2
che andassero a soddisfare le sempre più complesse esigenze di investitori e
risparmiatori.
Tale ricerca di innovazione e di sofisticatezza ha trovato la sua sintesi
nell’introduzione di una nuova tipologia di strumento finanziario4: il derivato. Si
tratta di «contratti il cui valore dipende dall’andamento di un’attività sottostante
nota anche come underlying asset. Le attività sottostanti possono avere natura sia
finanziaria (titoli azionari, tassi di interesse, tassi di cambio, indici di borsa) sia
reale (caffè, cacao, oro, petrolio, ecc)»5.
Fino a pochi anni fa gli strumenti finanziari derivati erano noti solo ad una
cerchia ristretta di soggetti operanti nel mondo finanziario. Tuttavia le recenti
cronache economiche, quali la crisi mondiale dei mutui subprime e la
sottoscrizione di derivati da parte di molte imprese non finanziarie ed enti
pubblici, italiani e non, hanno portato tali strumenti alla ribalta. Queste
circostanze hanno così mostrato come i derivati possano divenire pericolosi, se gli
utilizzatori non ne conoscono in modo accurato caratteristiche e potenzialità.
Una loro importante peculiarità è l’ “effetto leva” che sono in grado di
generare, ovvero la possibilità di effettuare un investimento che riguardi un
elevato ammontare di risorse finanziarie, con un basso tasso di capitale
effettivamente impiegato6. Gli strumenti derivati consentono di acquistare o
vendere attività finanziarie o reali per un quantitativo superiore al capitale
posseduto e di beneficiare, grazie a tale effetto, di un rendimento potenziale
maggiore (ma anche di perdite potenziali maggiori), rispetto a quanto si otterrebbe
investendo direttamente nel sottostante.
I derivati permettono quindi di attivare forme di investimento che non
sarebbe possibile ottenere operando direttamente sul mercato, ma sono dei
prodotti complessi che devono essere trattati con cautela e fondamentale è la
consapevolezza, non solo delle aspettative di guadagno che si possono ottenere,
ma soprattutto delle perdite, le quali, dato l’effetto leva, possono raggiungere
livelli molto elevati.
4
Per una definizione giuridica di “strumento finanziario” cfr. art. 2 del d.lgs. n. 58/1998.
5
Così in www.borsaitaliana.it, Glossario, voce «Strumenti derivati finanziari».
6
La leva finanziaria è espressa dal rapporto tra il valore delle posizioni nette in strumenti
finanziari e il controvalore del patrimonio affidato in gestione calcolato secondo i criteri previsti
per i rendiconti trimestrali» (art. 41, comma 2 del regolamento Consob 11522/1998).
3
2 Gli strumenti finanziari derivati: la definizione
La categoria dei derivati comprende tutti quei «contratti atipici di natura
finanziaria consistenti nella negoziazione a termine di un’entità economica e nella
relativa valorizzazione autonoma del differenziale emergente dal raffronto fra il
“prezzo” dell’entità al momento della stipulazione e il suo valore alla scadenza
pattuita per l’esecuzione»7.
L’ordinamento giuridico italiano ha tardato a riconoscere al proprio
interno gli strumenti derivati rispetto a quella che sarebbe stata la necessità degli
operatori economici.
Inizialmente parte della giurisprudenza riteneva che ad essi dovesse essere
applicata la disciplina dell’art. 1933 c.c.8, negandogli, in tal modo, ogni tipo di
tutela in sede giurisdizionale.
La notevole diffusione di tali strumenti ha però posto la necessità di un
loro chiaro riconoscimento giuridico e della conseguente tutela atta a garantire il
normale funzionamento delle contrattazioni. Un passo in tale direzione è avvenuto
grazie alla legge n. 1 del 2 gennaio 19919, la quale, all’art. 1, comma 2, annovera i
«contratti a termine su strumenti finanziari collegati a valori mobiliari, tassi di
interesse e valute, compresi quelli aventi ad oggetto indici su tali valori mobiliari,
tassi d’interesse e valute» tra i valori mobiliari.
La locuzione “contratto derivato” è presente, per la prima volta, in un
provvedimento di normazione secondaria della Banca d’Italia, all’art. 4 del
regolamento 2 luglio 199110, poi ripresa dal regolamento del 4 agosto 2000 in
materia di adeguatezza patrimoniale, partecipazioni detenibili e organizzazione
interna delle società di intermediazione mobiliare11.
