Tre condizioni particolari
Ci sono tre casi particolari affinché queste condizioni valgano:
1. l'offerta deve essere elastica: se si svaluta il cambio, i prodotti interni per gli stranieri diventano più convenienti → è auspicabile che aumentino le esportazioni; ma se le nostre imprese non sono in grado di produrre di più, come fanno ad aumentare le esportazioni? È fondamentale che l'offerta, cioè la produzione di beni italiani reagisca positivamente a questo fatto, quindi che la produzione di beni italiani aumenti di fronte a una maggiore domanda, che ci sia maggiore occupazione. Se tutte le imprese teoricamente producono al 100% con tutti i fattori produttivi occupati, non è possibile aumentare la produzione, questo renderebbe inefficace la svalutazione. Ma sappiamo che questo non accade perché se ci fosse una domanda forte di bene italiano, saremmo in grado di colmarla aumentando la produzione, come effettivamente succede coi prodotti del "made in Italy" in questi anni; altrimenti si crea una sorta di spirale svalutazione → inflazione → svalutazione: se le imprese producessero al 100% della loro capacità produttività e se ci fosse piena occupazione, un aumento di domanda si tradurrebbe in un aumento dei prezzi. Quindi la svalutazione sarebbe inefficace e, anzi, produrrebbe un circolo vizioso di aumento dei prezzi interni.
2. Curva J: ci possono essere dei ritardi, cioè il primo effetto della svalutazione è di peggiorare la bilancia commerciare, poi essa migliora e ha questo "effetto a J". Misurata nel tempo, nell'asse delle ordinate si misura il saldo commerciale e nelle ascisse il tempo che passa: il primo effetto della svalutazione è un peggioramento del saldo commerciale che poi, progressivamente migliora (andamento a J), ma perché prima peggiora e poi migliora? Solitamente perché ci vuole un po' più tempo a far sì che i consumatori internazionali si rendano conto che i prodotti italiani sono più convenienti e a loro costano meno. Abbiamo quindi subito un effetto negativo sulle importazioni, perché magari dobbiamo comprare materie prime importanti e subito le paghiamo con una moneta svalutata. Poi piano piano i consumatori stranieri vedono che l'Italia sta diventando un paese più conveniente e un bene costa molto meno in dollari rispetto che in Euro, quindi aumenta la domanda di beni italiani producendo un effetto sulle esportazioni. Solitamente c'è un ritardo: riguardo gli effetti precedenti, quello sulle esportazioni avviene dopo con un po' di ritardo. Il primo effetto è negativo, di aumento del valore dei beni importati = questa è la cosiddetta curva J in cui si è notato empiricamente che la svalutazione porta inizialmente a un peggioramento: prima il saldo peggiora, poi progressivamente migliora e diventa migliore di come era prima. È un effetto perverso, problema di tempo. La reazione positiva dell'esportazioni sui beni italiani esportati all'estero avviene solitamente con un ritardo, quindi l'aumento del valore di M avviene subito (se dobbiamo comprare in dollari, il conto è più alto perché la nostra moneta ha perso valore rispetto alla moneta straniera). Nell'immediato le ragioni di scambio, prima peggiorano e poi migliorano.
Se si rappresenta graficamente, inizialmente il saldo peggiora, poi migliora e si nota un andamento tipico a J, dove prima c'è un lieve peggioramento e poi un miglioramento progressivo nel saldo commerciale. Quindi l'andamento negativo è dato soltanto dal fatto che inizialmente non vengono richiesti prodotti dall'estero, inizialmente i segnali sono subito negativi per la svalutazione della moneta. Poi i consumatori stranieri si rendono progressivamente conto del costo minore dei nostri prodotti, quindi ne richiedono di più ma questa loro domanda non avviene immediatamente ma dopo un certo periodo di tempo a un punto tale che poi compensa i maggiori costi iniziali: effetto "time leg" cioè in ritardo. 3. I movimenti di capitale di tipo finanziario: investimenti di portafoglio, investimenti finanziari fatti per investire all'estero i propri capitali oppure risparmiatori stranieri che investono in Italia. Da cosa dipendono? Dai tassi di interesse interni, dai tassi di interesse mondiali e anche dalle aspettative sul nostro tasso di cambio, cioè sulle variazioni future del tasso di cambio. Non dal tasso di cambio oggi, ma da quali sono le previsioni che gli operatori fanno nel futuro del tasso di cambio. Aspettative sul tasso di cambio: immaginiamo di mettere a confronto un acquisto di titoli italiani con quelli argentini/messicani paesi instabili, politicamente rischiosi di colpi di stato. Ho un rendimento in Italia del 3%, rendimento di titoli messicani del 7% quindi questi rendono di più, ma ho un'aspettativa sul cambio peso/euro tale da ritenere che il peso messicano perda di valore nei prossimi 5 anni, quindi perché dover comprare una moneta destinata a svalutarsi? Fra 5 anni, quando finirà l'investimento voglio ritornare ad avere Euro in tasca, quindi non investo in pesos se tra 5 anni ad esempio, coi pesos che ho comprato non ottengo quello per cui ho investito. Le previsioni che io faccio sull'andamento futuro del cambio sono fondamentali. Io posso anche investire in una moneta debole ma in quel caso devo aver un rendimento molto più elevato per neutralizzare il rischio di investire in una moneta debole.
