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Roma proclamata città aperta
La proclamazione di "Roma città aperta", fatta il dal ministro degli Affari Esteri, Raffaele Guariglia, risolleva lo stato d'animo della popolazione romana.
Attraverso la Santa Sede e il canale diplomatico dei paesi neutrali, Svizzera e Portogallo, viene comunicata ai governi di Londra e Washington la nota ufficiale, contenente tale dichiarazione.
Il Comando Supremo italiano, in seguito a tale nota, ordina immediatamente alle batterie antiaeree della zona di Roma di non reagire in nessun modo in caso di passaggio aereo nemico sulla città; comanda poi lo spostamento di sede dei comandi italiani e tedeschi e delle rispettive truppe; si impegna a trasferire gli stabilimenti militari e le fabbriche di armi e munizioni e a non utilizzare il nodo ferroviario romano per scopi militari, né di smistamento, né di carico o scarico, né di deposito.
Però tutto ciò non è sufficiente. Per prima cosa, si tratta di una dichiarazione unilaterale: essa non ha alcuna efficacia se proclamata da una sola delle parti in causa. Non contiene alcuna precisazione topografica, concordata o no, neppure sui limiti della "security zone", della "zona di sicurezza": ciò ne fa una dichiarazione altamente incompleta. Inoltre, l'istituto della "città aperta" non è regolato da norme di Diritto Internazionale: unica certezza, è che l'espressione "città aperta" significa che la città non possiede mezzi difensivi o offensivi, e che per tali ragioni è esente da bombardamento o da attacco. In particolare, riguardo tale questione, se anche l'impegno italiano a smilitarizzare la città può ritenersi sincero e realizzabile, ottenere quello tedesco risulta pura utopia.
Per questi motivi, i governi alleati rifiuteranno di accettare la dichiarazione e si riserveranno «piena libertà di azione nei riguardi di Roma». Roma che infatti sarà bombardata dagli Alleati altre 51 volte dopo il 13 agosto, fino al 4 giugno '44.
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