2
1972) fornisce un contributo che consente di superare le limitazioni che
si incontrano se si accetta una relazione pressoché diretta tra salienza
dell’identità sociale e comportamento. Le, tutto sommato poche,
assunzioni su cui la teoria si basa e la gran mole di ricerche che essa ha
stimolato in oltre trent’anni saranno presentate nel primo capitolo. Per
ora, basti dire che l’autoconsapevolezza è lo stato in cui l’individuo
diviene oggetto della sua stessa attenzione. Le conseguenze
dell’attenzione diretta al sé sono che alcune delle norme o standard di
correttezza che definiscono il sé ideale diventano salienti e che esse sono
confrontate con il sé reale, ovvero i pensieri, gli atteggiamenti e le
emozioni che caratterizzano l’individuo in una data situazione. Il limite
di questo affascinante approccio allo studio del sé è di non avere
considerato che la persona si possa definire anche nei termini della sua
appartenenza a gruppi sociali. Il modello dell’autoregolazione sociale di
Abrams (1994), che sarà illustrato nella parte conclusiva del secondo
capitolo, integra le teorie dell’identità sociale e dell’autoconsapevolezza.
Il contributo più originale del modello sta nel riconoscere che salienza
dell’identità sociale e autoconsapevolezza si possano presentare assieme
e che ciò produca conseguenze uniche sul comportamento intergruppi.
Queste sono le teorie ci hanno guidato nel nostro lavoro, dalla
formulazione delle ipotesi alla comprensione dei risultati complessi e
significativi che abbiamo ottenuto. In effetti, le interazioni che emergono
tra la definizione di sé come membro di gruppo e l’attenzione diretta a
tale definizione non si possono comprendere in pieno se si decide di
basarsi sulle singole teorie e non le si considera invece congiuntamente.
3
Procedendo in quest’ultimo modo, siamo stati in grado di capire perché i
partecipanti alla ricerca, che si immaginavano rappresentanti
dell’ingroup, abbiano vissuto in modi differenti la propria appartenenza
di gruppo e abbiano scelto di discriminare in modo selettivo. Quello che
emerge dal nostro lavoro ci stimola a proseguire in questo settore della
psicologia sociale. Pensiamo che i dati che qui emergono siano utili per
la comprensione dei fenomeni della vita reale. Sebbene l’attenzione al sé
sia stata prodotta attraverso lo specchio, la letteratura indica che
tantissimi fattori presenti nell’ambiente sono capaci di dirigere
l’attenzione al sé: la presenza di un pubblico, una videocamera, una
fotografia di sé, il suono della propria voce ed, in generale, qualsiasi
stimolo che ricordi alla persona di sé. Un leader potrebbe comportarsi in
modi differenti nel momento in cui è autofocalizzato, nei termini di un
maggiore favoritismo per il gruppo che rappresenta o di una condotta
governata da norme di equità, a seconda dei casi. Inoltre, gli effetti
dell’autoconsapevolezza potrebbero tornare utili per comprendere molte
situazioni di laboratorio, dove può capitare che non ci si preoccupi della
presenza o meno dello sperimentatore nel momento in cui il partecipante
mette in atto la sua prestazione. A tale proposito, la ricerca indica che ci
possono essere delle differenze e che sarebbe opportuno tenerne conto
quando si costruisce l’esperimento.
Questo lavoro si innesta su studi condotti in precedenza e le ipotesi di
partenza sono state derivate da una riconsiderazione di alcuni risultati
discordanti allora emersi. Come avremo modo di dire nella parte
dedicata specificamente allo studio, noi troviamo dati nuovi che si
4
discostano, in parte, da quelli passati. Nella discussione daremo una
spiegazione che considera il contesto specifico della nostra ricerca,
nonché i cambiamenti apportati alle modalità di somministrazione dei
questionari e al loro formato. Abbiamo compreso la centralità degli
standard che la persona usa per regolarsi e come questi siano in grado di
contrastare gli effetti delle manipolazioni sperimentali. Sarà interessante
osservare i risultati delle ricerche future alla luce delle scoperte
provenienti dalla nostra.
