Poetica per il teatro teorizzata da Giovanni Testori
Testori teorizza una poetica per il teatro, documentandola nel breve manifesto “Nel ventre del teatro” del 1968: qui teatralità e tragedia finiscono per coincidere.
La tesi sostenuta da Testori è che il luogo del teatro non è scenico ma verbale: come Pasolini, anche Testori evidenzia il ruolo chiave della parola, che però non deve essere una parola qualsiasi ma una parola – materia, affondata nel grumo dell’esistenza, nella carne e nelle ragioni della violenza, della passione e della bestemmia che la scuotono. Il teatro è fatto, secondo Testori, di ingorghi di parole.
Fondamentale risulta essere il monologo, espressione ideale di un vero teatro che è una immobile prova religiosa del nucleo immutabile dell’esistenza. Il teatro è prendere atto di uno scandalo senza proporre soluzioni, tanto più si avvicina al nucleo inspiegabile dell’esistenza, tanto più perde d’importanza la collocazione storica ed il dinamismo dell’azione.
L’azione drammatica si struttura solitamente su tre distinte polarità:
l’individuo – eroe che trasgredisce il limite
la collettività, che è l’orizzonte culturale nel quale è inserito l’eroe, è fatta di valori e tabù
l’assoluto, inteso come Dio nel momento in cui l’uomo vive la situazione di assenza ed abbandono.
Quando uno di questi tre elementi viene meno, il tragico si incrina.
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