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I ruoli di rappresentanza dei consiglieri comunali toscani

La tesi è una ricerca empirica sulle percezioni che i consiglieri comunali hanno del proprio ruolo.

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1 INTRODUZIONE Dal tempo delle poleis greche, la civiltà occidentale riflette su quale sia il miglior modo di condurre una società; il governo deve essere esercitato dalla maggioranza, o da un’elite? La forma di stato che si è concretamente affermata ai nostri giorni contiene il germe di entrambe le soluzioni: nella democrazia rappresentativa il governo è “del popolo e per il popolo”, ma l’esercizio concreto del potere spetta ad un numero ristretto di persone, scelte dalla collettività. Questa formula, che vuole garantire allo stesso tempo la legittimità del governo e la sua efficienza, non è andata esente da critiche che hanno colpito la sua debolezza maggiore. Se è chiaro chi siano i rappresentati e chi i rappresentanti, quale rapporto ci deve essere tra loro? La parte più sfuggente della teoria rappresentativa, ci dice Hanna Pitikin, sta nel fatto che non esiste alcuna via definitiva perché gli interessi e le opinioni dei cittadini siano presenti senza alcun margine di dubbio nei luoghi decisionali. E’ per questo suo aspetto ineliminabile che lo studio della relazione tra rappresentanti e popolo è così affascinante; questo rapporto non è assicurato una volta per tutte, né può essere garantito soltanto dai meccanismi elettorali e dal principio di responsabilità come accountability. Rimane d’importanza centrale l’idea che i rappresentanti stessi hanno del loro ruolo e delle loro funzioni. Lo studio empirico della rappresentanza nasce negli Stati Uniti degli anni sessanta, dove l’attenzione si concentra da una parte sulla descrizione del rapporto rappresentativo, dall’altra sulla sua efficacia. L’archetipo dei primi è il classico “The Legislative Behaviour” (Wahlke et al. 1962), dove gli autori analizzano i ruoli rappresentativi dei membri di quattro assemblee statali; lo scopo del lavoro era quello di scoprire quali interessi i rappresentanti scegliessero di difendere (stato o distretto), e come intendessero farlo (da delegati o da fiduciari, cioè prendendo ordini o agendo di propria iniziativa). Il centro dell’interesse era il “come” della rappresentanza (la descrizione), e non il “quanto” (la valutazione). Miller e Stokes (1963) furono invece i primi a cercare di valutare l’efficacia del rapporto rappresentativo, indicando con questo termine l’influenza che gli elettori riuscivano ad avere sui rappresentanti del Congresso americano; da questo approccio sono nati gli studi della rappresentanza intesa come “congruenza” tra le opinioni dei rappresentanti e

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