1
CAPITOLO PRIMO
AUTOCONSAPEVOLEZZA E REGOLAZIONE DI SÉ
1. La teoria dell’autoconsapevolezza oggettiva
Lo studio sperimentale dell’autoconsapevolezza è rintracciabile nelle
iniziali ricerche di Wolff (1932), che si occupò delle reazioni alle
caratteristiche fisiche del sé, come la propria voce o le parti del proprio
corpo. La prima teoria moderna dell’autoconsapevolezza è la teoria
dell’autoconsapevolezza oggettiva (Duval & Wicklund, 1972). Al centro
dell’interesse è la qualità della coscienza di riflettere su di sé. Con le
parole di Duval e Wicklund (1972, p. 2): “quando l’attenzione è diretta
all’interno e la coscienza è focalizzata su se stessa, il sé diviene l’oggetto
della sua stessa coscienza, quindi autoconsapevolezza oggettiva”. Questa
forma di esperienza è in contrasto con l’autoconsapevolezza soggettiva,
“che si realizza quando l’attenzione è diretta lontano dal sé e la persona
si esperisce come la fonte della percezione e dell’azione” (Duval &
Wicklund, 1972, p. 3).
In accordo con gli autori, l’attenzione è bidirezionale, può cioè in
ogni dato istante essere diretta o all’esterno verso l’ambiente o
all’interno verso il sé, ma non può essere diretta contemporaneamente
2
nelle due direzioni. L’autoconsapevolezza oggettiva può essere
semplicemente definita come una condizione in cui la persona prende se
stessa come oggetto della sua attenzione. Ne segue che le espressioni
autoconsapevolezza oggettiva ed attenzione diretta al sé possano essere
utilizzate in modo intercambiabile. Qualsiasi stimolo che ricordi alla
persona se stessa è in teoria in grado di indurre l’autoconsapevolezza
oggettiva, sia questo una fotografia di sé, uno specchio o una
videocamera.
L’attenzione al sé tende a dirigersi verso quell’aspetto che è più
saliente in un dato momento. Una prima conseguenza immediata
dell’attenzione al sé è che la persona entra in contatto con gli aspetti più
profondi e privati del sé. Una seconda conseguenza immediata è l’avvio
di un processo di autovalutazione tra il sé reale e il sé ideale o, detto
altrimenti, tra l’aspetto di sé saliente ed uno standard di confronto,
definito “criterio di correttezza” (Duval & Wicklund, 1972).
E’ molto probabile che il confronto porti alla percezione di una
discrepanza al proprio interno. A questo punto la teoria diviene
motivazionale in natura (Gibbons, 1990). La percezione della
discrepanza tra il sé ideale e il sé reale produce un affetto negativo che la
persona è motivata a ridurre. I corsi d’azione possibili sono due: evitare
lo stato di autoconsapevolezza o cercare di ridurre la discrepanza. Tra le
due opzioni si sceglierà quella che permette di eliminare al più presto
l’affetto negativo.
3
2. Gli sviluppi della teoria
La teoria dell’autoconsapevolezza oggettiva ha stimolato la
produzione di una grande quantità di ricerche in psicologia sociale
(Silvia & Duval, 2001). All’interno di questa cornice teorica si sono
studiate le emozioni, l’attribuzione causale, la consistenza tra
atteggiamenti e comportamento, le dinamiche di gruppo, il
comportamento prosociale.
La teoria è cresciuta notevolmente dalla sua formulazione originaria ed è
stata sottoposta a importanti revisioni. La prima assunzione messa in
discussione è che lo stato di autoconsapevolezza oggettiva sia
necessariamente uno stato avversivo: le ricerche successive hanno infatti
mostrato che quando c’è consistenza tra il sé e lo standard
l’autoconsapevolezza tende ad essere uno stato positivo (Silvia & Duval,
2001).
