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Nuove vie di consenso alla programmazione sindacale


Con il governo Moro del dicembre '63 ci fu un cambio di indirizzo, sia perché al ministero del bilancio, La Malfa (che non godeva della simpatia da parte della CGII e della CGIL) fu sostituito al socialista Giolitti, sia perché Moro cercò di far leva sulla presenza diretta dei socialisti nel gabinetto e sui colloqui di Nenni con i sindacati per ottenere il sostegno della CGII alla politica economica del governo.
Il ministero del bilancio diresse direttamente la redazione del programma quinquennale previa consultazione periodica che tuttavia non garantiva il sostegno sindacale. Tutto questo avveniva quando il boom economico era ormai alle spalle.

Gli anni '63-'64 furono anni di crisi economica in cui cominciò a crescere nuovamente il tasso di disoccupazione. Nel giugno '64 fu prolungata a dodici mesi la validità della CIG) al termine della quale sarebbe scattata l'indennità di disoccupazione involontaria.
La CIG sarà revisionata nuovamente nel '68 prevedendo l'intervento straordinario e il trattamento anticipato di pensione. Si tratterà di un ammortizzatore sociale molto utilizzato negli anni '70 e che assieme allo Statuto dei lavoratori eleverà il sistema di garanzie di stabilità all'impiego  e di salario.
In questa situazione, i rinnovi contrattuali del '65-'66 presentarono aumenti salariali dimezzati rispetto a quelli di inizio decennio.
La caduta del governo nel luglio '64, cui seguì la nascita di un altro governo Moro, ripropose il problema del dialogo col sindacato e della necessità di varare il programma quinquennale, in riferimento al quale, il PCI pose il veto sul coinvolgimento tecnico o consultivo della CGIL. Questo rese complicata la procedura e contrastò con l'orientamento della CISL che intendeva essere inserita in permanenza in un organo consultivo: per approvare due dei tre disegni di legge proposti dal governo su programma e istituzione del Comitato interministeriale per la programmazione economica, ci vollero quasi due anni e al momento del voto, i parlamentari vicini alla CGIL si astennero.

In questa strategia del dialogo e dell'apertura verso il sindacato, l'INTERSIND giocò un ruolo importante: gli orientamenti che erano giunti al sindacato dell'industria pubblica dal ministro delle PP.SS., nel '62 avevano contribuito alla conclusione della vertenza dei metalmeccanici
accettando clausole innovative come quella sui diversi livelli di contrattazione. L'industria pubblica non era più allineata a quella privata e ricercava il consenso sociale anche a scapito dell'economicità di gestione.
Il sindacato dell'industria pubblica era (contrariamente alla CONFINDUSTRIA) fautore della politica dei redditi nel quadro della programmazione economica, sia perché la pressione governativa affinché l'industria pubblica investisse nel mezzogiorno richiedeva il contenimento delle richieste salariali; sia perché i conti delle aziende pubbliche davano segnali di affaticamento.
Il presidente dell'INTERSIND, Glisenti e il presidente dell'IRI, Petrilli, avviarono il dialogo con i sindacati perché ritenevano fosse il solo modo per giungere ad un controllo dal basso della dinamica salariale.
I governi Rumor e Colombo, in pieno autunno caldo, cercarono di varare procedure, accettate dai sindacati, in grado di circoscrivere in un quadro di compatibilità le rivendicazioni salariali. In questa direzione operò anche Glisenti, il quale cercò di rivitalizzare RI di tipo triangolare che affrontassero in modo globale la politica sociale del paese. Tuttavia la forte contestazione dal basso costrinse il sindacato ad assumere posizioni che precludevano ogni possibilità di dialogo al vertice e di rispetto delle compatibilità, La Commissione politiche del lavoro, creata da Colombo nell'autunno del '71, fu esautorata dal disimpegno delle tre Confederazioni, ormai convertite alla tesi del salario come variabile economica indipendente.

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