L’agricoltura dell’europa preindustriale: risposta estensiva e risposta intensiva
Nei secoli successivi al Mille, l’agricoltura europea aveva compiuto notevoli progressi che avevano permesso di sottoporre a coltura i terreni umidi e argillosi delle aree centro- settentrionali del vecchio continente. Le innovazioni più importanti sono : l’aratro pesante dotato di avantreno,di coltro e di versoio; la ferratura degli zoccoli dei cavalli e la loro bardatura con collari fatti in modo da evitare la pressione sulla gola e la larga diffusione triennale (= un anno a frumento o segale, un anno a orzo o avena e un anno a riposo).
Nei Paesi mediterranei, però, la scarsità delle piogge e la natura friabile dei terreni, ostacolarono l’applicazione di queste nuove tecniche, infatti rimase la rotazione biennale che lasciava la terra a riposo un anno su due e si utilizzava l’aratro leggero privo di ruote.
Tra il 1450 e il 1750 l’organizzazione produttiva nelle campagne non registrò grandi mutamenti.
L’incremento demografico del “lungo Cinquecento” comportò un aumento della domanda di derrate alimentari, soprattutto verso i cereali. La carne scomparve praticamente dalle mense dei contadini e, in generale, di tutti i lavoratori manuali, che fino al XX secolo si nutrirono prevalentemente di pane e farinate, accompagnati da legumi e verdure, lardo o pesce salato, uova e latticini in modeste quantità e vino o birra di scadente qualità.
Ci si chiede come fosse possibile che l’agricoltura potesse riuscire a sfamare una popolazione in continua crescita. A livello teorico sono possibili due tipi di risposte: una risposta “estensiva” consistente nell’allargamento della superficie coltivata, e una risposta “intensiva”, consistente nell’adozione di tecniche volte ad accrescere la produttività, ossia la quantità di prodotto per unità di superficie.
Fino al XVI secolo prevalse la soluzione intensiva, tanto che, mano a mano che la popolazione cresceva vennero rimessi a coltura terreni precedentemente abbandonati, e furono bonificate molte aree che fino ad allora erano occupate da foreste e paludi. Ovviamente i terreni così dissodati non sempre erano di prima qualità, nella maggior parte dei casi si trattava di terreni marginali che solo la pressione demografica aveva fatto sì che fossero resi coltivabili. Conseguenza di ciò fu la contrazione della superficie adibita a pascolo, che a sua volta, comportò una scarsità di concime.
Anche il clima aveva influito negativamente sui raccolti in quanto nella metà del 400 ci fu una fase di diminuzione delle temperature medie chiamata “piccola glaciazione”.
In Europa il rapporto tra raccolto e semente per i cereali panificabili oscillava tra 3:1 e 5:1 e il peso del raccolto per ettaro era sui 4-7 quintali.
La fertilità dei campi non è solo funzione della natura dei suoli ma anche di altri due fattori: la disponibilità dell’acqua e il concime. La presenza di una rete irrigatoria fu all’origine della grande produttività della pianura a sud di Milano dove già nel basso Medioevo scomparve il maggese e si diffuse il capitalismo.
Le piante foraggere, oltre a restituire alla terra l’azoto sottrattole, rendono possibile il mantenimento all’interno della aziende di abbondante bestiame bovino.
La stretta associazione di agricoltura e allevamento e l’adozione di rotazioni che eliminano la necessità del riposo periodico dei terreni sono l’essenza della rivoluzione agricola che ci fu nei Paesi Bassi e poi in Inghilterra.
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Dettagli appunto:
- Autore: Selma Aslaoui
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Scienze della Formazione
- Esame: Storia Moderna
- Docente: Donattini Massimo
- Titolo del libro: Storia Moderna - 1492-1948
- Autore del libro: Carlo Capra
- Editore: Le Monnier
- Anno pubblicazione: 2004
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