Questa materia si prefiggere di fornire conoscenze in merito ai disturbi psicologici dell'età evolutiva, che nel DSM-V hanno delle sezioni a loro dedicate con relativi criteri. All'interno degli appunti, oltre alla descrizione di segni e sintomi dei vari disturbi, sono indicate altresì alcune specifiche, quali: epidemiologia, età di esordio, fattori di rischio, fattori protettivi e possibili interventi.
Psicopatologia dell'età evolutiva
di Veronica Rossi
Questa materia si prefiggere di fornire conoscenze in merito ai disturbi
psicologici dell'età evolutiva, che nel DSM-V hanno delle sezioni a loro dedicate
con relativi criteri. All'interno degli appunti, oltre alla descrizione di segni e
sintomi dei vari disturbi, sono indicate altresì alcune specifiche, quali:
epidemiologia, età di esordio, fattori di rischio, fattori protettivi e possibili
interventi.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Psicologia
Corso: Psicologia
Esame: Psicopatologia dell'età evolutiva
Docente: Carlotta Belaise1. La salute mentale nell'età evolutiva
• Disturbi d’ansia
• Conseguenze degli eventi traumatici
• Depressione infantile
• Well being therapy
• Disturbi dell’attenzione e del comportamento dirompente
• Disturbi dell’apprendimento
• Bullismo
La definizione dell’OMS di salute mentale viene data alla fine degli anni '40 e già da allora viene valutata
come benessere fisico e mentale.
Focalizzazione non più solo sugli aspetti biologici si ma si prendono in considerazione aspetti sociali e
psichici. Si inizia a parlare di state e welfare, soprattutto nei paesi anglosassoni per primi.
Altro aspetto importante a cui si giunge è che lo stato di salute e malattia non si escludono a vicenda ma si
dispongono lungo un continuum che va dalla salute mentale, problemi mentali, fino ai disturbi mentali
ovvero quelli che rispecchiano i criteri diagnostici dei manuali. Non è una caratteristica dicotomica ma ci
sono sfumature, tanto che ci sono descrizioni distinte tra salute mentale, problemi di salute mentale e veri e
propri disturbi mentali.
Quelli che si posizionano all’interno di queste estremità sono i sintomi sottosoglia, ovvero che non
rientrano per intensità o durata nei criteri diagnostici considerati.
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Psicopatologia dell'età evolutiva 2. L'epidemiologia
I dati epidemiologici variano perché le percentuali sono variabili in base alla metodologia della ricerca.
Se vengono usate le stesse definizioni di disturbi alcuni pazienti rientreranno ed altri no, ma variano anche
dalle fonti di informazioni dalle quali giungono le informazioni.
Dati generali: circa 1 bambino su 4 presenta (circa 20%) disturbi mentali con compromissione funzionale.
Di questa percentuale, un range che va dal 10 al 15% riporta disturbi psichiatrici gravi.
Un adolescente su 5 ha difficoltà sul piano comportamentale emotivo e cognitivo ed 1 su 8 soffre di disturbo
mentale.
Mai come in età infantile si trovano tassi elevati di comorbilità, disturbi puri praticamente non esistono ed
in ambito infantile si sviluppa su 3 livelli prevalentemente:
O con un altro disturbo mentale
O con abuso di sostanze
O con malattie croniche
Questi dati cambiano se inseriamo i sintomi subclinici, ovvero quelli che hanno intensità perlopiù bassa,
nonostante siano di minor impatto per intensità e durata non significa che non siano tanto invalidanti da
richiedere un intervento.
Una delle problematiche che è stata sollevata per molti anni in letteratura è che molti disturbi che riguardano
l'età evolutiva vengono ignorati.
Importante è distinguere dei sintomi e delle manifestazioni che possono essere tenute in osservazione (wait
and see) e che non necessitano l'immediato trattamento mentre altre in cui è importante intervenire a
seconda della gravità proprio perché sono precursori di disturbi severi in età adulta. Ad esempio pazienti con
OCD hanno precursori in età infantile. In questi casi prima si interviene e meglio è perché si fa in modo che
il disturbo si manifesti in maniera severe in età adulta. Ci sono quindi casi in cui si aspetta ed altri invece in
cui si tratta da subito il problema.
Oggi c'è maggior sensibilità ed attenzione alle problematiche del bambino, nonostante ciò molti bambini
continuano ad essere sotto diagnosticati.
Ci sono disturbi internalizzanti ed esternalizzanti, i primi caratterizzano il sesso femminile mentre i
secondi il sesso maschile. I primi sono più stabili nel tempo. La comorbilità di entrambe le categorie aggrava
il quadro clinico e sembra avere l'impatto più grave in termini di sviluppo.
