Venezia, Marsilio,
1999. L‟autore, ex-Imi, dopo la liberazione da parte degli Alleati, rimase abbagliato quasi come un bambino di
fronte all‟equipaggiamento, all‟organizzazione e alla quantità di generi di consumo posseduti dai singoli soldati
americani, facendo poi un confronto impietoso con i corrispettivi italiani in armamenti e razioni personali di viveri
e sigarette.
pagina 4
Eppure, all’indomani dell’insediamento del nuovo governo, Badoglio disattese
completamente le aspettative annunciando la prosecuzione della guerra al fianco dei tedeschi.
Dalla metà d’agosto però, iniziarono i primi confusi tentativi di trattativa con gli anglo-
americani. Spesso in questi 45 giorni
9
, il governo Badoglio non perse occasione di ribadire in
modo plateale la vicinanza all’alleato germanico mentre “nell’ombra” trattava con gli Alleati; è
opinione corrente pensare che le trattative d’armistizio fossero iniziate immediatamente dopo
l’insediamento del nuovo governo, ma come dimostra Ruggero Zangrandi nel suo tormentato
libro L’Italia tradita
10
, all’inizio il governo Badoglio era seriamente del parere di continuare lo
sforzo bellico, come confermano diverse fonti
11
.
Al di là di questa precisazione, che precedeva soltanto la presa di coscienza
dell’impossibilità reale per l’Italia di continuare il conflitto, verso la metà di agosto, il governo
Badoglio dispose diverse confuse trattative con gli anglo-americani, che si esaurivano nel giro
di pochi giorni e senza credibilità ufficiale, poiché venivano promosse da singoli esponenti del
governo e soprattutto senza veste di ufficialità.
Questi primi confusi tentativi erano a detta di Badoglio dei “sondaggi” che si fermarono
sempre alle battute iniziali perché erano «unicamente rivolti a vedere quali maggiori vantaggi
sarebbero potuti derivare da un eventuale capovolgimento delle alleanze, senza che ancora vi
fosse una precisa determinazione azione a compiere tale azione»
12
. Difatti tutte queste
iniziative vennero organizzate male ed affidate a personaggi di nessun rilievo politico (duca
Aimone d’Aosta, principessa Maria José, e poco più seriamente con gli ambasciatori D’Ajeta e
Berio), e principalmente volte ad accertare l’intenzione degli Alleati di sbarcare in forze
consistenti in Italia, ed in particolare a Roma e sondando la possibilità di protezione alleata nel
caso di allontanamento del governo dalla Capitale in emergenza.
Ovviamente, nonostante le assicurazioni italiane di non prestar fede al continuo ribadire
“ufficialmente” l’alleanza coi tedeschi, gli Alleati non erano assolutamente disposti a rivelare
nessuno dei loro piani ad un nemico che si presentava tramite dei rappresentanti senza
credenziali e che si prestava a fare doppiogioco con entrambi gli schieramenti.
Inoltre, gli Alleati non si dimostravano particolarmente interessati ad ottenere la resa italiana a
tutti i costi e ad approfondire le trattative con uno qualsiasi di questi “rappresentanti”: si
limitavano sempre a proporre un armistizio, a dure condizioni, che era possibile
semplicemente accettare o rifiutare, ma non negoziare.
Una possibile spiegazione riguardo questo disinteresse viene fornito da Zangrandi (sempre
ne L’Italia tradita) incappando in un movente desolante per l’Italia, ma che rivela un piano
programmatico ben preciso, ed ancora in corso all’agosto ’43. In una lettera di Eden, ministro
9
Cioè la durata del Governo Badoglio I, dal 25 luglio all‟8 settembre 1943.
10
Ruggero Zangrandi, L’Italia Tradita, Milano, Mursia, 1971. Ho specificato tormentata, perché la sua
pubblicazione è stata osteggiata e criticata (e rimandata) per diversi anni perché fu il primo ad occuparsi seriamente
dell‟8 settembre in Italia, e soprattutto in antitesi rispetto alle spiegazioni e pubblicazioni “ufficiali”, le uniche fino
ad allora sull‟argomento. Zangrandi compie un meticoloso lavoro di ricerca nelle fonti italiane, ma anche americane
e tedesche (perché in diversi casi quelle italiane sono reticenti o occultate) per dimostrare le vere colpe di questo
disastro, dopo che l‟inchiesta ufficiale aveva assolto tutti i principali colpevoli, incriminando soltanto dei
personaggi minori per la mancata difesa di Roma.
