Importanza delle reti di solidarietà
Un elemento cruciale che determina o meno scelte educative piuttosto che altre è la presenza o meno di reti di solidarietà. Se la mancanza di reti familiari di supporto si somma all’impossibilità di conciliare tempio di lavoro con quelli familiari spingono molte donne anche italiane a chiedere aiuto ai servizi educativi. Ma quando questo non fosse possibile a causa di una burocrazia troppo rigida o di politiche sociali che non permettono l’utilizzo di tali servizi anche a chi è sprovvisto dei regolari documenti di soggiorno succede che la porzione più debole e invisibile dell’immigrazione o della società rimanga in disparte nella sua emarginazione. Una politica educativa diversa che voglia dirsi realmente attenta all’infanzia e alla maternità dovrebbe partire dal coinvolgimento e partecipazione diretta di tutti i genitori. Questa partecipazione può aversi solo se nella comprensione dell’altro si conoscono le reti di supporto e le si implementano. Le reti sociali e di solidarietà attiva dell’immigrazione non sono le stesse che nel paese di origine. Sia perché esistono delle differenze sostanziali tra una cultura e l’altra per cui esistono modelli di aiuto comunitario come quello africano e modelli di aiuto più strettamente familiare come quello magrebino. Sia perché la comunità di appartenenza nel paese di origine tende a rimarcare la propria identità di emigrato cioè di colui che è proveniente da un determinato contesto di origine piuttosto che immigrato cioè colui che cerca di inserirsi qui ed ora in un nuovo contesto. Per questo motivo le reti sociali e aiuto non sono adatte a supportare le responsabilità genitoriali perché incentrate sull’individuo con la sua storia e la sua identità da sottolineare e rimarcare piuttosto che sulle esigenze di un nuovo nucleo familiare che si sta costruendo in un nuovo contesto. Anche laddove le reti amicali delle connazionali comunitarie o familiari siano composte da donne emergono difficoltà che nel proprio paese non sarebbe emerse a causa del diverso contesto, della lingua spesso sì incomprensibile delle strutture non pronte ad accogliere e non conosciute o comunque dalla mancanza di risorse che rendono l’esperienza della maternità e della genitorialità molto diversa che nel paese di origine. Certamente esistono esperienze positive di aiuto reciproco tra connazionali o vicini di casa autoctoni modelli da diffondere ma esistono delle difficoltà alle quali dovrebbe rispondere un servizio educativo: come l’integrazione delle cure materne attraverso luoghi sicuri di crescita; la diffusione dei saperi allevanti per tutti come forma di self help attraverso la comunicazione tra servizio e famiglia e momenti di scambio culturale tra i modi cure e educazione dei figli in contesti diversi; tutela dell’infanzia universalizzata e prevenzione dei distacchi precoci tra madre e bambini nell’immigrazione. Spesso l’asilo nido non è conosciuto ma questo è un problema che riguarda non solo chi viene da lontano ma anche gli italiani: i primi perché in molte culture è diffusa la pratica di affidare i figli alle cure dei nonni o della famiglia allargata in una gestione condivisa delle responsabilità familiari oppure per disinformazione legata alla non comprensione della lingua e nel secondo caso per mancanza di informazione, stereotipi e pregiudizi che vedono l’asilo nido come luogo di “parcheggio” di quelle famiglie che non potendo conciliare i ritmi del lavoro sono costretti a lasciare i figli ad altre persone estranee, non capendo l’importanza educativa per il bambino di crescere anche con figure non parentali, di avere esperienze stimolanti e di socializzazione che altrimenti non ci sarebbero; socializzazione che avviene anche per i genitori che si scambiano, saperi, pratiche, consigli, preoccupazioni, gioie ecc.. occorre dunque superare la disinformazione e facilitare l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia. I servizi educativi della prima infanzia dovrebbero oggigiorno connotarsi sempre più come servizi che siano realmente universali cioè aperti a tutti i bambini da zero a tre anni e a tutti i genitori italiani e stranieri nella convinzione che si tratti di momenti di scambio alla pari tra partner educativi che comunicano, si interrogano, stabiliscono alleanze e intese intorno al compito comune dello sviluppo e del benessere del bambino. Un servizio quindi in grado di accogliere “mille modi di crescere, scambi di storie e di culture d’infanzia tra modelli educativi e modalità di cura differenti” da cui possiamo imparare comprendendo le diverse prospettive delle scelte educative di un prima e di un hic et nunc completamente diverso. Infine nella consapevolezza che l’altro non può essere letto ne come male estremo da debellare ma neanche in senso romantico e idilliaco occorre considerare che le reti di solidarietà anche quando positive di reale aiuto nella gestione delle responsabilità genitoriali possono comunque rivelarsi reti che intrappolano, tanto che alcuni rischiano di sentirsi come dei veri e propri ostaggi del proprio gruppo costantemente in bilico tra l’esigenza di mantenere le proprie redici culturali la voglia di sperimentare situazioni nuove mosse inedite di presa di distanza dalla propria appartenenza.
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Dettagli appunto:
- Autore: Barbara Reanda
- Università: Università degli Studi di Perugia
- Facoltà: Scienze dell'Educazione
- Corso: Pedagogia
- Esame: Antropologia dell'educazione - III modulo: la cultura come ritualità legata alla nascita, saperi allevanti, pratiche di cura dell'infanzia.
- Docente: Faltieri
- Titolo del libro: Mille modi di crescere. Bambini immigrati e modi di cura.
- Autore del libro: AA.VV.
- Editore: Franco Angeli
- Anno pubblicazione: 2002
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