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Autoconsapevolezza e identità sociale: la regolazione di sé come membro di gruppo

La teoria dell’identità sociale (Tajfel, 1981; Tajfel & Turner, 1979) e la più recente teoria della categorizzazione di sé (Turner et al., 1987) rappresentano un approccio non riduzionistico alla psicologia sociale ed ai fenomeni di gruppo: il gruppo è una realtà psicologica per l’individuo che percepisce ed agisce nel campo sociale. Se non si assume questa prospettiva, diventa difficile comprendere perché in certe situazioni, dove apparentemente non ci sono conflitti reali di interessi, gruppi di persone o singoli individui manifestino forme a volte anche drammatiche di pregiudizio e di discriminazione nei confronti dei membri di determinate categorie sociali.
Tuttavia, nota Abrams (1994), il rischio è quello di costruire la rappresentazione di un individuo che è interamente guidato dalla sua appartenenza a gruppi sociali nel momento in cui percepisce, giudica, e agisce. In questo senso, sarebbe lasciato poco spazio alle capacità deliberative della persona ed alla possibilità che ci sia una regolazione attiva e consapevole del comportamento. La teoria dell’autoconsapevolezza (Carver & Scheier, 1981; Duval & Wicklund, 1972) fornisce un contributo che consente di superare le limitazioni che si incontrano se si accetta una relazione pressoché diretta tra salienza dell’identità sociale e comportamento. L’autoconsapevolezza è lo stato in cui l’individuo diviene oggetto della sua stessa attenzione. Le conseguenze dell’attenzione diretta al sé sono che alcune delle norme o standard di correttezza che definiscono il sé ideale diventano salienti e che esse sono confrontate con il sé reale, ovvero i pensieri, gli atteggiamenti e le emozioni che caratterizzano l’individuo in una data situazione.
Il limite di questo approccio allo studio del sé è di non avere considerato che la persona si possa definire anche nei termini della sua appartenenza a gruppi sociali. Il modello dell’autoregolazione sociale di Abrams (1994) integra le teorie dell’identità sociale e dell’autoconsapevolezza. Il contributo più originale del modello sta nel riconoscere che salienza dell’identità sociale e autoconsapevolezza si possano presentare assieme e che ciò produca conseguenze uniche sul comportamento intergruppi.

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1 INTRODUZIONE La teoria dell’identità sociale (Tajfel, 1981; Tajfel & Turner, 1979) e la più recente teoria della categorizzazione di sé (Turner et al., 1987) rappresentano un approccio non riduzionistico alla psicologia sociale ed ai fenomeni di gruppo: il gruppo è una realtà psicologica per l’individuo che percepisce ed agisce nel campo sociale. Se non si assume questa prospettiva, diventa difficile comprendere perché in certe situazioni, dove apparentemente non ci sono conflitti reali di interessi, gruppi di persone o singoli individui manifestino forme a volte anche drammatiche di pregiudizio e di discriminazione nei confronti dei membri di determinate categorie sociali. I concetti di depersonalizzazione e di specificità psicologica di gruppo, che avremo modo di vedere meglio nel secondo capitolo, sono due contributi teorici fondamentali che permettono di gettare un ponte tra il funzionamento psicologico dell’individuo, il suo bisogno di preservare un’immagine di sé positiva ed i corsi d’azione sociale che egli intraprende. Tuttavia, nota Abrams (1994), il rischio è quello di costruire la rappresentazione di un individuo che è interamente guidato dalla sua appartenenza a gruppi sociali nel momento in cui percepisce, giudica, e agisce. In questo senso, sarebbe lasciato poco spazio alle capacità deliberative della persona ed alla possibilità che ci sia una regolazione attiva e consapevole del comportamento. La teoria dell’autoconsapevolezza (Carver & Scheier, 1981; Duval & Wicklund,

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