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Richard Nixon e la destabilizzazione dei governi ostili


Dalla metà degli anni 60 l’attenzione statunitense fu assorbita dalla guerra del Vietnam e l’America Latina passò in secondo piano. Nixon eletto nel 68 fu incapace di distogliere l’attenzione dalle vicende che impegnavano gli Usa nel sudest asiatico e accantonò il programma di aiuti creato con l’Alleanza e il Progresso.
Per sostenere le deboli economie latinoamericane preferì ricorrere non più a prestiti bilaterali ma a finanziamenti delle grandi istituzioni internazionali in modo analogo a quanto sarebbe accaduto con Clinton. Non solo ribadì la preoccupazione sulla diffusione del comunismo ma assunse una condotta più intransigente e intraprendente verso i governi riformisti e marxisti come il Cile di Allende. La strategia fu la destabilizzazione dei governi ostili. Anziché ricorrere ad interventi militari diretti, il duo Nixon-Kissinger, suo segretario di stato, optò per iniziative che avrebbero minato alla base la capacità di governo dei regimi marxisti, debilitandone l’economia, sostenendo le opposizioni, i cospiratori di destra e le fazioni militari con orientamenti golpisti influenzando le opinioni pubbliche nazionali con l’uso di campagne di propaganda.
La nuova politica avrebbe dovuto distinguere tra nazioni amiche e nemiche degli Usa. Uno dei criteri distintivi era l’accettazione o meno degli investimenti privati statunitensi.
Nixon il 31 ottobre 1969 delineò i principi che avrebbero informato la politica della sua amministrazione verso l’America Latina:
1. la necessità che i paesi industrializzati si impegnassero a ridurre le barriere non tariffarie nei confronti dei prodotti latinoamericani
2. gli Usa si sarebbero impegnati a incrementare l’assistenza tecnica e finanziaria per garantire l’espansione commerciale della regione
3. il suo paese si sarebbe adoperato per stabilire regolari procedure di consultazioni reciproche in campo commerciale ed avrebbe agito a livello intergovernativo per liberalizzare le tariffe commerciali.

La nazione simbolo della nuova strategia americana fu il Cile dove attraverso covert operations coordinate dalla Cia riuscì ad abbattere nel 1973 il governo democraticamente eletto di Salvador Allende aprendo la strada alla dittatura del generale Augusto Pinochet.
Il caso Allende non era come gli altri. Non era solo una seccatura economica o un personaggio che criticava politicamente gli Usa ma una sfida geopolitica. Il Cile confinava con Perù, Argentina e Bolivia, tutti paesi appestati da movimenti estremisti. Un Cile rivoluzionario era in grado di minare la sicurezza delle altre nazioni e di appoggiare le insurrezioni estremiste. Se il Cile avesse seguito lo schema cubano, col tempo l’ideologia comunista sarebbe stata appoggiata dai sovietici anche nell’America del sud. Quindi la Casa Bianca decise di organizzare un golpe contro Allende. Doveva essere condotto dalle forze armate e avrebbe dovuto privare il governo del presidente che però incontrava ancora grande sostegno popolare. L’uomo scelto per sferrare il colpo decisivo era Pinochet, capo dell’esercito. Nel 1973 i militari attaccarono la Moneda e nei combattimenti Allende morì.

Tratto da AMERICA LATINA E STATI UNITI di Filippo Amelotti
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