7
Così in GIRINO E., I contratti derivati, Giuffrè. Milano, 2001, pag. 5.
8
L’art. 1933 afferma che «Non compete azione per il pagamento di un debito di giuoco o di
scommessa, anche se si tratta di giuoco o di scommessa non proibiti. Il perdente tuttavia non può
ripetere quanto abbia spontaneamente pagato dopo l'esito di un giuoco o di una scommessa in cui
non vi sia stata alcuna frode. La ripetizione è ammessa in ogni caso se il perdente è un incapace».
L’applicazione di tale principio sarà poi negata esplicitamente dall’art. 23, comma 5, del Testo
unico del 1998.
9
Legge 2 gennaio 1991, relativa alla disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e
disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari.
10
Regolamento emanato ai sensi dell'art. 3, comma 2, lett. a) e dell'art. 9, commi 4 e 5, della
legge 2 gennaio 1991, n. 1, riguardante: il capitale minimo iniziale delle Sim; le attività connesse e
strumentali; la separazione organizzativa e contabile; i coefficienti minimi di patrimonio, di
liquidità e di concentrazione ed il patrimonio utile a fini di vigilanza; le forme tecniche dei bilanci
e delle situazioni periodiche, le segnalazioni per la redazione delle statistiche finanziarie
11
Le relative definizioni verranno citate nei paragrafi successivi.
4
L’art. 3 dell’aggiornamento 112 del 23 giugno 1994 alla circolare Banca
d’Italia n. 4 del 29 marzo 1988 definiva prodotti derivati quei «contratti che
insistono su elementi di altri schemi negoziali, quali titoli, valute, tassi di
interesse, tassi di cambio, indici di borsa, ecc. Il loro valore deriva da quello degli
elementi sottostanti». In dottrina si rileva che, a differenza di quanto suggerito dal
termine, tali contratti non derivano da, ma insistono su elementi di altri negozi12.
Nel 1996 viene emanato il c.d. decreto Eurosim13, nel quale vengono
compresi gli strumenti derivati all’interno della categoria degli strumenti
finanziari, separandoli dai valori mobiliari, anch’essi strumenti finanziari ma ai
quali non sono riconducibili i contratti derivati. È inoltre prevista la possibilità,
per il Ministro del Tesoro, di individuare «al fine di tener conto dell’evoluzione
dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle autorità
comunitarie, nuove categorie di strumenti finanziari, nuovi servizi di investimento
e nuovi servizi accessori»14. In questo modo si agevola il riconoscimento giuridico
di quei contratti non ancora esistenti, ma che nasceranno in seguito all’evoluzione
dei mercati e dell’ingegneria finanziaria.
Un ulteriore atto normativo che disciplina il settore dei derivati è il
provvedimento Isvap n. 297 del 19 luglio 1996 rubricato “Disposizioni in materia
di utilizzo di strumenti finanziari derivati da parte delle imprese di assicurazione”.
Esso, all’art. 2, definisce gli strumenti derivati come quegli «strumenti finanziari
il cui prezzo dipende dal valore di una o più attività o indici sottostanti»,
elencando poi quali tipi di strumenti rientrano in tale categoria, ovvero i contratti
derivati con titolo sottostante (futures e options con titolo sottostante, ecc.); i
contratti derivati su valute (domestic currency swaps, currency options, ecc.); i
contratti derivati senza titolo sottostante collegati a tassi d’ interesse, a indici o ad
altre attività (futures senza titolo sottostante, interest rate options, forward rate
agreements, interest rate swaps, ecc.) oltre a «tutti i contratti che, a prescindere
dalla terminologia adottata, presentino caratteristiche tecnico-finanziarie
assimilabili a quelle di alcuno dei contratti precedentemente indicati, quali ad
esempio i contratti di compravendita di valuta a termine».
12
Cfr. GIRINO E., I contratti derivati, Giuffrè. Milano, 2001, pag. 6.
13
D.lgs. 23 luglio 1996 n. 415: “Recepimento delle direttive sui servizi di investimento in valori
mobiliari e sull'adeguatezza patrimoniale”.
14
Cfr. art. 2, comma 3 del decreto Eurosim.
5
Coerentemente con quanto stabilito dal decreto Eurosim, nel d.lgs. n. 58
del 24 febbraio 199815, all’art. 1, comma 2, viene ribadito il principio secondo il
quale i contratti derivati appartengono alla categoria degli strumenti finanziari16.