11
Rammenta l‟ex capo di Stato Maggiore dell‟esercito Mario Roatta: «Se il crollo del regime fascista ha dato
immediatamente ad una parte del popolo italiano – e per riflesso, anche ad una parte delle truppe- l’idea e la
speranza che ne sarebbe automaticamente seguita la cessazione della guerra, questo non era certamente nella
mente dello Stato Maggiore e dei comandi dipendenti (…) Noi non eravamo allora affatto orientati ad un conflitto
con la Germania e neppure ad un semplice distacco da essa». Da R. Zangrandi, op. cit.
12
R. Zangrandi, op. cit., p. 53
pagina 5
degli Esteri inglese, a Cordel Hull, segretario di Stato americano, del 14 gennaio 1943 (quindi
ben prima del crollo fascista), il primo scrive:
«Il nostro obiettivo deve essere quello di cacciare l’Italia fuori dalla guerra il più
rapidamente possibile e ciò può essere realizzato quasi con lo stesso effetto, sia che
l’Italia concluda una pace separata, sia che i risentimenti ed i disordini all’interno del
paese raggiungano tali proporzioni che i Tedeschi siano costretti ad effettuare
un’occupazione totale. In quest’ultima ipotesi i Tedeschi, non solo dovrebbero fornire le
truppe per l’occupazione dell’Italia, ma sarebbero altresì costretti a sostituire le truppe
italiane sul fronte Russo, in Francia e nei Balcani. Le nostre lettere condividono i dubbi
espressi circa il valore dell’Italia, persino come alleata della Germania. A loro avviso
potrebbe ben essere che l’Italia, quale componente dell’Asse, risulti un onere tedesco e
divenga un peso crescente del potenziale germanico» e dopo aver espresso molto
scetticismo sulla possibilità che monarchia, esponenti del governo fossero intenzionati
o capaci di sbarazzarsi del fascismo, Eden proseguiva: «Pertanto, il punto di vista del
Governo di S.M. (Sua Maestà inglese, ndr), è quello che non dovremmo contare sulla
possibilità di una pace separata ma dovremmo mirare a provocare in Italia tali disordini
da richiedere un’occupazione tedesca»
Obbiettivo raggiunto grazie allo sbarco in Sicilia ed al contestuale (e anche in parte
conseguente) crollo del fascismo.
Questo documento, oltre ad essere quasi profetico nelle sue previsioni, costituisce una grave
onta per l’Italia. Soprattutto però, dimostra che gli Alleati partivano da una concezione
diametralmente opposta rispetto alle pretese badogliane. I rappresentanti italiani infatti si
permettevano persino di suggerire l’opzione di effettuare sbarchi secondari in Francia per
attirare le forze tedesche fuori dalla penisola, mentre agli anglo-americani non interessava
neppure una resa.
Questo atteggiamento si sarebbe fortemente percepito anche nei giorni della firma
dell’armistizio, durante e dopo i quali gli Alleati non vollero mai far sapere (o quantomeno
chiaramente, come ipotizza Zangrandi) nemmeno il giorno di proclamazione ufficiale
dell’armistizio da parte di Eisenhower.
Rimane su questo punto da sottolineare il fatto che durante le varie trattative, da parte
italiana non si siano mai chieste assicurazioni o forme di protezione per le truppe italiane di
stanza insieme ai tedeschi per l’Europa, e nemmeno per quelle in Italia (e come vedremo,
anche per i lavoratori in Germania). I rappresentanti del governo insistettero soltanto per
assicurare la salvezza “fisica” del governo in caso di complicazioni e richiesero,
contestualmente alla proclamazione dell’armistizio, uno sbarco massiccio ed alcuni sbarchi-
esca in Italia allo scopo di neutralizzare l’opprimente presenza tedesca in Italia, soprattutto
intorno a Roma.
Il decisivo ma non più serio tentativo (almeno all’inizio) di contrattare l’armistizio fu ad
opera del generale Giuseppe Castellano, mandato dal solo Capo di Stato Maggiore Vittorio
Ambrosio. Egli si presentò a Madrid dall’ambasciatore inglese Samuel Hoare (con un semplice
biglietto di presentazione dell’ambasciatore inglese al Vaticano), che lo rimandò al suo collega
di Lisbona.
