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Islam di mercato: marketing interculturale e certificazione di qualità halal

La tesi si concentra sulla certificazione di qualità halal e sulla sua diffusione presso le aziende italiane del settore agro alimentare. La certificazione garantisce la conformità di prodotti e processi alle regole di liceità islamiche riguardanti soprattutto le prescrizioni alimentari e va intesa come uno strumento di marketing interculturale, adottato sia dalle imprese esportatrici, sia dalle aziende che, sul mercato interno, si rivolgono ad un target di consumatori individuati sulla base dell’appartenenza religiosa. Per il consumatore è uno strumento di tutela e di etico orientamento all’acquisto che consente di coniugare i moderni sistemi di rilevamento di qualità, in un contesto di produzione sofisticato e industrializzato come quello contemporaneo, con i precetti coranici che definiscono le categorie di lecito/illecito e di puro/impuro.
Nel capitolo I si contestualizza il discorso nell’ambito del paradigma della globalizzazione: alla spinta all’omologazione degli stili di vita, si contrappone la riaffermazione della dimensione locale nel modello glocale che spiega tale complementarietà sulla base di un sistema di interdipendenze reciproche. Nel capitolo II la variabile culturale viene messa in relazione al marketing: con una prospettiva culture bound, il marketing interculturale cerca di unire la sensibilità antropologica con l’analisi di mercato, avendo l’obiettivo di orientare la commercializzazione di prodotti verso particolari nicchie di consumatori culturalmente omogenei. La diversità diventa strumento per creare valore aggiunto, accesso a nuovi mercati, elemento di competitività, e inoltre limita la conflittualità tra i vari stakeholder e contribuisce al continuo miglioramento dell’offerta.
Nel capitolo III si introducono alcuni concetti della teologia islamica per meglio comprenderne la visione economica. I precetti comportamentali coranici fanno emergere una visione etica dell’economia che rifiuta l’individualismo alla base del pensiero economico occidentale e propone una diversa concezione fondata sulla giustizia sociale, l’equità e il benessere collettivo, per cui il corretto rapporto tra l’uomo e il denaro prelude a un corretto rapporto tra l’uomo e Dio. Nel capitolo IV si analizza il sistema delle prescrizioni espresse dalla Shariah, intendendo l’halal (lecito) come uno stile di vita che guida ogni aspetto della vita del fedele e ne accompagna le scelte di consumo. Le prescrizioni alimentari assumono una valenza particolare poiché il cibo diventa uno strumento di consacrazione che avvicina a Dio. I prodotti halal oltre a non essere proibiti di per sé, non devono contenere sostanze impure neanche sotto forma di ingredienti, devono essere acquisiti legalmente e devono essere puri e sani. Per questo motivo, il rilascio della certificazione da parte di enti dotati di un Comitato Etico è subordinata al controllo dell’intera filiera e al rispetto del requisito di non contaminazione tra prodotti halal e non. Tecnicamente, essa non differisce da altre certificazioni e si aggiunge alle procedure di autocontrollo che le aziende già osservano per la gestione di sistemi di qualità stabiliti dalle normative europee e nazionali.
Nel capitolo V sono presentati alcuni dati relativi al commercio dell’Unione Europea e dell’Italia con alcuni Paesi a maggioranza musulmana. L’importanza della certificazione halal sta nel fatto che essa apre le porte (per esportare in alcuni Paesi è obbligatoria) ad un mercato islamico che vale più di 2000 miliardi di euro l’anno nel mondo, di cui 800 miliardi nel solo settore alimentare (in Italia 5 miliardi di euro). Viene poi proposto un approfondimento sulla presenza di musulmani in Italia, che costituiscono il 2% della popolazione e rappresentano il target delle imprese certificate halal sul mercato interno.
Nel capitolo VI è presentata la ricerca sperimentale condotta sottoponendo ad alcune imprese agro-alimentari italiane un questionario pilota con l’obiettivo di lanciare una prima ricognizione sulla diffusione della certificazione halal nel tessuto produttivo del Paese, approfondendo l’aspetto dei necessari adattamenti dei cicli produttivi.
In conclusione, se la globalizzazione non produce omologazione, ma rivalutazione della dimensione locale, la certificazione di qualità halal deve intendersi come uno strumento del glocale in grado di operare una sintesi tra le diverse scale. E’ uno strumento commerciale ma anche un presidio a tutela del consumatore, è un’operazione di mercato per migliorare l’integrazione commerciale fra Paesi, ma anche un mezzo di riscoperta della specificità culturale: ecco perché si può parlare di un Islam di mercato che propone una religiosità market friendly, in cui i valori religiosi sono adattati alle regole di mercato globali.