Altre disposizioni in tema di strumenti derivati sono presenti nel
regolamento della Borsa Italiana S.p.A. dell’11 dicembre 1997 e nel D.M. del 21
Novembre 1996 n. 703 relativo ai limiti di investimento delle risorse di fondi
pensione. Nel suddetto decreto, all’art. 1, comma 1, lett. c, sono elencate le
diverse fattispecie rientranti nell’insieme dei contratti derivati: «i contratti futures
su strumenti finanziari, tassi di interesse, valute e relativi indici; i contratti di
scambio a pronti e a termine (swaps) su tassi di interesse, valute e indici; i
contratti di opzione per acquistare o vendere titoli di debito, titoli di capitale ed
altri strumenti finanziari, contratti futures o swaps, indici, valute e tassi di
interesse».
Un’ulteriore definizione del termine “derivato finanziario” che può essere
presa in considerazione è quella fornita dalla Borsa Italiana17, secondo la quale,
uno strumento finanziario è «definito derivato in quanto il suo profilo di
costo/rendimento deriva (dipende) dai parametri di costo/rendimento di altri
strumenti principali, chiamati “sottostanti” che possono essere materie prime,
valute, tassi di interesse, titoli, indici azionari», a ciò si devono aggiungere anche
variabili climatiche, statistiche economiche e tariffe di trasporto .In altre parole, il
valore di un derivato è una funzione contrattualmente prefissata del valore di uno
specifico bene reale o attività finanziaria (underlying) il cui prezzo (prezzo spot)
si forma sul relativo mercato.
15
Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8
e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52.
16
Oltre ai derivati, appartengono a tale categoria, i valori mobiliari, gli strumenti del mercato
monetario e le quote di organismi di investimento collettivo del risparmio.
17
Così in www.borsaitaliana.it, glossario, voce «Strumenti derivati finanziari».
6
2.1 I derivati nel Testo unico della finanza
L’art.1, comma 3, del Testo unico dell’intermediazione finanziaria
definisce “strumenti finanziari derivati” alcuni degli strumenti finanziari previsti
dal comma 2.
Nella versione del 1998 i derivati venivano classificati in base al tipo di
contratto: futures, swaps, contratti a termine, contratti di opzione e loro
combinazioni; con l’indicazione per ogni tipologia delle possibili attività
sottostanti: tassi di interesse, valute, merci e relativi indici e indici azionari.
Tale definizione ha cercato di classificare, nel modo più ampio possibile, i
contratti derivati, senza però potervi riuscire completamente poiché l’innovazione
finanziaria e le esigenze degli operatori spingono sempre di più alla creazione di
nuove fattispecie. La necessità di poter inquadrare giuridicamente strumenti di
nuova creazione ha fatto sì che nell’art. 18 fosse prevista la possibilità da parte del
Ministro del Tesoro, sentita la Banca d’Itala e la Consob, di «individuare al fine di
tenere conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento
stabilite dalle autorità comunitarie, nuove categorie di strumenti finanziari, nuovi
servizi di investimento e nuovi servizi accessori».
Il derivato, infatti, non si riconnette solo alle fattispecie base, riconducibili
alle figure di forwards, futures, options e swaps, ben potendosi individuare
ulteriori forme, frutto della combinazione di uno o più modelli o di loro versioni
più complicate. Negli anni non solo sono stati introdotti prodotti con
caratteristiche tecniche diverse ma anche la varietà di sottostanti è aumentata in
modo considerevole, si è quindi resa necessaria una modifica delle definizioni
dell’art. 1.
A differenza della prima versione, in quella attuale la classificazione non
avviene più per tipo di strumento, bensì per tipo di sottostante, modalità di
regolamento e mercato di negoziazione.
Si distinguono quindi «contratti di opzione, contratti finanziari a termine
standardizzati (futures), swaps, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e
altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o
rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che
possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il
7
pagamento di differenziali in contanti»18. Ad essi si aggiungono «gli accordi per
scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui
regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti»19 o che
sono «negoziati su un mercato regolamentato20 e/o in un sistema multilaterale di
negoziazione»21, nonché gli altri contratti con regolamento attraverso consegna
fisica del sottostante che non abbiano scopi commerciali.
Il legislatore ha poi ritenuto necessario introdurre i derivati creditizi ed i
contratti finanziari differenziali, nonché tutti quei contratti connessi a «variabili
climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre
statistiche economiche ufficiali»22.
