Vasari e il termine maniera
La prima apparizione ufficiale del termine maniera è nel testo di Cennino Cennini, avente per significato un’arte che dipende da un’altra, uno stile; arte nata dall’arte. Cennini fa riferimento a una teoria dell’imitazione di un solo maestro. Il significato di Maniera è quello di:
- stile: stile come personale, cifra espressiva – modus operandi - di ogni singolo artista,;
- stile: insieme delle caratteristiche formali di un’intera epoca o di una determinata area geografica;
- Maniera Vecchia: quella di Giotto fino al ‘400;
- Maniera moderna: si apre con Brunelleschi e Masaccio;
- 3° età: va da Leonardo a Michelangelo;
vi è una contraddizione teorica: maniera è sempre qualcosa che si contrappone all’imitazione fedele della realtà; opposizione tra soggettività della maniera e oggettività del reale. L’espressione maniera si carica di tutte le sue valenze positive e progressive interpretando una spinta al superamento della natura che non contraddice il necessario fondamento dell’arte nell’imitazione naturale ma trova con esso un problematico momento di sintesi. Questo punto di convergenza tra maniera e natura si concretizza nella dottrina dell’electio ossia dell’imitazione selettiva di quanto di più bello vi sia in natura. Ed è per questa ragione che ogni qual volta parla di Maniera come un progresso dell’arte moderna Vasari associa a questa categoria estetica il concetto di electio attraverso un’allusione all’aneddoto antico di Zeusi e le fanciulle di Crotone.
Esiste però un rovescio della medaglia ed è quando Vasari ravvisa una discrasia nel delicato rapporto fra i due poli, quello del superamento e quello della fedeltà al vero, quello soggettivo e quello oggettivo. In questo caso ne deriva un giudizio negativo sull’artista (o sulla scuola), responsabile di un tale squilibrio. Se nell’opera o nell’artista la bilancia dello stile pende dalla parte del vero allora Vasari si lamenterà per l’assenza di bello ideale, di electio, e l’artista verrà tacciato di eccesso di diligenza o di mancanza di disegno.
Se invece la bilancia pende dalla parte del superamento dando così vita ad un eccesso di maniera, allora il termine si tinge di sfumature deteriori, finendo per collimare con quel concetto limitativo o dispregiativo che Vasari riassume nell’espressione di tirare la pratica. Vasari dichiara che il partito migliore consiste nello studiare la maniera e le cose naturali insieme. In quanto impronta soggettiva che l’artista infonde alla sua opera la maniera non è una virtù o un difetto, ma una conseguenza imprescindibile. Essa si carica di valenze positive quando si fonda sull’electio ed esprime il superamento da parte del singolo artista della mera imitazione passiva della natura. Diviene un vizio quando l’equilibrio tra soggetto e oggetto, artista e natura, si spezza o perché vi si sovrappone la maniera di un altro artista o perché il primo tende a predominare sul secondo per il prevalere della pratica. In entrambe le evenienze si avrà un eccesso di maniera e un conseguente difetto di imitazione naturale. Vasari non condanna la maniera - la quale a suo dire è uno dei fattori qualificanti dell’arte moderna – ma quel suo eccesso che si manifesta o sotto forma di una pratica ripetitiva o come esagerato discostarsi dalla pratica della vero somiglianza. Non è dunque un controsenso che sia proprio Vasari, come portavoce di una tendenza artistica che aspira innanzi tutto a conseguire la maniera, a prendere per primo coscienza dei rischi e delle tentazioni implicite della sua stessa poetica. Nel Proemio alla terza età nelle Vite, Vasari da un’interpretazione da un’ottica manieristica, delle vicende figurative italiane dal quattrocento a Michelangelo.
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Dettagli appunto:
- Autore: Alessia Muliere
- Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
- Facoltà: Scienze Umanistiche
- Esame: Storia della critica d'arte
- Docente: Prof.ssa Orietta Rossi Pinelli
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