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1 INTRODUZIONE Sebbene non sia un amante dei numeri, vorrei iniziare citando un dato molto significativo che ci restituisce subito la dimensione del fenomeno che vorrei illustrare: attualmente il numero di persone di fede musulmana è stimato intorno a un miliardo e mezzo, circa un quinto della popolazione mondiale, secondo il rapporto «Il futuro della popolazione musulmana globale» del Forum on Religion & Public Life 1 . Se questo livello di crescita continuerà inalterato, i musulmani costituiranno il 26,4 per cento della popolazione mondiale nell’anno 2030, calcolata in 8,3 miliardi di persone. Quanto all’Europa, tra vent’anni l’8 per cento della popolazione sarà musulmano (attualmente la media è del 6 per cento), mentre, in Italia, tale percentuale sarà del 5,4 per cento. Occorre ricordare anche, per decostruire un facile stereotipo, che i musulmani vivono in tutto il mondo e non solo nei paesi di cultura araba 2 . In questo senso l’associazione dell’Islam con il mondo arabo non è cosi scontata come si potrebbe pensare e, anzi, bisogna riconoscere come in quattordici secoli di espansione e diffusione della religione musulmana, il nucleo originario si sia adattato a contesti culturali, storici e geografici molto diversi e molto distanti tra loro, producendo una varietà di approcci molto complessa, e spesso in conflitto, come testimoniano le varie correnti e scuole di pensiero esistenti. Appare subito chiaro, dunque, quanto forte possa essere l’interesse di analisti e investitori per il mercato globale islamico, proprio per le sue dimensioni in forte crescita e per il giro d’affari che si muove attorno ad esso. Anche qui basterà citare alcuni dati: non si può non menzionare a questo proposito il settore della finanza islamica, vale a dire la finanza conforme alle prescrizioni religiose che regolano per i musulmani il corretto rapporto tra l'uomo ed il denaro che, sebbene rappresenti tuttora solo l’1 per cento circa dell’industria finanziaria globale, dall’inizio del decennio e fino allo scoppio della recente crisi economica del 2009, è cresciuta a ritmi molto sostenuti (tra il 10 e il 15 per cento all’anno), ed ha assunto un ruolo di primaria importanza in alcuni paesi. Il settore ha conosciuto una rapida espansione geografica, dal Medio Oriente al Sud Est asiatico all’Europa, con l’emergere di diverse borse che stanno assumendo sempre più 1 Si tratta di un progetto di indagine conoscitiva lanciato nel 2001 dal think thank di Washington Pew Research Center 2 La maggioranza dei fedeli musulmani si trova infatti nel Sud Est asiatico (Malaysia e Indonesia), in Bangladesh, in Pakistan e in alcuni paesi dell’Africa subsahariana, come la Nigeria, il Sudan, il Niger e il Mali.

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Lo Giudice
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze per la cooperazione allo sviluppo
  Relatore: Giuliana Vinci
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 179

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Parole chiave

islam
commercio internazionale
tutela del consumatore
marketing interculturale
etnomarketing
internazionalizzazione d'impresa
prescrizioni alimentari
certificazione halal
gestione sistemi di qualità

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