DISTURBI D'ANSIA
Il 13% dei giovani tra i 9 e i 17 anni presentano disturbi legati all’ ansia (DOC, DP, PTSD, DAG, fobie)
Almeno un terzo degli adulti che presentano un DOC hanno cominciato a svilupparlo nel corso dell’infanzia
o dell’adolescenza.
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Psicopatologia dell'età evolutiva Il DP (disturbo di panico) si sviluppa generalmente nel corso dell’adolescenza o nella prima età adulta. Il
PTSD può svilupparsi a qualunque età a partire dall’infanzia.
ADHD
L’ADHD interessa tra il 3 e il 5% dei giovani in età scolare. Ne soffrono 2-3 volte di più i maschi delle
femmine. L’ADHD si manifesta generalmente in età pre-scolare o nelle prime classi della scuola
elementare. Spesso il disturbo persiste nel corso dell'adolescenza e, occasionalmente, nell'età adulta.
AUTISMO
Tende a svilupparsi nel corso dell’infanzia (18 mesi) e a manifestarsi intorno ai 3 anni di età.
È circa 4 volte più diffuso nei maschi che nelle femmine anche se le femmine presentano sintomatologia più
grave; queste ultime, tuttavia, tendono a presentare sintomi più gravi ed un maggiore squilibrio a livello
cognitivo (NIMH).
ALTRI DISTURBI
I disturbi dell’alimentazione negli Stati Uniti: lo 0,5-1% degli adolescenti e delle giovani donne risultano
soffrire di anoressia nervosa, l’1-3% di bulimia nervosa e tra lo 0,7 e il 4% ha presentato disturbi da
alimentazione compulsiva (NIMH).
Il ritardo mentale risulta interessare, nelle sue forme più gravi, il 4,6% dei giovani fino a 18 anni residenti
nei paesi in via di sviluppo e tra lo 0,5 e il 2,5% di giovani della stessa età che vivono in paesi sviluppati
(WHO).
I disturbi psicotici si presentano raramente nei bambini nella loro forma estrema, più spesso si presentano
nella tarda adolescenza o nella prima età adulta.
Tuttavia ricerche condotte negli Stati Uniti rilevano che vari disturbi sociali e/o cognitivi possono
presentarsi in bambini che in seguito sviluppano schizofrenia.
STIME:
L'OMS stima che nell’anno 2020 i disturbi neuropsichiatrici infantili cresceranno proporzionalmente in
ordine superiore al 50% a livello mondiale, diventando una delle 5 principali cause di malattia, morte e
disabilità tra i bambini. Tutto ciò comporta costi diretti ed indiretti.
Intorno alla fine degli anni ’90 si diceva che solo il 20% dei bambini che necessitano di servizi ricevono
cure specialistiche negli USA.
Questa disciplina ha impronta anglosassone, i primi a prendersi cura dei bambini sono stati gli anglosassoni
uno dei pionieri è Michael Rutter.
Negli anni ‘50 si diffusero negli Stati Uniti e in parte in Europa le “Community child guidance clinics”,
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Psicopatologia dell'età evolutiva sulla scia del movimento di Igiene Mentale.
Queste cliniche avevano il vantaggio di analizzare la psicopatologia infantile all’interno del contesto di vita
del bambino importanza dei fattori ambientali sul piano psicopatologico, presentavano il grande
svantaggio di tenere gli esperti (chi faceva ricerca, chi si occupava di malattie biologiche, mentali ecc. senza
fare un lavoro multidisciplinare) che se ne occupavano isolati (sia geograficamente, sia professionalmente)
dalla pediatria, dalla psichiatria e più in generale dalla ricerca accademica.
Dal punto di vista accademico, negli anni’50 la disciplina contava solo poche cattedre negli Stati Uniti e in
Europa.
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Psicopatologia dell'età evolutiva 3. Trattamenti
• Trattamenti prolungati nel tempo, senza un focus di intervento ben preciso
• tendenza ad avere una rigida separazione tra professioni quali quelle dello psichiatra, dello psicologo e
dell’assistente sociale
• tendenza ad attribuire ai genitori la causa dei disturbi del bambino, ad esempio il concetto di madre
schizofrenogena per il disturbo schizofrenico.
• teorie di riferimento dominanti legate alle numerose correnti psicoanalitiche, caratterizzavano quel
periodo storico. Non c’era connessione tra ricerca e pratica clinica.