2.1. La scelta tra evitamento e riduzione della discrepanza
La teoria originaria (Duval & Wicklund, 1972) non ha specificato
chiaramente le condizioni che portano l’individuo a scegliere
l’evitamento o la riduzione della discrepanza nel momento in cui insorge
l’affetto negativo. La ricerca ha dimostrato che un ruolo centrale è svolto
4
dall’aspettativa circa la probabilità di ridurre la discrepanza (Carver e
Scheier, 1981; Silvia & Duval, 2001). Quando è riconosciuta una
discrepanza, la persona implicitamente valuta la probabilità di ridurla. Se
l’aspettativa è favorevole, cioè è probabile che si riesca a ridurre la
discrepanza, ci si impegnerà in tal senso. Se l’aspettativa è sfavorevole,
si sceglierà l’evitamento. L’aspettativa non è però necessariamente
dicotomica, totalmente favorevole o sfavorevole. E’ importante
considerare anche il tasso di progresso nella riduzione della discrepanza.
Nello specifico, è probabile che la persona cerchi di ridurre la
discrepanza quando crede che il tasso di progresso è sufficiente in
relazione alla sua grandezza. Quando il tasso di progresso è ritenuto
insufficiente, l’evitamento diventa la scelta più probabile (Silvia &
Duval, 2001).
2.2. Gli effetti dell’autoconsapevolezza sull’attribuzione causale
Gli studi iniziali sulla attribuzione causale in condizioni di aumentata
autoconsapevolezza hanno indicato che le persone autofocalizzate
vedono se stesse come maggiormente responsabili sia per gli eventi
negativi che per quelli positivi (Duval & Wicklund, 1973). Duval e
Wicklund (1973) hanno condotto due esperimenti. Nel primo i
partecipanti rispondevano a dieci situazioni ipotetiche, ciascuna delle
quali presentava la possibilità che o il partecipante o qualcun’altro
5
potessero essere la causa di una conseguenza negativa. Dopo che era
stata presentata ciascuna situazione, ai partecipanti era chiesto di stimare
in percentuale quanto ritenessero di essere la causa della conseguenza
negativa. Per ridurre il grado di attenzione diretta verso il sé, metà dei
partecipanti svolgeva un’attività motoria (giravano intorno ad un tavolo
rotondo) mentre rispondeva alle domande. La procedura del secondo
esperimento è diversa dalla prima per due aspetti. Cinque situazioni
ipotetiche avevano conseguenze positive, le altre cinque avevano ancora
conseguenze negative. Inoltre, per metà dei partecipanti, l’attenzione era
diretta al sé mediante uno specchio. I risultati hanno indicato che
l’attribuzione interna di causalità è maggiore quando l’attenzione è
diretta al sé e che l’effetto dell’attenzione è indipendente dal tipo di
conseguenze, positive o negative.
Le ricerche successive hanno fornito indicazioni differenti, mostrando
che un’elevata autoconsapevolezza accentua le attribuzioni esterne per
eventi negativi e le attribuzioni interne per eventi positivi. Tuttavia,
fanno notare Silvia e Duval (2001), se l’autoconsapevolezza
promuovesse solo attribuzioni favorevoli per il sé, molto probabilmente
la persona non si assumerebbe mai la responsabilità di fronte ad una
discrepanza e non si impegnerebbe nel cambiare il sé in direzione dello
standard. Duval e Silvia (2002) propongono un modello di attribuzione
causale basato sul funzionamento di due sistemi al fine di dare una
interpretazione coerente dei risultati contraddittori che sono emersi dalla
ricerca. Il primo sistema è il sistema di confronto tra il sé e lo standard.
E’ un sistema diretto allo scopo il cui stato preferito è quello in cui c’è
6
massima similarità tra il sé e lo standard, essendo la persona motivata ad
evitare l’affetto negativo prodotto dal riconoscimento di una discrepanza.
Il secondo sistema è il sistema di attribuzione causale, anch’esso un
sistema orientato allo scopo, il cui stato preferito è quello in cui gli
effetti sono connessi alle cause maggiormente plausibili.
I due sistemi hanno obiettivi diversi: mentre il primo preferisce la
congruenza tra il sé e lo standard, il secondo ricerca un’accurata
comprensione causale. Gli obiettivi possono essere in armonia o in
conflitto. Quando sono in armonia, poiché il sé è la causa più plausibile
di un successo, l’attribuzione al sé è amplificata, dal momento che
soddisfa gli obbiettivi di entrambi i sistemi. Quando sono in conflitto,
poiché il sé è la causa più plausibile di un fallimento, due variabili
moderano tra il conflitto e le attribuzioni per il fallimento: la probabilità
di migliorare e l’attenzione al sé (Duval & Silvia, 2002).