Il generale Castellano viene presentato da Zangrandi come un personaggio assai impreciso e
saccente (il che però viene supportato dalle fonti che adduce come prova), tanto che ad
pagina 6
esempio la sua missione divenne molto presto ben poco segreta a Roma, nonostante le cautele
prestate da Ambrosio.
A Lisbona, egli incontrò l’ambasciatore sir Ronald Hugh Campbell, il quale stette a sentire
la proposta di armistizio di questo «oscuro generale», ricorda Campbell nelle sue memorie
13
,
«che si rivolgeva a me senza credenziali» e che, senza dargli nemmeno il tempo di mettersi in
contatto con il suo governo, chiedeva di parlare con l’addetto militare, con la pretesa
dell’urgenza di sistemare i rapporti fra i due Paesi.
Nonostante l’ovvia diffidenza dell’ambasciatore, venne comunque organizzata per il 19
agosto una riunione con alcuni addetti militari Alleati, tra i quali figurava Bedell Smith, capo di
Stato Maggiore delle forze Alleate nel Mediterraneo. La prima cosa che essi fecero fu
presentare a Castellano il testo delle condizioni d’armistizio (che era stato definitivamente
messo a punto il 6 agosto da Eisenhower, Churchill e Roosevelt), sommato ad un telegramma
giunto dal Québec in cui Roosevelt e Churchill stabilivano una condizione aggiuntiva, ovvero
che la cessazione delle ostilità sarebbe entrata in vigore «a partire dalla data e dall’ora che
verrà comunicata dal generale Eisenhower» e che il governo italiano avrebbe dovuto
«impegnarsi a proclamare l’armistizio non appena esso verrà annunciato dal generale
Eisenhower». Proseguiva poi con diversi consigli su come il governo italiano poteva nel
frattempo sabotare l’azione tedesca in Italia. Questo documento, seppur non inserito nel testo
dell’armistizio, era vincolante e diverrà molto significativo per i futuri IMI, poiché questoa
condizione venne presa a pretesto per le direttive confuse e poco chiare che arrivarono alle
armate dislocate per l’Europa.
Castellano invece, non si preoccupò molto delle condizioni armistiziali ma volle discutere più
di ogni altra cosa delle modalità d’invasione dell’Italia, proponendo La Spezia e Rimini come
punti d’approdo più convenienti. In sostanza però, non ricevette nessuna assicurazione
neppure sul fatto se le sue richieste fossero corrispondenti ai piani Alleati.
Senza soffermarsi eccessivamente riguardo la missione Zanussi e la trappola
dell’armistizio lungo, circa una settimana dopo la missione Castellano (precisamente il 18
agosto), a Roma, sempre Ambrosio fece partire il generale Giacomo Zanussi per rintracciare
Castellano e, ove non lo avesse trovato, sostituirsi a lui nelle trattative alleate. Entrambi erano
in viaggio contemporaneamente e non s’incrociarono, perciò a Lisbona Zanussi chiese di
parlare (di nuovo) con gli addetti militari (ancora Smith tra essi), i quali dopo i comprensibili
sospetti iniziali, gli consegnarono il testo dell’armistizio detto “lungo” che dettava delle rigide
condizioni politiche, economiche e finanziarie a cui nell’armistizio “corto” (quello dato a
Castellano) si accennava soltanto, dandole per accettate.
Questo stratagemma non era molto avveduto e lineare (poiché Eisenhower in una lettera al
suo governo affermò che bisognava «assicurarsi il maggior aiuto possibile da parte italiana» e
che «la sottoscrizione dell’armistizio lungo avrebbe avuto luogo più tardi in un momento
conveniente per i piani operativi alleati»
14
), ma ciò che più sorprende è che questo piano abbia
potuto realizzarsi solo per un concorso di circostanze, alcune ancora inesplicabili, perché il
testo dell’armistizio lungo portato a Roma da Zanussi (diversi giorni dopo l’arrivo di Castellano)
non venne mai conosciuto, non si sa se per omissione o per negligenza (ritenendolo uguale
all’altro).
13
Citate in R. Zangrandi, op. cit.
14
Eisenhower D. Dwight, Crusade in Europe, New York, Doubleday, 1948