• pratica clinica prevalentemente non evidence-based e caratterizzata da una scarsità di trattamenti specifici
• scarsa attenzione alla diagnosi
• utilizzo di una terminologia aspecifica legata prevalentemente al tema generico del “disadattamento”: la
classificazione ufficiale riportava unicamente i “disturbi del comportamento”. Erano ambiti in cui si
faceva rientrare un po’ tutti i disturbi in generale.
Nel trattamento coi bambini si deve aver a che fare anche con gli adulti, il bambino non può essere
decontestualizzato. Spesso quindi ci si scontra con diverse realtà, serve un lavoro di coordinamento. Serve
sviluppare una rete.
Negli stessi anni però ci sono anche sviluppi, piano piano si inizia ad allargare la prospettiva iniziando anche
a parlare di diagnosi differenziale.
Kanner introdusse il concetto di diagnosi differenziale (1935, 1943, 1969). Fu anche il primo a distinguere
l’autismo dagli altri disturbi.
Hewitt e Jenkins (1946) scrissero una pionieristica monografia identificando diversi pattern
psicopatologici.
Grazie anche agli studi sui bambini con epilessia, Pasamanick e Knobloch (1966) postularono
l’importanza dei fattori di rischio e protettivi prenatali e perinatali, che hanno un ruolo nell’insorgenza di
determinate patologie valorizzando così nello sviluppo dei disturbi quei fattori biologici che fino a quel
momento avevano ricevuto un’attenzione molto limitata.
Nel campo del trattamento si iniziò ad apprezzare il ruolo degli stimolanti/eccitanti per il trattamento dei
bambini con disturbi ipercinetici e, negli adulti, quello dei neurolettici per la cura della schizofrenia.
Nello stesso periodo ci fu la nascita della terapia comportamentale, inizialmente solo per gli adulti, poi
anche per i bambini.
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Bowlby introduce la teoria dell’attaccamento (compromesso tra psicologia e biologia nell’etologia)
importanza alla sensibilità del bambino, alle sue relazioni sociali e all’attaccamento con la figura di
riferimento nei primi anni di vita.
Nell’ambito della Review di Bowlby sulla “deprivazione materna” (1951) per WHO, fortemente criticata
sia dall’accademia, sia dagli psicoanalisti.
Questi ultimi criticavano l’ipotesi di Bowlby secondo cui l’origine dei disturbi del bambino fosse
“un’esperienza di vita reale” piuttosto che “il conflitto interno”.
Malgrado le controversie, le osservazioni di Bowlby indussero cambiamenti nelle cure ospedaliere: i
professionisti iniziarono a dare importanza alla sensibilità del bambino, alle sue relazioni sociali e personali.
Un importante sviluppo di quegli anni Studi longitudinali: consentono di vedere cosa succede nel corso
del tempo e fanno capire che la disciplina è associata a disadattamento nell’età adulta. Studiando i bambini
per diversi anni si vede l’evoluzione del disturbo in età adulta.
Uno dei primi è quello di Robins (del 1966) sulla crescita dei bambini devianti. Tale studio ha mostrato
l’importante associazione tra il disturbo della condotta nell’infanzia e il disturbo di personalità antisociale
nell’età adulta, evidenziando per la prima volta come la psicopatologia nell’infanzia sia associata ad un
maggiore rischio di disadattamento nell’età adulta.
Attualmente è disponibile una mole di conoscenze sostanziale sulla continuità-discontinuità tra la
psicopatologia nell’infanzia e nell’età adulta.
Studi longitudinali: Lo studio di Cohen “Children in the community” fu particolarmente interessante per
analizzare l’evoluzione a lungo termine di alcuni disturbi mentali.
Lo studio di Laub e Sampson (2003) sul disturbo antisociale fu particolarmente interessante anche per il
lungo follow up (i soggetti furono seguiti fino a 70 anni).
Migliorano molto le tecniche per gli Studi epidemiologici, i dati diventano più credibili: Gli studi dell’Isola
di Wight (Rutter, 1989; Rutter, Graham e Yule, 1970; Rutter, Tizard e Whitmore, 1970) e lo studio
longitudinale della Walhtam Forest (Richman et al, 1982).
Sono stati efficaci nel dimostrare:
• l’importanza dell’utilizzo di tecniche di intervista standardizzate;
• la necessità di intervistare direttamente i bambini sui sintomi;
• l’elevato grado di disaccordo tra le informazioni ottenute da diverse fonti (bambini, genitori, etc.);
• la frequenza della comorbidità;
• le differenze tra la psicopatologia con insorgenza in età infantile e con insorgenza in età adolescenziale.
Si arriva alla grande verità, infatti, gli studi longitudinali ed epidemiologici evidenziarono non solo come i
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