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La famiglia: primo soggetto educativo


La maggior parte dei bambini trae dalla famiglia, oltre alla sopravvivenza, anche i primi insegnamenti.
Lo scopo “operativo” ultimo attribuibile all’educazione familiare è l’autonomia dei discendenti, cioè il distacco armonico e funzionale dei figli dal nucleo familiare originario.
All’interno della famiglia si assiste all’intenzione di trasmettere codici di condotta e valori morali propri e del gruppo sociale di appartenenza. L’azione educativa dei genitori tende a “dare forma” ai discendenti, sulla base di modelli culturali ritenuti validi e auspicabili.
Oggi, la famiglia rappresenta ancora il luogo della socializzazione primaria, dei primi apprendimenti, dell’avvio e del sostegno della strutturazione dell’identità di base.
Nello stesso tempo, rispetto alla complessiva storia educativa dei soggetti, può essere ritenuto un ambito in parziale crisi in particolare per la crescente importanza che assumono altri ambiti quali, per esempio, le esperienze educative formali e i mezzi di comunicazione di massa.
Oggi è delegato progressivamente ad altri (pediatri, insegnanti, psicologi, anche educatori professionali) il possesso dei saperi funzionali alla crescita dei discendenti: dalla preparazione al parto al controllo dello sviluppo, dall’orientamento scolastico al modo di affrontare le tensioni dell’adolescenza.
La famiglia, le famiglie
Per molto tempo il modello di famiglia è stato quello dell’unione continuativa e irreversibile di una coppia composta da persone di sesso diverso, finalizzata a generare figli e convalidata dalla Chiesa attraverso il sacramento del matrimonio. Nel corso di questi ultimi decenni, una parte delle esperienze familiari si è progressivamente allontanata da tale modello ponendolo, nei fatti, in crisi: matrimoni civili, divorzio, convivenze, omosessuali sono tutte questioni che hanno importanti implicazioni per il lavoro educativo professionale, riguardano la constatazione della molteplicità di valori e principi in fatto di famiglia e la capacità di pensare e di “sentire” le alterità come opzioni possibili e legittime, e non soltanto come “diversità” da curare o tollerare.

Tratto da L’EDUCATORE IMPERFETTO di Anna Bosetti
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