Il d.lgs. n. 164 del 17 settembre 200723 ha poi modificato 24 il TUF
prevedendo ulteriori fattispecie, ovvero: qualsiasi altro titolo che comporti un
regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari (azioni e
certificati di deposito azionario, obbligazioni e altri titoli di debito, qualsiasi altro
titolo normalmente negoziato che permetta di acquisire o vendere i suddetti valori
mobiliari).
3 Tipologie di derivati: futures, forwards, opzioni e swaps
Tutti i derivati sono contraddistinti dal fatto che il loro valore è
strettamente legato a quello dell’underlying asset e dall’effetto leva da essi
generato. Tuttavia ogni tipo di strumento ha caratteristiche proprie a seconda degli
obblighi e/o diritti delle controparti, del mercato di negoziazione, della tipologia
di attività sottostante, ecc.
Una prima classificazione permette di dividerli in due gruppi: simmetrici
ed asimmetrici. Alla prima categoria appartengono quei contratti in cui entrambi i
contraenti (acquirente e venditore) si impegnano ad effettuare una prestazione alla
18
Cfr. comma 2, lett. d).
19
Cfr. comma 2, lett. e).
20
La definizione di “mercato regolamentato” viene riportata all’ art. 1, comma 1, lett. w-ter del
TUF, ovvero un «sistema multilaterale che consente o facilita l’incontro, al suo interno e in base a
regole non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti
finanziari, ammessi alla negoziazione conformemente alle regole del mercato stesso, in modo da
dare luogo a contratti, e che è gestito da una società di gestione, è autorizzato e funziona
regolarmente».
21
Cfr. comma 2, lett. f).
22
Cfr. comma 2, lett. j).
23
Attuazione della direttiva 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che
modifica le direttive 85/611/CEE, 93/6/CEE e 2000/12/CE e abroga la direttiva 93/22/CEE.
24
Introducendo la lett. d) al comma 1-bis.
8
data di scadenza dell’accordo: tra questi troviamo swaps e futures. Alla seconda,
invece, quei contratti in cui il compratore, pagando un premio, acquisisce il diritto
di scegliere se effettuare o meno l’operazione di compravendita prevista nel
contratto ad una data futura, come nel caso delle opzioni.
I derivati possono essere raggruppati in base alle modalità di negoziazione:
se queste avvengono su mercati regolamentati, le caratteristiche dei contratti sono
standardizzate e vengono definite dall’autorità del mercato sul quale vengono
scambiati (tipo di sottostante, durata, modalità di liquidazione, taglio minimo,
ecc.); se invece sono scambiati su mercati non regolamentati, i c.d. mercati over
the counter (OTC), sono le controparti a scegliere le caratteristiche dei contratti.
L’elevata standardizzazione dei contratti nei mercati regolamentati è volta a
favorire una maggiore liquidità del mercato ed a ridurre i costi per gli operatori.
In base al tipo di sottostante distinguiamo anche i derivati finanziari e
quelli reali: i primi sono detti financial derivatives e possono essere scritti su tassi
di interesse, tassi di cambio, indici azionari, ecc.; gli altri su materie prime e sono
denominati commodity derivatives.
Nei paragrafi seguenti saranno descritte le principali caratteristiche dei più
diffusi strumenti derivati: futures, forwards, opzioni e swaps.
3.1 I contratti future
Il future è un accordo per comprare o vendere un’attività finanziaria o
reale. Il regolamento Bankitalia del 4 agosto 200025 lo definisce come «il
contratto derivato standardizzato con il quale le parti si impegnano a scambiare ad
una certa data prestabilita determinate attività ovvero a versare o riscuotere un
importo determinato in base all’andamento di un indicatore di riferimento». Si
tratta di contratti standardizzati, ciò significa che vengono scambiati in borse
specializzate e regolamentate e devono possedere precisi requisiti in termini di
quantità e qualità dello strumento sottostante26. La consegna del bene o
dell’attività finanziaria deve avvenire in periodi prestabiliti (in genere ci sono
quattro scadenze per ogni anno) e la quantità di sottostante contenuta in ciascun
contratto è fissa.
25
Cfr. Titolo IV, punto 5.11, comma 1, n. 1.
26
La standardizzazione dei contratti future fa sì che nei mercati regolamentati vengano scambiati
una serie di contratti con le stesse caratteristiche: l’oggetto del contratto, ovvero il bene
sottostante, la data di scadenza, la dimensione, cioè il valore nominale del contratto, le regole di
negoziazione.