Se la persona percepisce un’alta probabilità di rimediare al
fallimento, tende ad accettare i costi di un’attribuzione interna. Se la
probabilità di un miglioramento futuro è molto bassa, l’attribuzione al sé
per un fallimento produce una discrepanza irriducibile ed un affetto
negativo molto forte. In questo caso, i costi di un’attribuzione causale
inaccurata sono più piccoli di quelli derivanti dal calo di autostima che
segue la percezione di un fallimento permanente (Duval & Silvia, 2002).
La ricerca che manipola la malleabilità percepita dei tratti di
personalità è compatibile con questo approccio. Dunning (1999) ha
condotto uno studio in cui ai partecipanti era fatto credere di aver avuto
successo oppure aver fallito in un compito che misurava un’abilità
7
intellettuale. L’abilità poteva essere importante o non importante,
modificabile o non modificabile. Lo scopo delle manipolazioni era di
indurre la percezione di un’alta o bassa probabilità di migliorare. La
variabile dipendente era la scelta delle persone di ricevere un feedback
sulla loro prestazione nelle prove successive. I risultati hanno indicato
che i partecipanti lacunosi in un’abilità importante e modificabile
preferivano le prove con il feedback, mentre coloro che erano lacunosi in
un’abilità importante ma non modificabile preferivano le prove senza
feedback. La prospettiva secondo cui le persone cercano di migliorarsi
quando la discrepanza è vista come riducibile sembra valida. Quando la
discrepanza è vista come irriducibile si preferiscono quelle situazioni che
non minacciano ulteriormente la propria autostima.
Tuttavia, un’altra variabile modera le attribuzioni, oltre alla
probabilità di ridurre la discrepanza: l’attenzione diretta al sé (Duval &
Silvia, 2002). Il sistema di confronto tra il sé e lo standard agisce infatti
solo quando la persona è autoconsapevole: quando non lo è, il sistema di
confronto è inattivo e non può interagire con il sistema di attribuzione
causale. Ma quando esso è attivo, perché l’attenzione è diretta al sé, la
persona riconosce l’esistenza di discrepanze tra il sé e lo standard. In
questa situazione, la probabilità di migliorare modera le attribuzioni
causali, rispondendo sia al bisogno di fare accurate previsioni sia al
bisogno di preservare l’autostima. Duval e Silvia (2002, studio 1) hanno
condotto uno studio che conferma le previsioni del modello. I
partecipanti lavoravano ad un compito di abilità nel formulare giudizi
quantitativi in condizioni di alta o bassa autoconsapevolezza. Al fine di
8
creare una discrepanza tra il sé ed uno standard, ai partecipanti veniva
detto che la loro prestazione era al di sotto del valore di riferimento
previsto dallo studio ed, inoltre, che avevano un’alta (98,3%) o bassa
(2,5%) probabilità di migliorare in futuro. I risultati hanno indicato che i
partecipanti altamente autoconsapevoli attribuivano una maggiore
causalità al sé quando la probabilità di migliorare era alta, mentre
facevano più attribuzioni esterne quando non c’erano aspettative di
miglioramento. La probabilità di migliorare non aveva effetti in
condizioni di bassa autoconsapevolezza (Figura 1.1).
Figura 1.1. Gli effetti dell’autoconsapevolezza oggettiva e della probabilità di
migliorare sull’attribuzione interna.
-1
-0,5
0
0,5
1
1,5
2
Livello di autoconsapevolezza oggettiva
Attribuzione
al sé
Bassa
Alta
Probabilità
di migliorare
Basso Alto
9
2.3. Cambiare il sé o cambiare gli standard
Un’assunzione iniziale della teoria dell’autoconsapevolezza oggettiva
(Duval & Wicklund, 1972), incorporata anche nella teoria della
regolazione di sé (Carver & Scheier, 1981), è che la persona riduce una
discrepanza cambiando il sé in direzione dello standard. Si ipotizza che i
pensieri e i comportamenti siano più facili da modificare rispetto agli
standard di correttezza, visti come rappresentazioni interiorizzate di ciò
che si dovrebbe fare.