Queste sono le tre variabili fondamentali.
L'equilibrio è assicurato n primo luogo dal confronto i=i* (i* tassi mondiali) al netto delle variazioni attese di cambio: se io ho aspettative attese negative sul tasso di cambio, sulla moneta in cui investo, io non la compro anche se il rendimento è maggiore. È come se la condizione di equilibrio fosse i= i* + r^e (tasso di cambio atteso: e=expected). Se mi aspetto che il tasso di cambio del Messico si svaluti, quindi i pesos messicani che acquisto mi danno molti meno euro nel futuro, io l'investimento non lo faccio. R^e è il tasso atteso di svalutazione di cambio e misura il rischio specifico nel quale l’investitore estero incorre se impiega i capitali nel paese dove vuole investire.
Il tasso di cambio atteso è una grandezza che influenza in caso di grandi investimenti o obbligazioni, così come la grandezza e la stabilità di un paese in cui si va a investire.
Quando si parla di aggiustamento, bisogna capire quale variabile entra in gioco.
" i*" è una variabile che non si può modificare: i tassi americani ad esempio non sono decisi dall'Europa, essi sono i tassi che si determinano sul mercato americano, possono essere influenzati dalla banca centrale americana ma per il nostro paese rappresenta un dato non modificabile.
Invece " i" lo possiamo modificare, intervenendo sulla liquidità, aumentando l'offerta di moneta se vogliamo ridurre " i", oppure riducendo l'offerta di moneta se vogliamo aumentare " i". Il tasso di interesse nazionale può esser modificato dalle nostre autorità monetarie, come la banca centrale europea che può modificare i tassi di tutta l'Europa, tassi di riferimento che poi influenzeranno le banche, il costo di merci, dei prestiti.
Esempio: se ho una bilancia finanziaria in disavanzo cioè sono più i soldi che dal mio paese vengono investiti all'estero, più di quanto sono invece i soldi che gli stranieri investono nel mio paese = ci sono più capitali italiani investiti nel resto del mondo (acquistando titoli americani, messicani) più di quanto sono i capitali stranieri che vengono investiti in Italia. Bisogna modificare questo squilibrio → non possiamo modificare i tassi mondiali ma possiamo modificare quelli nazionali/europei. Come modificare questi "i" per provare a modificare questo squilibrio? Di certo non diminuendo i tassi italiani perché se lo si fa, sono poi gli stranieri ad avere meno convenienza a investire, a comprarli perché non avrebbero rendimento e gli italiani hanno meno convenienza a comprarli perché il loro rendimento è vicino allo zero. Bisogna invece, per pareggiare questo squilibrio, aumentare i tassi d’interesse per poter offrire dei titoli, obbligazioni, delle attività finanziare il cui rendimento è più elevato. In questo modo si può avere la speranza che vengano acquistati da banche o investimenti stranieri. Tuttavia, questo può provocare effetti negativi sulla nostra economia perché, per avere l'equilibrio sulla bilancia dei capitali aumento i tassi e posso provocare degli effetti negativi sugli investimenti interni, sul reddito e sull'occupazione. Questo dipende ovviamente dalla priorità: se lo squilibrio finanziario è molto forte, è evidente che si deve adottare una manovra di tipo restrittivo, la quale può avere effetti negativi su altre grandezze economiche.
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Dettagli appunto:
- Autore: Federica Palmigiano
- Università: Università degli Studi di Palermo
- Facoltà: Scienze Politiche
- Esame: Storia del pensiero politico e della politica economica internazionale
- Docente: Pier Francesco Asso
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