Il mobbing: rilevanza penale nell'ordinamento vigente, prospettive di riforma e profili comparatistici
Il mobbing: rilevanza penale nell’ordinamento vigente, prospettive di riforma e profili comparatistici.
Il lavoro affronta la tematica del mobbing nell’ambito lavorativo tentando di raccogliere le varie definizioni date al fenomeno non solo da parte della scienza giuridica, ma anche dalla sociologia e dalle altre scienze che si sono occupate. Il mobbing è stato studiato con attenzione principalmente per l’interesse dato dalla giurisprudenza che si è occupata di controversie aventi ad oggetto maltrattamenti sul luogo di lavoro. Progressivamente l’analisi si è collocata sul piano della rilevanza penale, stanti le numerosissime pronunce che, a partire della fine degli anni ’90, si sono occupate di collocare nel nostro sistema penale la tematica del mobbing nell’ambito delle relazioni lavorative e della valenza discriminatoria e fortemente pregiudizievole dei comportamenti e delle condotte che originano il fenomeno. Tra le pronunce più rilevanti sono state esaminate quelle che di volta in volta riconducevano le condotte cd. “mobbizzanti” a varie tipologie di fattispecie tra quelle esistenti nel nostro ordinamento penalistico.
Ci si è occupati altresì dei numerosissimi progetti di legge, presentati in Italia fino alla XV legislatura e che mai sono pervenuti ad una legge definitiva.
Le forme che il mobbing può assumere sono molteplici: dalla semplice emarginazione alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla sistematica persecuzione, dall’assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell’immagine sociale nei confronti di clienti e di superiori. Nei casi più gravi si può anche arrivare al sabotaggio del lavoro e ad azioni legali.
Lo scopo del mobbing è quello di eliminare una persona che è, o è divenuta, in qualche modo scomoda, distruggendola psicologicamente e socialmente in modo da provocarne il licenziamento o da indurla alle dimissioni. Vari studi hanno infatti dimostrato che le cause di quello che è stato definito “terrore psicologico sul posto di lavoro”, vanno ben oltre i fattori caratteriali: si fa mobbing su una persona perché ci si sente da questa surclassati ingiustamente o per gelosia, ma anche per costringerla a licenziarsi senza che si crei un caso sindacale. In alcuni casi si sono manifestate delle vere e proprie strategie aziendali messe in atto a tale scopo.
È da rilevare che il fenomeno, nonostante la sua analisi si sia sostanziata e circoscritta in ambito lavoristico come forma di ulteriore e necessaria tutela, ispirata al “favor laboris” quale criterio guida per supportare il contraente debole nell’ambito del rapporto di lavoro, ha trovato nel bullismo tra gli studenti, nel nonnismo nella vita militare e nello stalking rispetto ai personaggi del mondo dello spettacolo, i suoi corrispondenti.
L’analisi comparatistica dei modi con cui in altri ordinamenti e organismi sovranazionali si sono occupati di definire il fenomeno o di integrare i propri ordinamenti con una norma di tale tipo che incorporasse i principi elaborati in tema di mobbing è poi l’aspetto su cui, con il presente lavoro, ci si è soffermati con maggiore attenzione. Segnatamente l’International Labour Office di Ginevra, in un rapporto del 1998, ripubblicato nel 2000, intitolato “Violence at Work”, ha denunciato l’aumento esponenziale delle violenze psicologiche in ambito lavorativo in tutti i Paesi del mondo, mostrando come oggi la violenza nei luoghi di lavoro esprima una delle più grandi preoccupazioni per governi, sindacati e datori di lavoro.
Nell’Unione Europea lo spunto per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, sebbene la vocazione delle Comunità Europee in origine si riferisse alla cosiddetta «integrazione negativa», ovvero all’integrazione dei mercati, si ebbe a partire dagli anni ’70. È in questo periodo che cominciarono a manifestarsi una sensibilità e un’attenzione rivolte ai diritti sociali, in particolare dei lavoratori, in quanto si divenne consapevoli che tutelare questi ultimi era necessario oltre che strumentale per perseguire l’obiettivo della creazione del mercato unico europeo. I primi interventi in materia erano tuttavia deboli, di soft law ed indirizzati a tutelare le donne dalle molestie sessuali sul luogo di lavoro. Questo a conferma della tesi sostenuta da chi ritiene che il mobbing e le molestie sessuali, costituiscono le due tipologie di aggressione che con
maggiore probabilità si verificano nell’ambiente di lavoro.
Nel panorama europeo è la Svezia che per prima si è occupata del mobbing fondando una nuova disciplina della psicologia del lavoro e affrontato il problema con una legge ad hoc.
Dopo la Svezia è la Francia che con la Loi n. 2002-72, ha modificato il Code du Travail introducendo, nel capo dedicato alle regole sul contratto di lavoro e che ha altresì introdotto una nuova ipotesi di reato nel Code Pénal, denominata harcèlement moral.
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Informazioni tesi
Autore: | Maria Elena Pinna |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi di Siena |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Isabella Leoncini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 223 |
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