Più di recente, la ricerca ha mostrato che, nel caso di una discrepanza,
la persona può cambiare lo standard in direzione del sé (Dana, Lalwani,
& Duval, 1997). Duval e Lalwani (1999) propongono che il
cambiamento del sé o dello standard dipende dalla direzione
dell’attenzione, i cui effetti sono mediati dall’attribuzione causale. Il
fuoco attenzionale determina in parte l’attribuzione causale. Così,
prestare attenzione allo standard porta ad attribuire la causa della
discrepanza allo standard e prestare attenzione alla performance porta ad
attribuire la causa della discrepanza al sé. Nello studio di Dana et al.
(1997), i partecipanti, dopo aver ricevuto uno standard di prestazione per
un compito di copia di un brano, lavoravano al compito in condizioni di
alta o bassa autoconsapevolezza. Successivamente, erano informati del
fatto che avevano fallito nell’incontrare lo standard di prestazione. Per
metà dei partecipanti l’attenzione era diretta verso la prestazione, per
l’altra metà verso lo standard sperimentale. I risultati indicano che
10
quando l’attenzione è diretta verso lo standard, le persone valutano lo
standard più negativamente, lo cambiano per andare incontro alla
performance e non cercano di migliorarsi. Diversamente, quando
l’attenzione è diretta verso la performance, le persone non cambiano lo
standard ed in seguito si impegnano maggiormente per andargli incontro.
Un altro esempio di cambiamento degli standard in direzione del sé
viene dalla ricerca sulla “ipocrisia morale” (Batson, Thompson,
Seuferling, Whitney, & Strongman, 1999), definita come “la
motivazione ad apparire morali ed allo stesso tempo evitare il costo di
esserlo realmente” (p. 526). Batson et al. (1999) hanno condotto uno
studio in cui ai partecipanti era chiesto di assegnare a se stessi o ad un
altro partecipante un compito dalle conseguenze positive o neutrali. Uno
standard morale era reso saliente per metà dei partecipanti, ai quali
veniva detto che il modo più corretto di comportarsi era di assegnare il
compito dalle conseguenze positive all’altro. I risultati hanno indicato
che quando lo standard era saliente, l’autoconsapevolezza aumentava la
proporzione di coloro che non assegnavano a se stessi il compito dalle
conseguenze positive. In contrasto, quando lo standard morale non era
saliente, nessuno dei partecipanti altamente autoconsapevoli assegnava
all’altro il compito positivo. Le misure successive hanno chiarito che la
maggior parte dei partecipanti nella condizione di autoconsapevolezza e
standard saliente riteneva che il modo più corretto di comportarsi fosse
di assegnare il compito positivo all’altro, mentre pochi la pensavano così
nella condizione di autoconsapevolezza e nessuno standard saliente.
11
Evidentemente, le persone avevano cambiato i loro standard morali per
essere congruenti con le loro azioni e ridurre la discrepanza.
2.4. Autoconsapevolezza ed emozioni
Le emozioni hanno un ruolo importante nelle teorie
dell’autoconsapevolezza (Silvia, 2002b). La teoria originaria
dell’autoconsapevolezza (Duval e Wicklund, 1972) afferma che una
discrepanza tra il sé ideale e il sé reale produce un affetto negativo che è
tanto più intenso quanto più la persona è attenta al sé. Recentemente, la
ricerca ha suggerito che è opportuno distinguere tra emozioni che
originano dalle discrepanze del sé ed emozioni che insorgono per altri
motivi, in quanto l’autoconsapevolezza sembra produrre effetti differenti
nei due casi (Silvia, 2002b). Quando le emozioni non dipendono dal
confronto tra il sé e lo standard, i teorici prevedono effetti
diversi dell’attenzione sulle emozioni. Alcuni propongono l’ipotesi
dell’affievolimento emozionale (May, 1967), ovvero che
l’autoconsapevolezza attenua l’intensità delle emozioni. L’attenzione al
sé come oggetto produrrebbe infatti un’esperienza del sé spogliata di
qualunque affetto. Scheier e Carver (1977) hanno condotto una serie di
studi i cui risultati sembrano invece sostenere l’ipotesi della salienza
emozionale.