Gli strumenti finanziari derivati nell'attività bancaria
Il presente elaborato ha l’obiettivo di analizzare gli elementi che hanno determinato la diffusione dei derivati, il ruolo che questi hanno assunto all’interno del business bancario nonché il loro trattamento prudenziale e contabile.
Il primo capitolo - Gli strumenti finanziari derivati - cerca di spiegare come alcuni fattori, tra i quali particolare rilievo assume il processo di disintermediazione, abbiano spinto gli operatori economici a cercare nuovi spazi operativi e nuove possibilità di investimento per soddisfare esigenze finanziarie sempre più complesse. In questo contesto si collocano i derivati, la cui profittabilità può assumere due diverse configurazioni: da una parte un ricavo da commissioni per il collocamento di strumenti emessi da soggetti terzi, dall’altro ricavi o perdite dovuti all’assunzione di posizioni in proprio, verso i clienti o verso altri intermediari.
L’elaborato prosegue con la descrizione delle quattro fattispecie base (futures, forwards, opzioni e swaps) nonché con una panoramica generale relativa alle nuove tipologie di derivati che l’ingegneria finanziaria ha creato.Per quanto riguarda l’inquadramento giuridico, il legislatore ha recepito questa nuova categoria di prodotti all’interno dell’ordinamento per la prima volta nel 1991, poi definitivamente con il Testo unico della finanza del 1998, all’interno del quale viene precisata la loro appartenenza all’insieme degli strumenti finanziari.
Nel secondo capitolo - Collocamento e sottoscrizione dei derivati - viene affrontato il tema delle regole di comportamento che gli intermediari devono rispettare nell’offerta di derivati, nonché alcuni casi pratici in cui il mancato rispetto di tali regole o magari la sprovvedutezza degli investitori hanno portato a perdite molto elevate.
Il terzo capitolo - I requisiti patrimoniali - passa in rassegna i rischi che sono connessi alla detenzione di una posizione in derivati, nonché la relativa copertura patrimoniale che l’intermediario deve detenere. Tali rischi sono: il rischio di credito, il rischio di mercato, il rischio operativo e, infine, il rischio di liquidità.
Il quarto capitolo - I derivati nel bilancio delle banche - si apre con l’evoluzione della rappresentazione in bilancio dei derivati a partire dal decreto legislativo 27/1992 fino ai nuovi principi contabili internazionali. Prima dell’introduzione degli IAS/IFRS, i derivati erano rappresentati come esposizioni “fuori bilancio” tra gli “impegni”. I nuovi principi contabili internazionali hanno apportato notevoli cambiamenti in tema di redazione del bilancio. Innanzitutto, la logica contabile non è più basata sulla natura o forma tecnica dello strumento bensì sulla sua destinazione funzionale. L’introduzione del metodo del fair value, per la rilevazione dei derivati, è stato inizialmente enfatizzato in quanto in grado di riflettere in modo pressoché immediato il valore dello strumento, rendendo, quindi, l’informativa aderente alle effettive condizioni di mercato. Tuttavia, non si è considerato che, in momenti di tensione dei mercati, il valore di mercato di tali strumenti potesse essere molto volatile e non rappresentativo delle effettive condizioni del titolo.
L’elaborato si conclude con il capitolo cinque - Finanza innovativa, fallimenti e regolamentazione - con una panoramica dei casi in cui l’utilizzo di derivati ha determinato il fallimento di banche, fondi di investimento e imprese non finanziarie. Ciò che si è voluto sottolineare è il fatto che in tutti questi casi, non è stato l’utilizzo dei derivati in sé a creare danni, quanto il suo utilizzo in modo eccessivamente aggressivo.
Per quanto riguarda la crisi dei subprime, il coinvolgimento dei derivati è avvenuto nel momento in cui, dopo aver erogato consistenti quantità di prestiti, le banche hanno cercato di trasferire parte del rischio attraverso la cartolarizzazione, trasformando questi debiti in prodotti finanziari strutturati. A fronte delle conseguenze molto gravi causate da questa crisi, da più parti ci si è interrogati su cosa non abbia funzionato. La risposta è senza dubbio legata al fatto che negli ultimi anni si è assistito all’evoluzione del business model delle banche: dal classico buy and hold all’originate to distribute. Tuttavia in molti hanno ritenuto che tale crisi fosse stata indotta dalla nuova regolamentazione in materia di requisiti patrimoniali, il Secondo Accordo di Basilea. Dall’analisi effettuata, l’Accordo mostra molte lacune e molti punti deboli che probabilmente avrebbero potuto aggravare l’evolversi della crisi, tuttavia ad esso non può attribuirsi tale responsabilità in quanto entrato in vigore troppo tardi per generare tali effetti.
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Informazioni tesi
Autore: | Fabiana Gallo |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia e Finanza |
Relatore: | Marco Sepe |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 160 |
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