Arialda di Giovanni Testori
E’ una tragedia plebea, vissuta dalle due figure parallele di Arialda e suo fratello Eros: Arialda è una zitella che urla la sua voglia d’amore, di fecondità, di vita, sepolta sotto la sua ossessione dei morti (il suo fidanzato è morto di tisi) che tornano come remore e come vincolo e si fissano nella follia.
Eros è il giovane efebo che aspira ad un amore pulito verso un altro giovinetto, Lino, che muore. Eros resta così inchiodato alla disperazione. La morte del Lino avviene prima che possa essere contaminato l’amore puro di Eros; la morte di Gaetana stende un velo sulla rabbia e sulle tensioni, riporta tutto ad una situazione da cui possa tutto ricominciare. Il sacrificio di questi due personaggi è messo in modo da lasciare aperto un margine, Testori non chiarisce e non decide. Il problema del senso qui è solo posto, aperto.
Tutti i personaggi hanno dentro di sé una spinta al superamento del limite in cui sono fissati, e questa spinta a salvarsi passa, in un modo o nell’altro, per l’amore ricco della componente fondamentale della affettività materna. Ma per tutti è lo scacco: c’è una fatalità che divide quello che vorrebbe unirsi, che separa ciò che vorrebbe fondersi. Questa fatalità è Dio.
La cava rivela la sua ambiguità simbolica, funge da grembo e da tomba, è solitudine e morte, avvolge e risucchia tutti. Nel fabbricone l’equivalente della cava è quel fetore avvolgente che lo avvolge al termine del romanzo.
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