Il disordine necessario, il riequilibrio autoanalitico
Nella storia della letteratura, più che nell'auspicio di una qualche definita guarigione, ci si trova impegnati nella metamorfosi nei propri vizi che divengono testimonianze creative e poetiche, per il godimento altrui, per il tormento proprio. I romanzi, poi il cinema, hanno segnato tappa dopo tappa il tramonto di certi vizi e l'apparire di altri. Le virtù, invece, paiono più stabili ancora una volta, in quanto direzione di senso tendenti a un fine altruistico; a differenza dei vizi, guardano oltre. Qualche vizio, infatti, merita di essere riabilitato alla luce del modificarsi di alcuni valori non tanto individuali, quanto frutto di conquiste collettive di genere e sessuali; aiutate anche dal mutare di condizioni strutturali, culturali e socio economiche, necessarie alla vita.
Paradossalmente, c'è bisogno di vizio, sia esso impegnativo o modesto, quasi normale, per partecipare al dramma della vita, anzi, per drammatizzarla rischiando. Sentirsi viziosi, atteggiarsi ad esserlo, mantiene una sua fascinazione, anche perché c'è sempre qualche persona virtuosa, professionista o meno, disposta a mettere alla prova le sue arti riparatorie.
Il vizio è il disegnatore del desiderio di vivere spregiudicatamente, senza limiti, nella sfida e nell'audacia di non poter più tornare indietro, confermandosi un grande mito.
L’autoanalisi, concetto più laico rispetto alle pratiche dell'esame di coscienza o di esercizio spirituale, più solitario e meno catechistico, è un percorso che oltrepassa la natura morale di quanto finora detto. L'autoanalisi nasce come filosofia e come poesia, cioè come ragione poetica; come invocazione, esortazione a vivere più in profondità la vita presente.
L'autoanalisi, specie se sostenuta dalla scrittura, svolge un compito virtuoso di riequilibrio interno, indicando la direzione al soggetto morale e rendendolo tale.
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